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venerdì 26 Aprile 2024




“Non abbassate il livello di attenzione a partire dai diritti umani”

Salvo, cooperante a Gaza ci racconta l’infanzia traumatizzata dei bambini palestinesi.

salvo-maraventanoQuello di Salvo Maraventano, cooperante di 31 anni di Palermo, da 3 a Gaza ha il punto di vista speciale di chi vive a contatto con quella che da decenni è una tragedia umanitaria irrisolta. Salvo, che lavora con i bambini vittime del trauma della guerra, fa un appello a tutti per “non abbassare il livello di attenzione e risolvere la questione palestinese partendo dai diritti umani”.

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Salvo è educatore nel progetto della Ong CISS "Iniziativa di sostegno psicosociale ed educativo a tutela dei gruppi vulnerabili nella Striscia di Gaza", finanziato dalla Cooperazione Italiana, in collaborazione con El Wedad Society. Si occupa del sostegno psicosociale dei minori e delle loro famiglie, in particolare di bambini vittime di stress post traumatico. Con lui parliamo via skype.

Ora non sei a Gaza?

No, sono a Ramallah in West Bank perché in seguito agli attacchi aerei di Israele il Ministero degli Esteri Italiano ha ritenuto più sicuro che gli 8 cooperanti italiani lasciassero l’area.
Ora c’è una tregua ma negli ultimi giorni la situazione è terribilmente peggiorata, c’è stata un’escalation dei bombardamenti e dei raid aerei. Ci sono stati circa 150 raid aerei a notte. Oltre agli edifici militari e istituzionali sono state colpite quattro moschee. E i bombardamenti sono venuti anche dal mare a circa 500 metri dalla costa. Poi è toccato al palazzo della stampa e infine alle abitazioni civili e sono stati uccisi donne e bambini. Anche noi abbiamo sentito i bombardamenti vicino alla nostra sede a Gaza. La stampa israeliana ha parlato di un errore. Ma in una striscia di terra con una densità altissima della popolazione non è possibile parlare di bombardamenti “mirati”. Espressione che, utilizzata anche in altri contesti, non posso condividere.

Israele parla di atti difensivi. Tu come giudichi quello che è accaduto in questi giorni?

Come operatori umanitari noi cerchiamo di non dare giudizi. Il nostro metro è quello dei diritti umani e prendiamo le distanze da ogni forma di violenza. Tuttavia non si può dimenticare la differenza di proporzione tra le due parti né in termini di condizione, né di mezzi ne , come è evidente a tutti, di effetti. Contando i morti e i feriti palestinesi è normale condannare Israele. Ricordiamo che Gaza è un territorio sotto occupazione dal quale la popolazione civile non ha la possibilità di scappare via. Israele aveva ipotizzato una tregua a patto che non venissero lanciati missili già settimana scorsa e invece c’è poi stata l’escalation. Non riesco ad incasellare i bombardamenti dei civili, del palazzo della stampa e delle moschee come una misura di difesa.

Spesso l’accusa di Israele  e delle potenze internazionali è quella del fondamentalismo palestinese, delle azioni terroristiche…

Quella dell’integralismo è una lettura strumentalizzata. Io lavoro con le persone e la maggior parte dei palestinesi si oppone alla violenza e la condanna.

Come è invece la situazione in Cisgiordania?

Anche là la situazione si sta riscaldando. Ci sono manifestazioni, morti, scontri ai checkpoint a Qualandia tra Ramallah e Gerusalemme. Anche se non ci sono missili, ma in seguito alle manifestazioni, sono stati sparati i gas lacrimogeni dai fucili, uno di essi entrato in un’abitazione ha ucciso un bambino di 18 mesi. Altri 2 morti ci sono stati ad Hebron. Questo non è paragonabile a ciò che accade a Gaza, ma è il segno di un malessere diffuso.

Come si vive invece quando la situazione è “normale”?

Questo è un momento di emergenza, ma la situazione abituale è comunque drammatica: è l’equivalente di una vita di un campo profughi. I bombardamenti ci sono giornalmente come riportato in diversi report delle agenzie ONU. Quindi anche se l’emergenza si arrestasse non bisogna abbassare l’attenzione dei media.

Come vivono la quotidianità i bambini?

La popolazione è sempre più terrorizzata, innanzitutto i bambini. Noi lavoriamo sullo stress post traumatico. Il punto è che i bambini che 4 anni fa hanno vissuto l’esperienza devastante dell’operazione piombo fuso, in questi giorni rivivono lo stesso trauma. E’ difficile elaborare un vissuto così duro quando eventi continui lo fanno riaffiorare. Ci sono bambini che non riescono a dormire, a parlare, che perdono i capelli per lo stress e tutto questo non andrà via con una tregua. Molti bambini arrivano all’università. In particolare a Gaza, in Cisgiordania la priorità per le famiglie è fare studiare i figli, far si che completino gli studi. Il contesto sociale palestinese non è affatto povero a livello culturale, ma lo è sempre di più a livello materiale. 

Quale la soluzione a questo conflitto che sembra eterno?

Pochi giorni fa si è celebrata la giornata dell’infanzia ed eravamo ad una conferenza internazionale sull’educazione organizzata dall’Al Hazar University, con cui collaboriamo da 2 anni, con le Università egiziana, giordana e americana. Io sono educatore, lavoro su questi temi. Che senso ha leggere la carta dei diritti dei minori e non fare nulla? Dove è il rispetto per i diritti umani? Bisogna ripartire dalla carta dei diritti. In questo devono impegnarsi i paesi europei e la comunità internazionale. Non si tratta solo di favorire una tregua temporanea tra due paesi, ma risolvere una questione che influenza la politica nella regione e non solo. Bisogna ragionare a livello globale estromettendo gli interessi delle lobby politiche ed economiche. La geopolitica viene dopo.
Bisogna fare pressione presso i Governi per trovare una soluzione pacifica al conflitto e non bisogna abbassare il livello di attenzione dei media quando finisce l’emergenza delle bombe.

Alessandra del Giudice

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