Cordiali e sorridenti, ma gelosi delle loro origini. Reportage tra gli srilankesi di Napoli

L’odore intenso del sambol, del kottu e del lambrais che riempie i vicoli; giardini e i parchi pubblici che di domenica si affollano per intense partite di cricket;  il suono del Gatà Berà, del Thammatama  e dello Yak Bera, persino un tempio buddista: una città nella città, abitata da uomini, donne e bambini che parlano una lingua dolce e melodiosa e scrivono con lettere tondeggianti che sembrano ghirigori. Di Napoli, delle sue tipicità, ormai fa parte integrante un campionario di spezie, strumenti musicali e sport che vengono da molto, molto, lontano. E avvicina al cuore dei rioni popolari tradizioni e usanze del più esotico oriente. Uno spicchio di Sri Lanka che si sviluppa su appena quattro chilometri quadrati tra quartieri Spagnoli, Stella e San Carlo Arena. Qui, vivono, ormai da anni oltre settemila cingalesi.

La maggior parte è arrivata in Italia per trovare lavoro e  per inviare soldi ai  familiari. Oltre il 90%  a Napoli è impiegato come domestico, un’attività che permette di guadagnare più di qualsiasi altra professione qualificata in Sri Lanka; la parte restante lavora soprattutto nella ristorazione.

Hanno un livello di istruzione basso e poca dimestichezza con la lingua italiana, nonostante questo sono tra le comunità straniere meglio integrato nel tessuto economico e sociale della città. Una spiegazione prova a darla un’operatrice dello sportello per gli immigrati della Confartigianato di Napoli, che si occupa delle attività commerciali dei cingalesi: “Trovano facilmente impiego come domestici: vestono secondo stili occidentali, sembrano molto tranquilli, hanno un aspetto più rassicurante degli Africani e quindi gli Italiani tendono a fidarsi. E ad affezionarsi”.

Esiste però una differenza tra i primi arrivati e le generazioni successive. Se per i pionieri della migrazione, l’Italia resta un Paese dove poter far fortuna con la speranza di tornare un giorno in patria, i figli e i nipoti non sentono più così forte il legame con la terra d’origine. “Negli anni 70, quando i primi di noi si stabilirono qui – spiega Mark Antony Perera,  il presidente dell’Associazione Srilankesi a Napoli – si avvertiva una certa diffidenza. L’inizio non è stato facile,  ma con il tempo ci siamo trovati sempre più a nostro agio in questa città e la sentiamo un poco più nostra”. Parole che stridono con un’evidenza di segno opposto: oltre l’orario di lavoro è raro vedere per strada gruppi misti di amici italiani e Srilankesi. Un modo, forse, di coltivare e custodire le proprie tradizioni.

Tra la prima e le nuove generazione si determina così una frattura. Una sorta di scontro generazionale e culturale. Sono scosse di assestamento nell’incontro tra culture un tempo così di stanti che produce ribaltamenti sorprendenti. Come raccontano Rwanì e Ranesh, studenti universitari, la prima  in Italia dall’età di quattro anni, il secondo nato a Napoli: “Abbiamo fatto dei tentativi per integrarci con la comunità Srilankese di Napoli – spiegano i due - ma loro sono piuttosto chiusi e molto diffidenti. Forse non amano chi fa parte sia della loro comunità sia di quella italiana”. Rwanì, tratti del viso dolci e intensi occhi neri, non rinnega affatto le sue origini. Anzi: “Ho vissuto la maggior parte della mia vita in Italia, mi sento Italiana, qui è la mia casa. Ma anche quando torno in Sri Lanka mi sento a casa, lì respiro un’aria differente, sento la mia gente. E’ come se avessi due case, non so dove sceglierò di vivere in futuro”. Qualcuno tra i ragazzi è invece più radicale, e porta la rottura a una vera e propria ribellione: “Cricket, danze tipiche, la loro arte, la loro musica ci hanno stufato. Sono cose bellissime ma non le vogliono condividere all’esterno”. Sherit,  studente di ingegneria aerospaziale: “Qui mi trovo bene, ma sono arrivato qui a quindici anni e la mia casa resta quella, nonostante le difficoltà in cui versa il mio Paese”.

A creare ulteriori conflitti è il ruolo della donna. “La cultura srilankese prevede un percorso severo, rigido - modello ginocchia sui ceci, scherza Rwanì -. Le donne in Sri Lanka indossano abiti lunghi, e continuano ad avere un ruolo prevalentemente remissivo, si adattano a lavori umili”. Anna, sua amica, al contrario assicura: “non indosserei mai vestiti corti”.

In Sri Lanka oltre il 70% della popolazione è Buddista, e i cristiani sono una minoranza. A Napoli il rapporto cambia, la maggior parte segue la religione cristiana. Le celebrazioni religiose sono occasioni di incontro per la comunità. La messa si celebra la domenica nella Chiesa del Gesù Nuovo; un’occasione fissa per intrattenersi dopo in piazza e fare comunità. Il tempio Buddista è a Chiaiano; piazza Dante è invece lo spazio per le feste laiche: la più importante è il capodanno che si celebra ad Aprile con banchetti di pietanze tipiche e balli in costumi dai colori vivaci e luminosi.

Daniele Pallotta

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