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venerdì 26 Aprile 2024




Assistenza domiciliare integrata: un servizio indispensabile

Ecco come funziona l’intervento per gli anziani e disabili a Napoli.

adi“Servizio di assistenza domiciliare integrata per anziani e disabili del Comune di Napoli”, un sostegno quanto mai essenziale in una società dove il numero di anziani e dei poveri è in aumento. Parliamo con i referenti e utenti del Comune di Napoli, dei pregi e delle criticità del servizio che è stato aggiudicato il 18 gennaio 2013 per le prossime due annualità alle cooperative del privato sociale delle 10 municipalità.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce nel servizio di Assistenza domiciliare integrata (Adi) “la possibilità di fornire a domicilio del paziente quei servizi e quegli strumenti che contribuiscono al mantenimento del massimo livello di benessere, salute e funzione”. L’Adi, infatti, nasce con l’obiettivo di garantire al cittadino non autosufficiente diverse tipologie di prestazioni, sociali e sanitarie, all’interno di un sistema organico integrato di cure domiciliari. Nella direzione di dare una risposta sempre più efficace alle esigenze delle persone fragili e non autosufficienti e per il miglioramento stesso del sistema integrato di cure domiciliari, diventa importante quindi il ruolo di raccordo tra Comune ed Asl e tra aspetti sociali e sanitari della cura. Il sostegno sociale e infermieristico alle persone è un sistema complesso che ha una valenza umana oltre che professionale altissima.


Il servizio per il 2013-2014. Per i prossimi due anni, il Gruppo di Imprese Sociali Gesco gestirà le PUAT (porte unitarie di accesso territoriale), 10, una per municipalità, che coordinano il lavoro e mediano tra Comune di Napoli, Asl e il folto gruppo di cooperative sociali che forniranno nelle singole municipalità  gli operatori del servizio: Accaparlante, Fisiomedical Consulting, l’Uomo e il Legno, Novella Aurora, Gis, Consorzio Italia. Per richiedere l’assistenza domiciliare il cittadino (utente, familiare) può rivolgersi ad uno qualsiasi dei suoi abituali referenti territoriali, sanitari o sociali (Medico di Medicina Generale, Unità Operativa distrettuale di competenza, Centro Servizi Sociali della Municipalità). Il medico o l’assistente sociale che ricevono la richiesta effettuano una prima valutazione e, se intendono proporre la presa in carico dell’utente, redigono una Proposta d’Accesso, che descrive le condizioni socio-ambientali e di salute del soggetto, e la inoltrano alla Porta Unica di Accesso Territoriale (PUAT) che mette in moto l’UVI, unità di valutazione integrata, per valutare l’eleggibilità del caso e redigere il PI. Viene inviato un operatore di primo intervento che incontri la famiglia e registri il bisogno. Sulla base delle informazioni raccolte viene redatto il PI , piano individuale, in cui è chiarito il servizio di cui necessita l’utente: infermieristico, socio assistenziale, riabilitativo, tutelare.

Le ore tutelari e socio assistenziali non bastano mai. Al momento sono 908 gli utenti del servizio di assistenza sociale ad anziani e disabili, mentre sono 1059 dell’infermieristico tutelare. Con una lista d’attesa per entrambi i servizi su 8 municipalità (manca il dato su III e IV Municipalità) di 162 persone. A disposizione ci sono 3 infermieri per municipalità e 2 riabilitatori, mentre gli Osa (operatori socio assistenziali) sono circa 15 per Puat e 10 sono gli Oss (operatori socio sanitari). “Un Oss (operatore socio sanitario) è riuscito a togliere definitivamente il pannolone ad un ragazzo disabile, un'altra a mandare a scuola un ragazzino che non c’era mai andato. Un Osa intelligente dà un grande respiro alla famiglia di un bambino disabile. Se regali due ore al giorno ad una famiglia dai un grande sollievo” - spiega Rosanna Di Fiore, referente del servizio per Gesco.
Ogni municipalità ha un monte ore per ogni tipo. “Mentre per l’infermieristico riabilitativo non ci sono problemi di carenza di ore – spiega Di Fiore- poiché si tratta di interventi che durano qualche mese fintanto che la persona in carico non è guarita, non sono sufficienti invece le ore tutelari e  socio assistenziali soprattutto in territori come Barra, Ponticelli, San Giovanni, dove risulta sottostimato il bisogno. Delle 500 ore assegnate ne facciamo oltre 800, cercando di bilanciare tra i diversi territori”.

