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venerdì 26 Aprile 2024




La conciliazione al tempo della crisi. Teoria o Pratica?

Un convegno fa il punto sul PIC 

convegno pic 02 dic 2015Conciliare tempo di lavoro, tempo di cura e tempo personale è possibile in tempi di crisi? Si è aperto con una serie di provocazioni l'interessante convegno "La conciliazione al tempo della crisi. La ricerca di un equilibrio tra i tempi di vita delle donne quando il lavoro non c’è" che si è svolto mercoledì 2 dicembre nella Sala G. Nugnes per fare il punto sui risultati raggiunti dal progetto PIC - Premio alle Imprese per la Conciliazione.

Partito nel 2014 dalla collaborazione tra Comune di Napoli, Gruppo di Imprese Sociali Gesco, L’Ape – Agenzia per la promozione della cooperazione sociale e Fondazione Giacomo Brodolini nel quadro del Programma Donne per lo Sviluppo Urbano, il PIC nasce con l’obiettivo di promuovere l’occupazione e l’imprenditorialità femminili attraverso il miglioramento delle condizioni di accesso al mercato del lavoro e alla vita sociale.
Uno scopo che in un periodo prolungato di crisi risulta particolarmente difficile raggiungere, soprattutto nel Sud Italia dove tantissime donne non lavorano, sebbene spesso si abbiano a disposizione gli strumenti teorici e pratici (pensiamo ai tanti finanziamenti europei per il sostegno del lavoro femminile) per realizzarlo. Questo si evidenzia subito nel convegno moderato da Luca Sorrentino, presidente dell'Ape.
Lia Cacciottoli, esperta in politiche di Genere, introduce i lavori mettendo in discussione il concetto stesso di "conciliazione" che, secondo la studiosa, a livello giuridico viene definito quale risoluzione di un conflitto tra due persone grazie ad un mediatore ed è dunque inadeguato a descrivere una situazione complessa e multidimensionale quale la relazione tra vita professionale, personale e familiare.
La "conciliazione", o "condivisione"- come meglio andrebbe definita secondo Luciana Del Fico, della UilCampania-, è un'insieme di accorgimenti politici e culturali volti a migliorare la vita collettiva sia delle donne che degli uomini. Concorrono nel realizzarla o nella sua mancata realizzazione: le politiche sociali e del lavoro nazionali e locali, la cultura, le relazioni di coppia e la gestione delle responsabilità familiare, i servizi di welfare di sostegno alla vita familiare (asili, assistenza domiciliare agli anziani, ospedali etc.), i servizi cittadini per la mobilità e la vivibilità.
"Nonostante il tema delle politiche di genere investa la società nella sua totalità, invece se ne occupano solo le donne- sottolinea Luisa Menniti, esperta di Pari Opportunità- e le stesse istituzioni non lo accolgono come obiettivo. Spesso si investe in progetti che riguardano la conciliazione e le pari opportunità, ma sono fini a se stessi, da un lato non si monitorano i risultati raggiunti, dall'altro le buone prassi non vengono sistematizzate e si riparte ogni volta da zero. I tempi poi per realizzare un progetto dal momento in cui è stato approvato sono sempre troppo lunghi".

