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venerdì 26 Aprile 2024




Esiste ancora il maestro?

Cesare Moreno ci parla dei giovani e di una società “che non li ama abbastanza” .

cesare-morenoL’insegnante non è solo colui che ti fa apprendere la storia e la matematica, ma colui che ti trasmette le motivazioni e l’entusiasmo per andare a scuola e per affrontare la vita.
L’espressione più adatta a indicare tutto questo è “Maestro di strada” introdotto a Napoli da Cesare Moreno e da altri maestri per indicare “un modo di educare diverso a quello in uso nel nostro sistema scolastico ma forse più vicino ai modi originari dei maestri”. Moreno ci parla di come sostenere la crescita di giovani che si sentono emarginati da una società che non li ama abbastanza.

Cesare Moreno, ideatore dell’ultradecennale progetto Chance- “ucciso prima dei  grandi tagli dei fondi, da mano ignota e per ragioni ignote”-, cammina sul terreno minato del mondo spesso troppo rigido della scuola e fuori, in strada per intercettare coloro che a scuola non ci vogliono andare. In trenta anni ne ha fatta di strada nei suoi sandali francescani a segno che è proprio da là che bisogna partire: dalla semplicità che contatta la terra, dall’approccio umile alla realtà concreta dei nostri giorni, dalle nostre periferie.
In questo senso un buon maestro è prima di tutto un esempio positivo. E’ colui che dice la verità. E la verità oggi è che nella realtà critica che stiamo vivendo andare a scuola non può essere più la “purga benefica da bere turandosi il naso” perché consentirà di trovare un lavoro.
Dopo 3 anni Moreno traccia un bilancio di “E vai”, nato nel 2009 grazie a fondi privati, che sulla scorta dell’esperienza Chance utilizza una modalità di approccio all’insegnamento pronta ad intercettare le esigenze di giovani sempre più smarriti e abbandonati a se stessi.

Cosa è “E-vai”?

“E-vai” è un progetto di “Educazione Volontà Accoglienza Integrazione” partito 3 anni fa con la fondazione San Zeno di Verona e ora anche con la fondazione ProSolidar degli impiegati bancari con cui realizziamo dei progetti nazionali. Interveniamo in 8 scuole medie e 2 scuole superiori dei quartieri Barra, Ponticelli e S. Giovanni, per prevenire la dispersione scolastica con un azione di sostegno allo studio personale e di aiuto agli insegnanti per realizzare una didattica più attiva e gestibile. Al pomeriggio coordiniamo un laboratorio territoriale: gli stessi ragazzi che seguiamo la mattina, il pomeriggio fanno attività di teatro, musica, pittura, trucco teatrale nel centro Asterix del Comune di Napoli in via Atripaldi (alle spalle del Parco Troisi) a S. Giovanni. Questo favorisce la collaborazione tra gli allievi e il mescolamento delle “carte sociali”.
Gli operatori sono: laureati in psicologia, pedagogia, sociologia, scienze politiche e altre figure come i ‘genitori sociali’ formatesi sul campo. Lavorano stabilmente 20 operatori a tempo parziale cui si aggiungono altri 20 tra tirocinanti e collaboratori saltuari.
Molte energie sono impiegate anche nella ricerca per dimostrare che certe modalità di intervento sono possibili ovvero: lo sviluppo di migliori relazioni, la gestione del conflitto, il supporto emozionale.

Tuttavia avete fatto appello anche a maestri volontari…

Quest’anno abbiamo a disposizione 200 mila euro e il progetto coinvolge 450 ragazzi, di questi sono 100 quelli che hanno più bisogno. In generale siamo contrari all’attività basata sul volontariato, poiché fare il maestro richiede una professionalità e una specializzazione particolari che non può essere affidata al caso. Abbiamo bisogno di persone che si impegnano per un tempo che non è quello libero. Ma una volta stabilita l’ossatura professionale ci sono iniziative che richiedono molta forza lavoro. Una ventina di ragazzi non riescono ad integrarsi a scuola e devono essere seguiti fuori singolarmente, e per questo non abbiamo risorse sufficienti.
Ci sono ragazzi che sono in “istruzione paterna” per usare un eufemismo, ovvero si sono/sono stati estromessi dalla scuola. Ad esempio un ragazzo che ha 15 anni e dovrebbe andare in prima media, ma non va perché troppo grande. In questi casi, se la famiglia, i servizi sociali, la scuola sono d’accordo si tenta un percorso sul modello del primo Chance: il ragazzo viene formato fuori dalla scuola e poi fa l’esame da privatista.


Credi che oggi sia migliorata la situazione dei minorenni a Napoli o è ancora alta la dispersione scolastica?