Il budget. Il Comune finanzia il settore socio-assistenziale mentre alla Asl fa capo la riabilitazione, infermieristico e  tutelare. Il numero di operatori e il monte ore del servizio chiaramente dipendono dal budget del progetto: i fondi per la non autosufficienza, 9 milioni e 840 mila euro per il sociale, sono fondi comunali, mentre per il servizio infermieristico e tutelare sono gestiti grazie ai fondi della Asl, circa 3 milioni di euro.  “Il  monte ore dell’assistenza domiciliare sociale è stato implementato del 10% rispetto all’anno scorso- assicura Giulietta Chieffo, dirigente delle Politiche Sociali del Comune di Napoli-.  Siamo partiti nel 2005 con un appalto triennale di 14 milioni di euro, attualmente su due anni 2013-2014 abbiamo circa 20 milioni. Il budget dunque è cresciuto, ma con esso cresce il fabbisogno di  una popolazione che invecchia. Per il 2014 dobbiamo contare solo sui fondi comunali poiché la Regione non ha fatto il riparto. E i fondi a stento bastano per garantire l’attuale”.

La città che cambia.
Le informazioni, disaggregate per quartiere e municipalità, contenute nel Profilo di Comunità 2010-2012  mostrano un tessuto demografico differenziato. Le aree di alto benessere si collocano principalmente nella zona del centro della città rivolta verso il golfo e rientrante nei quartieri di San Ferdinando, Chiaia, Posillipo (Municipalità1), Fuorigrotta e Vomero; mentre le aree di disagio socio abitativo si rilevano nelle zone Est della città (San Giovanni, Barra e Ponticelli), nella parte Nord (Secondigliano, Scampia, Miano e Piscinola), nella parte Nord-ovest (Soccavo e Pianura) e anche verso il centro della città nei quartieri di S. Giuseppe, gran parte di Montecalvario, Pendino, Mercato, S. Lorenzo e Avvocata. La Municipalità 6 (San Giovanni a Teduccio, Barra, Ponticelli) presenta la più ampia estensione territoriale.
Napoli pur essendo un territorio demograficamente più giovane rispetto alle altre grandi città del resto del paese, è comunque investita dal fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione residente. Infatti dall’analisi della struttura della popolazione si evince un incremento rispetto ai dati del censimento del 2001. Secondo  gli ultimi dati statistici del 2008 nella città di Napoli l’indice di vecchiaia è passato dal 91,13 punti percentuali, del 2001; a 110, 89 punti percentuali. Nella città di Napoli la popolazione residente anziana è di 176.973 abitanti, 17,5% sul totale della popolazione residente di 1.013.943. Rispetto all’assistenza sanitaria non c’è selezione per l’accesso sulla base di criteri reddituali, mentre per quanto riguarda l’assistenza sociale hanno la priorità le persone e famiglie più povere, i precari e coloro non hanno una rete parentale. Non è un caso se anche da quartieri “ricchi” come Chiaia-Posillipo e S. Ferdinando pervengono tante domande di sostegno.