Oltre alle relazioni degli esperti particolarmente stimolanti sono stati gli interventi di donne lavoratrici sulla loro vita quotidiana. Luisa Basso, professionista che lavora in modo precario, ha riportato l'attenzione sul tema centrale dell'incontro ovvero:" La ricerca di un equilibrio tra i tempi di vita delle donne quando il lavoro non c’è". "Le misure di conciliazione- chiarisce Basso- non sono attuabili quando le modalità lavorative mutano sempre o si lavora a periodi e bisogna riorganizzare di volta in volta la vita familiare. Bisogna fare i conti con le esigenze economiche e i costi ad esempio di una baby sitter spesso più alti rispetto a quelli di uno stipendio saltuario, con la mancanza o l'inadeguatezza di politiche del lavoro rispetto al precariato e dall'altro lato con la cultura dominante che vede ancora tantissime donne dedicarsi esclusivamente alla casa e ai figli e una madre che non lo fa talvolta viene criticata dagli stessi figli che in questa società ancora discriminate vivono".
"Un problema tipicamente napoletano- ha sottolineato Luca Sorrentino - è quello che le aziende campane sono soprattutto piccole e medie e spesso artigiane perciò risulta difficile rinegoziare i tempi di lavoro. Tuttavia in molti casi sebbene le prassi di conciliazione non siano codificate e dunque non emergono dai dati, molti lavoratori riferiscono una flessibilità aziendale "fatta in casa" che si adatta di volta in volta alle esigenze personali dei dipendenti".   
Ancora più complessa la sfida per le donne imprenditrici, a raccontare la loro storia Rosanna Castiello e Mariapia Fortunato. Le due giovani donne dopo aver seguito i corsi di Casa della Socialità (un progetto, ma anche un luogo fisico, per lo sviluppo dell’autonomia economica femminile realizzato promosso e sostenuto dall’Assessorato al Lavoro e Attività Produttive del Comune di Napoli, parte del Programma Donne per lo Sviluppo Urbano) -  hanno creato "Start&Go" una cooperativa di servizi di supporto alle aziende. "Prima ero una lavoratrice dipendente a tempo determinato- racconta Castiello- così quando l'azienda ha saputo che ero incinta ha trovato il modo per mandarmi via. Oggi sto iniziando questa nuova esperienza da imprenditrice e non è facile conciliare il lavoro con la famiglia e della mia bambina, ma per fortuna condivido i compiti familiari con mio marito. Anche se è dura è soprattutto per mia figlia che lo faccio, perché in futuro diventi anche lei una donna indipendente". Mariapia Fortunato racconta invece di un caso positivo: "Prima lavoravo in un'azienda di filati che non solo mi ha assunta non appena sposata, ma quando sono diventata madre mi è venuta incontro riducendo l'orario di lavoro secondo le mie esigenze. Purtroppo poi l'azienda è fallita.  Oggi mi sono lanciata in questa nuova avventura nonostante le mie figlie mi reclamino ancora quando sono impegnata".
Particolarmente interessante l'intervento di Graziano di Paola, della Fondazione Giacomo Brodolini che ha sottolineato come un tema cruciale per la conciliazione sia quello delle politiche del lavoro ed in particolare di come asseconda le nuove forme di lavoro debbano adeguarsi i modi, i tempi e i luoghi del lavoro affinché si attui la conciliazione. "In precedenza ho lavorato per un'azienda dove mi sono occupato anche delle risorse umane. All'epoca molte donne ebbero un figlio e chiesero la riduzione delle ore lavorative. Quando l'azienda andò incontro alle loro esigenze, la produttività si incrementò, nonostante la riduzione del tempo di lavoro poiché crebbe nelle donne la motivazione e l'affezione per il lavoro. . Spesso i lavori intellettuali non necessitano il recarsi in sede, così come può essere anche per l'azienda più funzionale che una lavoratrice si rechi in ufficio più tardi la mattina e magari segua delle riunioni nel pomeriggio, riuscendo così meglio a gestire gli impegni con i figli. Ecco che ad un lavoro di consulenza o ad un lavoro nella ITC non si possono più applicare in modo monolitico forme organizzative di lavoro obsolete come il classico timbrare il cartellino. Allo stesso tempo come padre e marito posso dire che c'è un'attenzione e una ricerca continua di un equilibrio nella divisione dei compiti familiari. La conciliazione riguarda la riorganizzazione sociale nel suo complesso".
Sergio D'Angelo direttore Gruppo Imprese Sociali GESCO, partendo dall'esempio della sua azienda in cui oltre il 70% delle dipendenti sono donne "grazie alla presenza delle donne c'è una grande efficienza  e al contempo c'è un'attenzione di Gesco alle loro esigenze", sottolinea un problema cruciale: "il welfare è spesso fatto delle donne, ma non per le donne. Siamo in presenza di politiche di vera e propria discriminazione nei confronti del genere femminile. Questo è evidente a partire dall'ultima dichiarazione del Ministro del Lavoro che invita a non considerare forse l'unico punto di riferimento rimasto per valutare la qualità del lavoro, ovvero la quantità delle ore lavorate, e che può sottintendere il rischiosissimo assunto che se il datore non considera sufficienti 8 ore giornaliere per raggiungere un obiettivo potrebbe costringere il lavoratore a 10 o 12 ore di lavoro. La cultura del lavoro in quest'ultimo decennio si è corrosa. Lo dimostra il divario di genere rispetto ai dati di disoccupazione, la percentuale femminile va oltre il 40% e cresce al Sud, nonostante le competenze che le donne possono mettere in gioco sono spesso superiori di quelle degli uomini. Al di là delle buone pratiche e della promozione di una cultura della parità di genere, le donne vanno sostenute con politiche pubbliche che incentivino anche con aiuti economici il lavoro femminile".
Le conclusioni sono state affidate a Enrico Panini, assessore al Lavoro e alle Attività Produttive del Comune di Napoli, che ha tracciato un'analisi articolata delle difficoltà lavorative e di conciliazione vissute dalle donne a Napoli, partendo dai dati del Censis del 2011: "Si dice che il lavoro consente di realizzare un progetto di vita, ma questo al Sud è vero in pochissimi casi. I numeri parlano di una realtà cittadina, in cui su un milione di popolazione abbiamo 177mila fino ai 29 anni, oltre il 10%, dunque rappresentiamo la città più giovane d'Italia e d'Europa, un po’ meno del 50% sono donne, a 18 anni 10mila donne si dichiarano casalinghe. Per classificarsi casalinghe a 18 anni significa che le donne svolgono in prevalenza una funzione di tenuta del nucleo familiare. Le donne hanno titoli di studio superiori a quelli degli uomini ma non troppo. La percentuale di donne tra i neet dopo i 20-25 anni supera il 50%, in controtendenza con la fascia prevalente dei neet uomini che arriva fino a 25 anni. Dunque evidentemente le donne "non lavorano e non studiano" dopo il matrimonio.
Le pratiche e i ragionamenti sulla conciliazione sono fermi, soprattutto non si è in grado di capire come sono cambiati i lavori e le esigenze delle persone a partire dalla precarizzazione devastante, mentre si ragiona ancora come se fosse prevalente il lavoro industriale o pubblico. Le politiche di welfare non tengono in conto i diritti delle donne e degli uomini rispetto alla famiglia, basti pensare a come sono organizzati in modo obsoleto gli asilo nido pubblici che chiudono presto il pomeriggio come voleva la vecchia organizzazione dell'impiego pubblico. Sulla spesa dei fondi europei 2007-2013 la regione Campania è agli ultimi posti insieme a tre province della Romania, una nazione che da poco è entrata in Europa e che dunque non ha l'esperienza che dovremmo avere noi nel gestire tali fondi, tra somme accreditate e somme utilizzate abbiamo perso miliardi, e per i fondi 2014-2020 ci siamo giocati già 2 anni, tanto che la vecchia amministrazione di Caldoro ci ha consegnato 93 interrogazioni europee. Sono necessarie analisi demografiche e sociali e condivisione prima di realizzare servizi pubblici e progetti sociali e lavorativi. Mai più politiche che non siano partecipate".  

Alessandra del Giudice

Per saperne di più: PIC, www.gescosociale.it, www.agenzialape.it

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