I campionissimi che dissero no al Reich

Max-SchmelingL’utilizzo fatto dal regime nazista dello sport come strumento di propaganda, utile a diffondere teorie sul primato del corpo e delle capacità ariane, e gli esempi di resistenza civile di due atleti: questi i temi dell’incontro “Leggi Razziali e sport”, tenutosi presso il Real Albergo dei Poveri,  la cui relatrice è stata Laura Fontana: Responsabile per l'Italia del memorial de la Shoah di Parigi e responsabile del progetto educazione alla Memoria del Comune di Rimini, e che ha visto la presenza di Marco Rossi Doria, Sottosegretario al Ministero della Pubblica istruzione ed Ernesto Lupo, Segretario nazionale di Psichiatria Democratica.

Il corpo in Germania non era mai rappresentato nella sua individualità, ma  declinato sempre in senso collettivo. Il terzo reich instillò in tutto il popolo l’ossessione verso la forza fisica; individui in salute avrebbero sostenuto la Germania con vigore : uno degli slogan era : “il tuo corpo non ti appartiene.” Hitler si lasciò convincere da Goebbels sull’ importanza di alimentare il mito dell’atleta alto, biondo, longilineo, potente e di razza ariana. Agli occhi dell’opinione pubblica i campioni tedeschi apparivano semidei, ma pagarono la loro celebrità con l’assoluta sottomissione ai nazisti. Nel 1933 si dispose che nelle amministrazioni pubbliche non fossero ammessi i non ariani. Nonostante non fosse obbligatorio per legge, nei mesi successivi anche le federazioni sportive approvavano regolamenti che escludevano ebrei, sinti, rom. Il regime era interessato unicamente alla vittoria dei propri atleti sugli avversari; i record erano obiettivi di secondo piano.

La maggioranza del popolo tedesco si lasciò entusiasmare dalle idee visionarie di Hitler, che prometteva a cittadini prostrati dalla fame e dalla carestia, visioni future di benessere e supremazia tedesca. Anche il mondo dell’atletica fu quasi completamente sottomesso al volere nazista. Vi furono tuttavia alcuni, rari, casi di resistenza civile, come quello del ciclista Albert Richter e del pugile Max Schmeling.

Albert Richter nacque a Colonia nel 1912. Nel 1934 vince il giro di Germania. Una foto lo ritrae in sella alla bicicletta con le braccia sulle gambe mentre intorno tutti lo festeggiano col braccio destro alzato secondo i dettami del Reich. Il suo allenatore era Ernst Berliner, di origine ebrea e Richter rifiutò sempre di distaccarsi da lui. Chiari segnali di disobbedienza al regime.

Si traferirà e gareggerà in Francia, dove per il suo carattere affabile verrà soprannominato Teddy. La Gestapo gli ordina di diventare una spia tedesca sul territorio francese. Lui rifiuta e dichiara pubblicamente : “io non combatterò mai contro i miei amici francesi.” Ha solo 22 anni. Tenta di fuggire in treno, ma la Gestapo lo arresta. Dopo due giorni viene emanato il comunicato della morte di Richter per suicidio in carcere mediante impiccagione. Alla famiglia non fu permesso di vedere la salma.

In seguito il Reich dispose che il nome di Rihcter fosse cancellato da qualsiasi memoriale sportivo.

Max Schmeling nasce nel 1905 e fu il primo europeo campione del mondo dei pesi massimi. Non si iscriverà mai al partito nazista. Sposa Anny Ordra, un’attrice polacca,  considerata appartenente ad una  razza inferiore dai tedeschi. Anche il suo allenatore Joe Jacobs, come quello di Richter, era ebreo. Tra i due si costruì un rapporto d’affetto, di fiducia e di solidarietà; rifiutò sempre di separarsene.

In un match contro l’americano di colore Louis, Schmeling viene messo al tappeto dopo pochi minuti e resta ricoverato in ospedale per 15 giorni. Il primo ad andarlo a salutare durante il ricovero  è Louis. Si crea tre i due una vera amicizia: Schmeling donerà soldi a Louis quando questi sarà indigente e si offrirà di   portarne la bara. L’amicizia con un nero non era ammissibile per il regime, così come non era ammissibile la sconfitta.

Nel corso della notte dei cristalli nel 1938 Schmeling nasconde in casa sua due ebrei salvandoli dalla rappresaglia.

Verrà inviato in guerra; viene ferito e torna in Germania. “ La guerra è una stupidità totale e condurrà la Germania al tracollo.” – dichiara. Morirà nel 2005 in Germania.

“Quella dei due sportivi non fu una resistenza armata, ma una disobbedienza civile. Hanno dimostrato come l’essere umano abbia sempre una possibilità di scelta. La resistenza inizia con il rifiutare di essere complici. Se qualcuno poteva dire no, tutti potevano dire no.” – spiega la dottoressa Laura Fontana

Il rapporto tra sport e potere evidenzia ancora  oggi criticità, molto diverse dal passato, ma potenzialmente molto pericolose. In Cina  i bambini destinati a diventare atleti vengono sottoposti ad esercizi massacranti. Devono assolutamente vincere, per il prestigio della Cina. Sul web sono presenti video degli allenamenti.

In Italia il problema è diverso. Lo sport, in particolare il calcio, è sempre più un mezzo di distrazione di massa. “E’ raro assistere ad interruzioni di partite da parte dei calciatori per i cori razzisti. Così come è raro – conclude la dottoressa Fontana - che un singolo calciatore all’apice della carriera si esponga singolarmente contro i poteri forti denunciando ingiustizie sociali.”

Daniele Pallotta

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