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Giovedì 2 Maggio 2024




La priorità è ancora la lotta contro la violenza sessuata

Intervista a Stefania Cantatore referente napoletana dell’UDI

stefania-cantatoreStefania Cantantore, referente napoletana dell’UDI, Unione Donne d’Italia, ha partecipato alle battaglie femministe fin dagli anni ’70. Per lei “nonostante le donne abbiano conquistato in linea teorica il diritto alla parità, c’è ancora tanta strada da compiere nell’appropriarsi degli spazi culturali e sociali che alcuni uomini continuano a marcare attraverso la violenza”.

Le donne sono vittime di violenza in famiglia, ma sempre più anche fuori…

La violenza attiene alla relazione uomo/donna e dovunque questa relazione si verifica riproduce le condizioni date dalla cultura dominante. In tutti i luoghi "chiusi" (famiglia, scuola, luoghi di lavoro e di elezione del potere) la potenziale vittima vede le sue libertà sottoposte a chi oggettivamente comanda, ed è quindi vulnerabile e indifesa. La strada e i luoghi ludici (discoteche, strade del divertimento notturno ecc.) sono sempre stati luoghi favorevoli alle violenze. Oggi l'aumento della libertà e della mobilità femminili hanno reso non clandestina l'uscita serale e il divertimento, per cui le donne toccate dalla violenza in quei momenti liberi, denunciano di più sentendo di essere state lese in un proprio diritto. Nel passato le ragazze e le donne uscivano "in silenzio" dato che la condotta "dell'uscita senza uomo al fianco" era ritenuta disdicevole. Denunciare equivaleva ad un'auto accusa, quella di essersi sottratte alla protezione familiare. Certo che è ancora forte lo schema di potere che demanda agli uomini il controllo morale della condotta delle donne e così lo stupro in strada è la rivendicazione di un “proprio” territorio.

Le donne vengono risarcite per la violenza subita?

Nella maggior parte dei casi no, perché l'Italia manca di norme attuative delle risoluzioni internazionali che ha firmato la CEDAW e dei protocolli Europei e delle relative risoluzioni, come quella sul risarcimento delle vittime di violenza sessuata (80/2004 della Comunità Europea).

Quali strumenti e servizi esistono a Napoli per il contrasto della violenza e per la tutela e l’accompagnamento delle vittime?

La maggior parte dei servizi sono volontari, a volte e non sempre rimborsati a posteriori con il meccanismo della "sussidiarietà".  A Napoli ci sono molti sportelli, e non tutti seguono il protocollo approvato internazionalmente, ed una sola casa di accoglienza propriamente detta. Il Centro antiviolenza del Comune che si trova a Posillipo, si chiama “del comune” perché la sede è comunale, ma lo staff è volontario a rimborso e i fondi sono stati in ritardo anche di un anno.

Spesso dei fondi europei dirottati in Italia hanno "beneficiato" le case famiglia religiose e i conventi, soggetti “impropri” che avevano un’altra "mission" e che hanno ricoverato donne inviate dai centri antiviolenza privi di case di accoglienza.

La rete volontaria funziona anche attraverso associazioni politiche come l'UDI, ma la risposta alla domanda delle donne senza fondi è impossibile. Molte vittime sono costrette a migrare verso città più attrezzate come Roma, Bologna e Milano.

Non crede si dovrebbe trasformare il centro antiviolenza in servizio stabile?

La trasformazione in un servizio stabilizzato, non è prevista dal quadro legislativo attuale. Dovrebbe trattarsi di scelta politica precisa del governo della città. Ma la cultura progressista non ha assunto la violenza come priorità di intervento. E non credo che questa amministrazione abbia tra i suoi obiettivi l'implementazione del centro.

L’UDI ha fatto delle proposte di cambiamento?

A Napoli dal 2005 e progressivamente in tutta Italia il movimento delle donne ha spinto per far sì che quella che veniva nominata “questione privata”, venisse avvertito quale problema politico e sociale. Puntiamo al raggiungimento del pieno esercizio della responsabilità pubblica: le istituzioni locali sarebbero tenute intanto a far prevenzione (illuminazione delle strade e vigilanza), e laddove quella fallisce dovrebbero assumersi l’onere di risarcire la vittima. 

Dalle Bacheche Rosa affisse nei commissariati per informare le donne sui propri diritti e sulla rete di assistenza ci siamo letteralmente sostituite alla responsabilità pubblica, agendo in piena condivisione e appoggio con tutte le associazioni e le donne che fanno l'antiviolenza. C’è da dire ancora molto sui gesti di governo che fanno cultura, spesso lesiva della dignità femminile, contro i quali abbiamo attuato campagne pubbliche.

Quali sono le battaglie civili delle donne da compiere in questo momento che travalicano l'età e la provenienza sociale?

La lotta civile per un lavoro, per ottenerlo, innanzi tutto, e la dimensione del lavoro, rispettoso dell’ambiente e della natura umana. Siamo ad una svolta decisiva, dentro la crisi e le donne vogliono essere soggetti autorevoli “di un altro sviluppo”.

Le donne non credono più di essere la “famiglia”, quindi le prime destinatarie dei servizi. Vedono piuttosto una prospettiva di ri- contrattazione del modello di lavoro di cura, perché non sia “addossato unicamente alle donne”. C’è un grande movimento in Italia e in Europa che non pensa più al welfare come territorio femminile per eccellenza. Napoli dov’è in questo? Mestamente inconsapevole, anche per l’arretratezza della spesa pubblica. Quando devi ancora avere, sei costretta a lottare per avere in retroguardia.

Alessandra del Giudice

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