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Il progetto sociale e teatrale di Davide Iodice nel Centro di Prima Accoglienza
Una giacca, un vestito, una caramella, una poesia, parti di se smarrite a un tratto di strada, simboli mancanti di un amore, di un lavoro, di una casa, di un’ identità schiacciata. Davide Iodice ha recuperato la memoria di chi ha alloggiato o vive nel Centro di Prima Accoglienza del Comune di Napoli.
Spesso chi perde tutto e vive per strada veste panni non suoi, indossa vestiti che presto butterà per prenderne altri donati dai volontari, spesso la sua identità è cancellata da chi in nome di quei panni usati lo definisce solo e semplicemente “senza dimora”. Invece è agli “altri”, al pubblico teatrale che attraverso la sua poetica onirica il drammaturgo e regista Davide Iodice ha chiesto di “Mettersi nei panni degli altri- Vestire gli ignudi” nello spettacolo del cartellone nel Napoli Teatro Festival messo in scena nel Centro di Prima Accoglienza in via de Blasis, 10. A detta di molti critici e degli spettatori il più bello spettacolo del Festival.
Il lavoro è il terzo momento di un processo creativo che Davide Iodice dedica alla crisi della società contemporanea: nelle due tappe precedenti aveva affrontato il sogno e l’eredità generazionale. Ispirato alle Sette opere di Misericordia di Caravaggio, il lavoro ha come tema il concetto di compassione, nel senso etimologico di empatia, di relazione vitale. Il percorso si articola in due movimenti. Nel primo – Mettersi nei panni degli altri – ispirato a Vestire gli ignudi, gli attori della compagnia, gli utenti del dormitorio pubblico di Napoli e del progetto Scarp de Tenis indagano il tema dell’identità perduta. Nel secondo – Dentro – ispirato a “visitare i detenuti e curare gli ammalati”, presentato in forma di video documento, viene mostrato il percorso laboratoriale affrontato nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Secondigliano. In “Mettersi nei panni degli altri” gli spettatori si immergono nel Dormitorio Pubblico- una sorta di “Purgatorio” come lo definisce Iodice- camminano per i corridoi, si affacciano nella lavanderia, siedono sui letti degli ospiti che grazie ad una scenografia magica si trasformano in luoghi onirici e metaforici senza tempo. Le storie autobiografiche riscritte da Iodice sono interpretate da uomini e donne che portano dentro di se le cicatrici di una perdita, ma spesso anche l’energia della rinascita.
C’è Maria che ricuce i vestiti rotti e legge le carte di un destino universale dove c’è la pioggia e lo sguardo del censore, ma può rispuntare il sole; per lei il sole è Sergio grazie al quale ha superato “il punto morto”. Dal suo intimo baule dei ricordi ci regala una poesia dedicata al suo compagno.
C’è il pescatore di coralli, l’ebanista, l’uomo sfruttato dal padrone, il marito e padre che si è trasformato tante volte come il corallo prima mollo e chiaro e poi duro e nero che pescava da ragazzo. Si è incagliato a un punto e poi ha tagliato la rete per ritornare a “casa” da sua figlia.
C’è la commuovente storia del batterista che ad una festa conobbe la sua donna, sposata e poi persa per malattia, che come un fantasma si stacca dai vestiti da sposa alla parete e lo accompagna in un viaggio a ritroso nei ricordi. A lei dedica “Guarda” dei Rogers, la canzone per il suo unico grande amore. Ma è al pubblico che giunge questo delicato regalo.
Altro dono di inestimabile valore sono le opere di Antonio, poeta e scrittore che attraverso i suoi scritti e l’accompagnamento di una danzatrice e di un burattino ci conduce nella sua infanzia segnata già dall’inizio dalla nostalgia.
Emblematico il gesto del dono di caramelle e cioccolatini ai suoi amici ospiti del Dormitorio, nel racconto di uomo che ha vissuto la sua “rottura” nell’adolescenza oppresso da un padre che ha violato il suo armadio dei segreti. E ancora c’è un corridore mancato in partenza che racconta il suo destino di fuggire, prima dalla madre con problemi psichiatrici, poi dalle botte del “controllore” dell’istituto dove viene rinchiuso e infine, ogni giorno, per prendersi cura del figlio paralizzato da un incidente. A corredo delle storie una medaglia e la musica ancora bellissima di Bruno che canta e suona la chitarra. Tutto senza mai aver ricevuto nessuna medaglia.
L’empatia creata e suscitata dal teatro di Iodice è quella di un’arte che si mescola con la vita e ne diventa parte, frutto di un percorso-amicizia laboratoriale ed extra laboratoriale che il regista ha intessuto con gli abitanti dell’ex Dormitorio Pubblico e con altri senza fissa dimora da 5 anni. “Mostrarsi è possibile perché si è creato un rapporto autentico, un’amicizia reciproca– spiega Iodice-. Ripercorrere queste tracce di memoria è possibile solo grazie alla cura degli attori e musicisti professionisti della compagnia che, maieuti, si prendono cura dei senza fissa dimora La necessità di rimettere dito nella piaga non è volta a ferire ancora, ma a capire che quello è un solco tracciante dove scorre l’energia che grazie alla magia del teatro si può recuperare e fluire. Lasciarsi guardare si fonda sul principio di affermazione dell’identità residuale. Accetto di farmi guardare da te perché sono vivo e voglio essere vivo”.
Molti ex senza dimora che hanno partecipato allo spettacolo sono coinvolti nel progetto Scarp de Tenis che punta al reinserimento sociale e lavorativo attraverso la scrittura e la vendita dell’omonimo mensile, ed è con la collaborazione di Scarp de Tenis e con Luigi Del Prato, direttore del Centro di Prima Accoglienza- definito da Iodice “una persona che compie un lavoro straordinario nonostante i tagli sempre più pressanti ai servizi sociali”- che il regista vuole realizzare un laboratorio di teatro permanente all’interno del dormitorio. Un’esigenza espressa più volte dagli stessi senza casa.
AdG
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