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Domenica 5 Maggio 2024




Se non t’importa il colore degli occhi. Inchiesta sui manicomi giudiziari

di Maria Nocerino

Se-non-timporta-il-colore-degli-occhiNudi in celle di isolamento, incatenati a letti di coercizione, costretti a condizioni igieniche al limite della decenza, destinati a una “misura di sicurezza” che può trasformarsi in ergastolo. Non è la scena di un film degli anni ‘50, ma la situazione in cui ancora oggi vivono centinaia di persone negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) del nostro Paese. Come è possibile tutto questo a più di trent’anni dalla legge Basaglia? Perché è così difficile chiudere i manicomi giudiziari? Questi alcuni dei quesiti posti da Dario Stefano Dell’Aquila, responsabile dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone Campania, nella sua inchiesta Se non t’importa il colore degli occhi (anno 2009, Edizioni Filema).

Il testo si propone di documentare le condizioni di vita nei manicomi giudiziari, su due piani: uno è quello del “racconto” attraverso la testimonianza di cinque visite avvenute tra il 2007 e il 2008 nei sei Opg presenti in Italia, ad Aversa (Caserta), Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino (Firenze). Un viaggio a cui l’autore partecipa direttamente in compagnia dell’amico e maestro Sergio Piro, lo psichiatra napoletano scomparso nel gennaio di quest’anno, alla cui memoria sono dedicate le pagine di questo libro.

L’altro è quello dell’analisi: gli ultimi dati ci dicono che sono 1.365 gli internati presenti negli Opg italiani, di cui cento donne, su una capienza regolamentare di 1.003 posti. Quasi 400 si trovano nei manicomi giudiziari campani:262, inuna struttura che può ospitarne fino a 259, nell’Opg di Aversa,116 inquello di Sant’Eframo, che ha una capienza di 103 posti. Più della metà è finita dentro per reati contro la proprietà, non contro la persona. Nella maggior parte dei casi, la cosiddetta “misura di sicurezza”, ovvero il periodo d’internamento previsto per la persona “socialmente pericolosa”, viene prorogata all’infinito, indipendentemente dal reato commesso. Complicato spiegarne il motivo: spesso conviene più tenerli dentro, che farli uscire, perché non ci sono le condizioni materiali né un contesto sociale e familiare capace di accoglierli, così succede che talvolta siano proprio le famiglie a preferire questo stato di cose.

Ma chi sono i “malati di mente autori di reato”? Non è così difficile finire in un manicomio giudiziario: basta che una persona che abbia commesso un reato, anche minore, con “vizio di mente” accertato, sia giudicata “socialmente pericolosa”. Si può entrare in un Opg anche per aver rubato 12 euro, come è successo a Giovanni M., 24 anni, tossicodipendente, denunciato dalla famiglia e accusato di “estorsione”.

Il suo caso è emblematico di un sistema che non solo non è stato affatto toccato dalla riforma psichiatrica degli anni ‘70, ma è anche totalmente inadeguato. Nulla di più lontano da un luogo di cura, nonostante il lavoro quotidiano di medici, operatori e volontari, secondo l’autore, il quale conclude con una speranza: quella di un vero profondo cambiamento, da realizzare soprattutto attraverso un ripensamento delle “misure di sicurezza” e maggiori risorse per la salute mentale.

(Fonte: Agorà Sociale)

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