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venerdì 26 Aprile 2024




“Innovazione”: questa la parola d’ordine del Welfare napoletano

Per l’assessore Sergio D’Angelo si parte dal coinvolgimento diretto dei cittadini.

sergio-dangeloSergio D’Angelo, ha lanciato proprio oggi il bando per le “Agenzie di cittadinanza” una misura innovativa che vedrà i cittadini protagonisti del welfare cittadino. In una lunga intervista con l’assessore al welfare del Comune di Napoli discutiamo del deficit e di come il welfare può sostenere i cittadini e il terzo settore in questo momento di grande difficoltà a partire dalla pianificazione decennale degli interventi.

Tra i progetti più ambiziosi annunciati dall’assessorato: conferire alle realtà sociali di Scampia un milione di euro, l’attribuzione del 30% dei beni immobili del Comune al terzo settore e l’attesissimo riutilizzo di parte del Real Albergo dei poveri nel rispetto della sua vocazione originaria: per creare alloggi e spazi di incontro per i senza casa.

Il Governo centrale ha inviato i finanziamenti richiesti al Comune. Quale sarà l’effetto dei fondi sul welfare?

Trecento milioni di intervento statale erano la condizione minima indispensabile perché la città potesse rimettersi in cammino. Chiaramente la città non ha solo problemi con il welfare, ma più in generale con i servizi, le scuole, le strade, gli asili. Come è noto il Comune ha ereditato un disavanzo di oltre 850 milioni di euro e ha un debito di circa un miliardo e mezzo di euro. Quindi vive una situazione abbastanza drammatica.
Trecento milioni di euro serviranno in parte di ristrutturare il debito, in parte ci dovranno consentire di tornare a riallineare i tempi dei pagamenti invertendo la tendenza a ritardarli cronicamente. Siamo costretti a proseguire ciò che abbiamo iniziato: tagliare gli sprechi e razionalizzare la spesa a partire dalla compressione di quella destinata alle società partecipate del 20% e di quella corrente del 10%. La legge per fortuna ci dice che siamo obbligati a pianificare economicamente e finanziariamente per i prossimi 10 anni. Dovremmo quindi presentare un piano di rientro entro la fine di gennaio che dovrà essere approvata dalla corte dei conti e dal governo nazionale. Non è solo un piano di rientro, ma la programmazione delle attività che l’amministrazione cittadina intende garantire per i prossimi 10 anni che dovrà risultare in equilibrio e coerente. Dunque è chiaro che si avvierà un percorso virtuoso rispetto al passato.

Quali i punti centrali della programmazione?

Noi vogliamo non ridurre ma, se possibile, aumentare la spesa sociale, inserendo nel piano tutti i servizi sociali fondamentali. Tra i passi che abbiamo iniziato a compiere c’è la riprogrammazione dei convitti e semiconvitti che dovranno sempre più essere dei centri socio-educativi, con il coinvolgimento delle famiglie nella progettazione sociale e il piano educativo individuale. Dobbiamo inoltre riequilibrare la spesa, passando da interventi straordinari a interventi ordinari per le fasce più deboli: senza dimora, rom, immigrati. Non devono esserci più interventi straordinari, ma dobbiamo abituarci a programmare gli interventi: dunque più posti letto, più mense.  Inoltre dobbiamo prevedere le risorse per rinnovare il welfare.

Quali sono le innovazioni?

L’innovazione delle risposte socio assistenziali parte dal coinvolgimento vero, non surrettizio dei beneficiari dei servizi sociali, quindi: i cittadini, le famiglie e gli utenti chiamati in causa non solo per un contributo alla progettazione, ma anche nel coinvolgimento dei cittadini in percorsi di mutuo, auto aiuto, nella auto gestione dei servizi leggeri, nei servizi educativi, assistenziali, sociali, nel sistema di relazioni che può essere moltiplicato nelle micro comunità a livello municipale. Questo è lo scopo del bando delle “Agenzie Cittadine” firmato da Comune e dal Centro Servizi per il Volontariato che prevede il finanziamento di 10 reti a livello municipale, guidate da associazioni di volontariato, ma formate anche da cooperative, costituite ai sensi della legge 266, a cui affidare il compito di di mobilitare le risorse sparse, non organizzate presenti nelle singole municipalità, senza chiaramente fare a meno delle competenze specialistiche che abbiamo a disposizione. Per la prima volta una misura viene finanziata nella misura del 50% dal pubblico, e nella misura del 50% dal privato per un totale di 500 mila euro. 

Perché i cittadini dovrebbero sostituirsi allo Stato?

Non si tratta di un percorso che deve avvenire fuori dallo Stato, ma insieme, e con un maggiore coinvolgimento e responsabilità dello Stato. A Napoli dove esiste una tradizione solidaristica e un welfare parallelo nel quale si sono sempre sapute mobilitare risorse di aiuto, mi sembra più facile che altrove realizzare questo tipo di percorso. Pensiamo alla capacità delle famiglie di aggregarsi e organizzarsi nelle scuole per sostenere percorsi scolastici ed extrascolastici dei propri figli, pensiamo alle esperienze di auto-mutuo aiuto, alla banca del tempo. Ci sono spazi che il pubblico non ha saputo mai coprire e probabilmente non potrebbe mai coprire, tuttavia il pubblico ha il dovere di suscitare e sostenere le iniziative dei cittadini.