Io credo che la situazione sia molto peggiorata: sono sempre di più i ragazzi tra i 19 e i 24 anni che non lavorano e non studiano. L’area dell’emarginazione è aumentata. Le cause prima della crisi, sono diventate concause della crisi.

Quali sono gli errori del sistema scolastico?

Il nostro sistema non favorisce la collaborazione e la cooperazione. Mentre l’ultima cosa di cui hanno bisogno i ragazzi è la competizione.
L’organizzazione scolastica non si occupa  della solidarietà umana; il riconoscimento della comune fragilità umana si sviluppa molto più attraverso l’arte. Va bene tutto. La poesia, il teatro, la pittura, la musica….Impari a stare insieme agli altri quando riconosci che è come te, che sente le tue stesse cose.  La cooperazione per produrre o fare qualcosa è una cosa diversa. Che risponde alla necessità e alla razionalità. Non è un caso che appena ci occupiamo dell’emotività dei ragazzi, loro ci vengono dietro come agnellini.

In un momento in cui i tassi di disoccupazione sono altissimi, la prospettiva di trovare un lavoro non è più valida per invogliare i ragazzi ad andare a scuola.

La deformazione professionale degli insegnanti è che insegnano solo discipline, non a relazionarsi con la realtà. Dicono al ragazzo “Questo ti serve per trovare lavoro”, mentre lo scopo della scuola non è questo.
Una signora rom, che non ha nessun titolo di studio, mi ha detto: “Per me è importante che mia figlia va a scuola perché solo la scuola ti dà “o’ pensà”. Quella frase le è venuta dall’anima. Invece proprio a scuola finiamo per dimenticare che la scuola innanzi tutto deve insegnarti a pensare.
In una situazione di crisi ancora di più la scuola deve servire a questo. La scuola serve anche a trovare il lavoro, ma dopo che ti ha insegnato a non aspettare che le cose vengano dal cielo, a crearti tu le tue cose.

Che risultati avete raggiunto con E-vai?

I ragazzi sono espressione della crisi generale e cronica delle periferie, sono i figli di famiglie cronicamente escluse. Con questi ragazzi riusciamo a attenuare il rischio di dispersione: riescono a recuperare qualcosa di ciò che dovevano studiare. Cerchiamo di farli riconciliare con se stessi estirpando il “germe di un pericoloso odio di se”. Incontriamo i genitori per valorizzare quello che fanno i ragazzi per fargli capire che c’è la dignità, la capacità di fruire le occasioni della città senza avvilirsi, riattivando le risorse interne delle persone per restituire loro la fiducia nel futuro. Senza illudere nessuno. Non spacciamo sogni a basso costo. Diciamo francamente che siamo in un momento terribile. Insegniamo “senza nascondere l’assurdità che c’è nel mondo”, come disse Danilo Dolci.
Gli possiamo promettere dignità e rispetto di sé non un lavoro. E per questo i soldi non servono.
Oggi ogni cosa si compra, interi strati della popolazione sono schiavi del bisogno. Bisogna spingere le persone ad agire e reagire. Ad esempio i ragazzi si sono divertiti tantissimo a partire dai carri realizzati da se per il carnevale della Zona Orientale. I ragazzi così capiscono che si possono divertire costruendosi il divertimento, non da spettatori.
L’educazione in sé può essere il fine. In questo senso c’è un esperimento che stiamo portando avanti a Roma in cui sono gli stessi ragazzi, in maggior parte di origine straniera e lavoratori, che stanno pensando di pagare l’educatore che sta cercando di aiutare i ragazzi ad avere un atteggiamento responsabile. E se i ragazzi scelgono loro di pagare l’educatore invece di fuggire da scuola, questo significa che stiamo andando nella direzione giusta.

Quali caratteristiche deve avere un buon educatore oggi?

L’educatore è qualcuno che non smette di formarsi, che non si siede sull’esperienza accumulata e sa che c’è sempre da imparare. Una caratteristica fondamentale è l’empatia: la capacità di capire e leggere le condizioni che vivono i ragazzi oggi, cosa c’è dietro comportamenti aggressivi e azioni inconsulte che derivano da spinte che gli stessi ragazzi non conoscono bene. Un buon educatore  è capace di offrire uno sguardo amico ai ragazzi, aiutarli a stare insieme. Educare significa mettersi sulla strada di chi vuole crescere e accompagnarlo –  essere dalla sua parte e non di fronte a lui – per mostrargli la strada muovendo i passi per primi o osservandone e guidandone i passi; significa una disposizione del cuore che è una disposizione amorosa, ossia di cura e gratuità; significa una disposizione della mente aperta, che cerca di mettersi dal punto di vista di chi apprende, che capisce le emozioni, le ansie, le paure di chi apprende e sa essere rassicurante; significa una disposizione della persona forte, sufficientemente ferma da contenere le oscillazioni, le debolezze, le crisi di chi sta crescendo.