Razzismo verso gli operatori migranti. “In queste municipalità c’è un alto numero di famiglie con figli disabili e tanti anziani soli- spiega Sergio Vasquez il coordinatore del servizio fornito da Accaparlante in queste zone-. Eppure abbiamo avuto delle difficoltà ad inserire nelle famiglie sia operatori ritenuti “inadeguati” rispetto al proprio standard, sia alcuni operatori immigrati. E’ il caso di un algerino, una persona affidabilissima di cui però la famiglia si lamentava di cose assurde solo perché il ragazzo è straniero”.
La stessa diffidenza dei quartieri “bene” si riscontra nei quartieri agli “antipodi”, quelli più marginali come Scampia. “In situazioni di ignoranza, come nel caso di famiglie delle Vele di Scampia, dove abbiamo riscontrato un forte razzismo, evitiamo di mandare operatori migranti per tutelarli”- chiarisce Di Fiore.  La storia di Luigi. E’ nelle famiglie più povere che la gestione di un disabile in famiglia può risultare insostenibile e l’aiuto degli operatori è fondamentale. E’ il caso della Signora Garofalo di Pianura, con un figlio di 12 anni, Luigi, con atrofia muscolare spinale, allettato e a sei mesi già trachetomizzato. “Mio marito lavora tutto il giorno perché, come si suol dire “deve vedere da dove spunta il sole” - racconta la signora-. Solo la mattina, quando vengono l’infermiera e l’aiuto domiciliare ho un momento di respiro, altrimenti il tempo lo trascorro accanto a mio figlio. In tre ore in cui ci sono le due persone dell’assistenza, prima le aiuto a fare il bagno a mio figlio, poi riesco a mala pena a fare io la doccia, a scendere per la spesa e qualche servizio. L’infermiera gli somministra i farmaci e gli fa logopedia, mentre l’assistente domiciliare pulisce la cameretta del bambino. Con loro mi trovo bene e mi sono affezionata: da quasi 4 anni c’è la stessa infermiera e da 3 l’osa.
Ma qualche ora in più farebbe bene a me e al bambino. In altre regioni c’è un assegno di 1600-1700 euro al mese con i quali la mamma gestisce l’assistenza al figlio, pagando infermiere ed assistenti domiciliari. Non capisco perché in ogni comune si adotti un protocollo diverso: ci sono comuni in cui vengono date più ore di assistenza. Da 12 anni faccio risparmiare i soldi alla Asl poiché ho scelto di tenere mio figlio a casa nonostante la gravità della sua situazione sia molto grave. Mio figlio viene alimentato con la peg, un buchino nello stomaco, eppure ci hanno tolto gli omogeneizzati gratuiti perché hanno detto che non ci sono soldi. Per la legge 104 dovremmo avere l’assistenza 24 h su 24. Ci sono mamme che hanno avuto l’opportunità di fare un altro figlio. Io ho 40 anni e mi sono fatta vecchia a fare battaglie”.
“La signora ha contemporaneamente 2 operatori, un infermiera e un osa altrimenti le sue ore sarebbero raddoppiate. Ha infatti un totale di 30 ore settimanali- ribadisce la Chieffo-. Tuttavia umanamente capisco bene le sue difficoltà. Ed è anche nostro interesse puntare all’assistenza domiciliare perché i ricoveri nelle strutture ospedaliere oltre ad essere più costosi sono meno umani, rispetto alla possibilità di vivere nella propria famiglia. Di fatto i posti residenziali per i malati e i disabili non bastano, le strutture, dal 2012 gestite dalla Asl, sono spesso decentrate in provincia e sono insufficienti, con liste d’attesa molto lunghe”.

Gli operatori, capri espiatori del disagio. “Sarebbe necessario una maggiore integrazione con gli altri servizi presenti sul territorio- chiarisce Rosanna Di Fiore-. Invece, il servizio di assistenza domiciliare spesso è l’unico servizio a favore delle famiglie con persone disabili e all’operatore viene chiesto molto più di quello che è indicato nel progetto individualizzato. Alcune famiglie pensano che siamo il 118, mentre gli operatori sono tenuti a rispettare il progetto individualizzato che prevede un supporto in media di 2 ore al giorno. In alcuni casi sarebbe necessario un sostegno alla genitorialità affinché la famiglia impari a gestire meglio le problematiche dei figli disabili. In alcune situazioni particolarmente drammatiche, come quella di una signora del quartiere S. Carlo Arena con due figli cinquantenni entrambi allettati e molto gravi la risposta non può essere domiciliare. La signora infatti usufruisce di 6 ore al giorno a figlio di assistenza anche la domenica, che sono tantissime; lo scopo del servizio è infatti di essere di supporto alla famiglia, non può essere 24h su 24h. Se il caso è particolarmente grave e c’è bisogno di un’assistenza giorno e notte è necessario portare le persone nelle strutture preposte, che purtroppo non sono sufficienti.”.

Alessandra del Giudice

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