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venerdì 26 Aprile 2024




“I tossicodipendenti non dovrebbero stare a Poggioreale”

Parla Samuele Ciambriello, Garante dei detenuti della Regione Campania

samuele ciambrielloEntrano perché (forse) hanno commesso un reato, escono dopo averlo (quasi certamente) subito. I detenuti nel nostro Paese vedono negati i propri diritti, a partire dalla dignità. I tossicodipendenti, poi, non dovrebbero proprio entrare in carceri come Poggioreale. Lo sostiene Samuele Ciambriello, Garante dei detenuti della Regione Campania.

Droghe: i consumi aumentano, soprattutto tra i giovani, ma il tema delle dipendenze è scomparso completamente dall’agenda politica, salvo poi ritornare quando si verificano fatti eccezionali. Secondo lei, perché?

Perché c’è una mentalità un po’ bacchettona, che continua a coniugare lo spinello con la devianza e l’ipotesi di reato. Oggi per la Legge Fini-Giovanardi, le carceri italiane sono piene in maniera ingiustificata. Aspettiamo lo “svuota carceri”, il Governo dovrebbe approvare la riforma dell’ordinamento penitenziaria, che prevede misure alternative, lavori socialmente utili, riconoscimenti per buona condotta; ci sarebbe anche da lavorare al sistema della giustizia minorile, e sulla sfera dell’affettività dei reclusi, ma questo è un altro discorso.

Dipendenze e carcere: i dati dicono che circa il 38% della popolazione carceraria ha problemi diversi di dipendenza, molti di più di quelli che di fatto si riescono a contenere e curare nelle carceri. Cosa si può fare per migliorare la situazione?

L’assurdo è che chi entra in carcere spesso si dichiara tossicodipendente ma solo una parte di questi poi viene trattato come tale, quella parte che ha contatti con il SerT, mentre, come si sa, la maggior parte delle persone che si droga, lo fa e basta, senza contatti con il pubblico. Basterebbe fare un controllo per appurare ciò. Oggi, il 30% dei detenuti è dentro per consumi di droga o per reati correlati. Si tratta di una popolazione che, insieme alle persone che soffrono di patologie psichiatriche, non dovrebbe stare in carceri come Poggioreale, dove ci sono più di 2000 persone nelle vecchie celle con le sbarre in ferro, ma avere propri spazi attrezzati e progetti adeguati al loro trattamento, senza i quali la loro condizione di partenza non può che peggiorare. Una volta c’era per loro il carcere di Lauro, ora non c’è più; c’è però il carcere a custodia attenuata di Eboli, l’unico che ha la metà dei detenuti che potrebbe contenere, 35 su 70. Ma i detenuti tossicodipendenti di Poggioreale non si mandano lì, un po’ perché i reati commessi sono ritenuti  gravi, ma anche perché ci si perde nel tragitto dell’iter dello spostamento.

Sa che a Poggioreale c’è il progetto IV Piano? Che ne pensa?

Conosco il progetto molto bene, è una bella iniziativa di integrazione in cui i detenuti del Padiglione Roma possono fare attività e laboratori stimolanti. Ma non basta, anche perché poi queste persone quando scendono dal Quarto Piano, appunto, si trovano in una realtà come quella di Poggioreale, dove possono solo peggiorare. Per loro ci vogliono spazi, come del resto per tutti i detenuti, a cui è negata la libertà, ma non dovrebbe essere negato il diritto a una vita dignitosa e alla socialità. I progetti sono importanti, ma sono una goccia nell’oceano. Bisognerebbe uniformare i progetti terapeutici ed evitare che ci sia discrezionalità “trattamentale”.

Come Garante dei diritti dei detenuti, cosa pensa delle misure alternative alla detenzione, in particolare, nel caso di questa popolazione più fragile?

Che sono necessarie ma, ad oggi, rappresentano una iniziativa presa da pochi giudici coraggiosi. Nessuno vuole rischiare, autorizzando l’affidamento esterno. Nel nostro Paese, entrano in carcere migliaia di persone che, dopo il processo, vengono giudicate innocenti. L’anno scorso, 500 persone tra Napoli e provincia hanno ottenuto dallo Stato un risarcimento per ingiusta detenzione, costando complessivamente 4 milioni di euro. C’è un abuso di carcerazione preventiva, soprattutto nel caso di persone con problemi, tossicodipendenti, stranieri, affetti da Hiv, per cui non potrà che esserci un aggravamento delle condizioni di salute. Il grande problema in Italia è stato pensare che mettendo tutti in carcere, si potessero togliere i giovani dalla droga.

Quale è la recidiva per i detenuti che realizzano all’interno percorsi di inclusione sociale?

Purtroppo, tutti quelli che non hanno un gancio, un’opportunità, una rete di relazioni umane e sociali che possano sostenerli fuori, sono già perduti e sono destinati, nell’80% dei casi, a rimettere piede in carcere.

Secondo lei, quale valore aggiunto ha lavorare sulle problematiche della dipendenza in maniera “integrata”, pubblico e privato sociale, insieme, come accade, appunto, in questo tipo di progetti?

Un valore enorme, ma non basta quello che si fa. Penso a Poggioreale, dove ci sono più di 2000 ma solo 15 operatori sociali e dopo le 3 del pomeriggio ci sono solo volontari. Occorrono molte più figure sociali intermedie che abbiano relazioni personali con i detenuti, altrimenti, chi è rinchiuso, senza adeguati spazi e senza coltivare rapporti umani, diventa rancoroso, ed esce più “pericoloso” di quanto è entrato.

Spesso si parla di problemi ma non di soluzioni. Napoli ha dei servizi al passo con le maggiori città europee in materia di prevenzione e riduzione del danno soprattutto per i giovani e i nuovi consumi (alcuni esempi: l’Unità mobile di strada che va nei luoghi di divertimento dei giovani, Mamacoca), secondo lei quanto è importante che le persone conoscano queste realtà?

Importantissimo, ma questi servizi non sono molto conosciuti, dovrebbero arrivare a tutti attraverso una comunicazione sociale più capillare, perché, è il caso di dirlo, prevenire è meglio che curare. Le buone pratiche in ambito sociale ci sono ma non bastano: oltre a cambiate le leggi, ma questo spetta alla politica, vanno potenziati e messi al passo coi tempi i servizi. Penso al SerT, ad esempio, oggi frequentato da chi proprio non ce la fa più, che certo non aggancia, così com’è, i nuovi consumatori.

Maria Nocerino

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