Ci sono tuttavia realtà molto attive dove non manca la buona volontà di singoli e associazioni, ma mancano i fondi. Mi riferisco ad esempio alle realtà di Scampia come il Mammut…

Infatti, un’altra esperienza territorialmente più circoscritta, ma che presenta lo stesso criterio innovativo di compartecipazione tra pubblico e privato è quella realizzata con il cofinanziamento della Fondazione con il Sud nella sperimentazione del welfare comunitario che realizzeremo non a caso a Scampia. Un bando che uscirà in questi giorni di 1 milione di euro sarà dedicato alle realtà del terzo settore di Scampia con le quali abbiamo già realizzato un percorso compartecipato di analisi e studio delle problematiche e delle risorse del territorio. Voglio chiarire che nel caso specifico del Mammut, che sta soffrendo la mancanza di risorse, non si dice che i fondi che sono venuti meno sono regionali, non comunali.

La crisi delle famiglie e dei singoli è sotto gli occhi di tutti, i senza casa aumentano. Cosa può e deve fare un Comune?

Quest’anno inaugureremo due nuove mense, una a Nisida e una al centro storico che da un lato impiegheranno ragazzi a rischio, dall’altro assicureranno servizi da mensa popolare. Inoltre vogliamo anche iniziare a sperimentare percorsi di inserimento per i senza dimora come faremo nel prossimo anno avviando i lavori di ristrutturazione di 2500 mq dell’Albergo dei Poveri dove realizzeremo servizi diurni e notturni per i senza casa. Vale a dire una struttura di accoglienza residenziale di secondo livello con moduli abitativi autonomi per coloro hanno già iniziato un percorso di recupero e al tempo stesso servizi di base come docce, bagni, lavanderie, armadi per la custodia delle proprie cose, sala tv e sala lettura e altri spazi di incontro.

L’idea della concessione degli edifici comunali a fini sociali è già partita…

In via del tutto sperimentale abbiamo iniziato ad affidare alcuni spazi in comodato d’uso gratuito ad alcune realtà sociali significative, anche quando non particolarmente note. L’abbiamo fatto a Scampia con alcune associazioni storiche impegnate sul versante della legalità, dei giovani, dell’infanzia. Lo facciamo con associazioni più note come Emergency cui abbiamo affidato a Ponticelli una struttura per realizzare un poliambulatorio per favorire un accesso al sistema delle cure e della prevenzione soprattutto alle persone più fragili: immigrati, rom, senza dimora. E lo faremo in maniera ancora più sistemica con l’approvazione del regolamento per l’assegnazione del nostro patrimonio immobiliare pubblico. In cui abbiamo deciso che il 30% di esso sia riservato e assegnato ad organizzazioni del terzo settore. Sia le organizzazioni potranno proporci delle idee e proposte progettuali, sia noi stimoleremo le organizzazioni con degli avvisi pubblici.
Bisognerebbe trovare il coraggio e le risorse per mettere a disposizione il patrimonio anche più semplicemente dei giovani che volessero essere aiutati a mettersi alla prova in esperienze di lavoro, grazie al sistema dell’auto impiego, delle imprese cooperative, delle imprese sociali e delle imprese di comunità.

A proposito dei giovani e dei meno giovani, coloro lavorano nel sociale troppo spesso subiscono la precarietà, soprattutto quella dovuta al ritardo dei finanziamenti …

Viviamo un momento di grande difficoltà che è l’esito degli errori del passato, di chi ha avuto la responsabilità del governo prima di noi, ma anche di politiche nazionali che hanno prodotto negli ultimi 5 anni continui tagli alla spesa sociale, fino alla scomparsa del sostegno dello Stato alle politiche sociali e di welfare. Oggi stanno scomparendo tutti i fondi sociali, la legge 328 nasceva poco più di 10 anni fa è diventata archeologia. Ma questa difficoltà non può trascinarci fino alla depressione e demotivazione che pure è un rischio che stiamo correndo. Il terzo settore deve trovare la capacità e la forza per uscire da queste difficoltà capendo che l’istituzione locale non è la sua controparte, le amministrazioni devono trovare un modo per ricostruire una relazione di fiducia con il terzo settore. In questo senso stiamo provando a fare ciò che si può in queste condizioni, accelerando i tempi di pagamento, per ristrutturare il debito e riallineare i tempi di pagamento che si sono fatti drammatici a tempi più fisiologici e in linea con quelli europei.

Qual è la responsabilità dello Stato centrale? Cosa dovrebbe fare?

Lo Stato non può chiamarsi fuori giustificando la sua deresponsabilizzazione per la modifica del titolo V della Costituzione con cui si sono assegnate responsabilità a Comuni e Regioni, in ambito sociale, senza che questo trasferimento di responsabilità fosse accompagnato da un trasferimento di risorse economiche. Credo sia inaccettabile che lo Stato non faccia almeno tre cose sul welfare: non garantisca un piano nazionale per l’infanzia, misure nazionali di contrasto alla povertà, un piano straordinario per la dispersione scolastica e per la non autosufficienza. Problema a cui stiamo andando incontro non disponendo di servizi e strutture adeguate.

Alessandra del Giudice

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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