Il sociale soccombe sotto i tagli del governo e a subirne le spese sono anche i progetti per i bambini e i ragazzi, le imprese giovanili, così come già era accaduto a Chance nel 2009. Come correre ai ripari?

Chance si reggeva con i fondi della 285 che poi sono diventati per un anno fondi regionali. Siamo “morti” nel 2009 per mano ignota e per motivi ignoti. Non abbiamo mai ricevuto una lettera che ce lo comunicasse.  Non abbiamo mai saputo chi ha deciso al Ministero della Pubblica Istruzione che il progetto finisse. Né mai c’è stato un monitoraggio dei risultati. Questo il punto: manca un’organizzazione strutturata, si fanno tanti progetti senza valutarne i risultati. Ogni anno sono stati cambiati progetti e gestori, mentre il lavoro sociale ha bisogno di continuità. Lo stesso progetto di educativa territoriale, è frammentario. Questo significa che risorse importanti vengono sprecate. I quartieri orientali di Napoli da sempre sono emarginati. Con i soldi spesi se solo si fossero fatte spese oculate oggi non ci sarebbe questa situazione di degrado.
E’ vero che la spesa sociale dovrebbe essere un investimento economico, ma a Napoli non è così. Se fai le cose in modo caritatevole o assistenzialista, mai mobilitando le risorse umane già esistenti, i soldi producono solo emarginazione. La gente vuole crescere. Ma non si parla mai di crescita, solo di emergenza. 

Credi che il sociale possa essere un volano di sviluppo?

Non si capisce che il sociale ha un suo valore economico anche se non si vende. Se si lavora bene nel sociale questo diventa un fattore di sviluppo. La banca del tempo, l’orto urbano, il riciclo, sono esempi concreti che possono portare sviluppo. Il sociale è ciò che facciamo insieme. C’è bisogno di rilanciare il sociale come investimento prezioso, produttivo. Se faccio il riutilizzo, il riciclo creo anche il lavoro, creo un’economia civile dove le persone insieme hanno meno bisogno di risorse mercantili per vivere.
Credo si possano implementare pezzi di economia civile in un’economia in crisi. A Napoli, senza che ce ne fosse coscienza questa esperienza c’è già stata: l’economia del vicolo, depurata degli aspetti illegali, costituiva una forma di resistenza  basata sul contatto diretto, sulla reciprocità, sul  buon vicinato. Bisogna mobilitare le persone per le cose che possono fare a partire da sé.

Voi intervenite anche a livello sociale, in caso di problematiche familiari?

Non è strettamente il nostro compito: c’è una mediazione con i genitori, sempre finalizzata all’elaborazione della situazione difficile dei ragazzi.
Ci sono casi limite in cui potrebbe configurarsi una violazione dei diritti dei giovani, ma il nostro compito non è denunciare, ma ridurre il danno. Bisogna trovarsi di fronte a qualcosa di irrimediabile per procedere diversamente. La mediazione però spesso serve anche alla famiglia oltre che ai ragazzi, spesso in periferia abbiamo incontrato ragazze madri o donne sole che avevano perso la voglia di vivere relegate in periferia e le abbiamo spinte a riacquistare fiducia e dignità, a sfruttare le occasioni che ci sono in città.

Il bullismo e le azioni violente dei ragazzi, spesso di bambini, sono in aumento. Come arginare la violenza?

I ragazzi hanno un grande potenziale aggressivo. La strada è creare occasioni di scambio e incontro tra i ragazzi prima che esplodano episodi di violenza: scontri tra bande, aggressioni gratuite ad altri. Un esempio è stato il Carnevale che abbiamo organizzato nella periferia est: in una situazione priva di stimoli i ragazzi, divisi in bande, si sarebbero magari picchiati, invece sono stati bene insieme.
Quella dell’aggressività è una problematica comune a tanti adolescenti, spesso indipendentemente dalla provenienza sociale. Spesso gli insegnanti, e persino gli educatori hanno paura. Dipingono i ragazzini come mostri. La stessa stampa contribuisce a costruire un’idea stereotipata di “mostro”. In ognuno di noi può esserci un mostro, ma pensare in questo modo crea incapacità di agire un cambiamento.
Non c’è paura fisica, c’è la paura di fronte ad emozioni e comportamenti che non si sanno leggere e contenere. Per questo noi diciamo che il primo compito di un educatore è riuscire a sviluppare uno spazio di pensiero in cui interagiscono le proprie emozioni con quelle del contesto ed in cui si impara a dare un significato ad eventi altrimenti incomprensibili e  per questo anche terrifici. 

Alessandra del Giudice

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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