Dove sono finiti gli eroinomani? Viaggio tra gli irriducibili della “pera”

heroinFino alla fine degli anni Ottanta erano figure tristemente familiari dello scenario urbano. Allora gli eroinomani sembravano tantissimi, potevi incontrarli negli autobus, nelle piazze, nei luoghi della movida. Le siringhe abbandonate per la strada spesso erano il segno del loro passaggio. Erano gli anni in cui l'eroina sembrava l'unica droga di cui aver paura. La televisione trasmetteva un famoso spot contro l'Aids: uomini in bianco e nero che si passavano il contagio, raffigurato da un'aura viola, in mille modi. E nella percezione di tanti il più subdolo e rischioso era la puntura accidentale con un ago infetto. Oggi il mito della brown sugar è stato surclassato dall'irruzione sul mercato di nuove sostanze. La cocaina, un tempo la droga dei ricchi, in forme varie è diventata la regina del consumo. Grande successo anche per le sintetiche, come Mdma, Ketamina ed Ecstasy. Ma il dato sui sequestri mostra che l'eroina non è affatto finita: nel2010 in Italia ne sono stati intercettati carichi per circa mille chili, un decimo solo in Campania, quasi tutti diretti a Napoli. Dunque, se in città arriva ancora così tanta eroina, dove sono finiti i consumatori?

"Napolicittasociale" ha provato a dare una risposta a questa domanda con un viaggio tra Sert, Asl, comunità di recupero e luoghi del consumo, ascoltando operatori e tossicodipendenti, giovanissimi e di lunga data. Il mondo incontrato è fatto di situazioni di abbandono e degrado, ma ne emergono anche figure di grande umanità, che dedicano se stesse agli ultimi irriducibili dannati della "pera".

Innanzitutto quanti sono gli eroinomani? È difficile dare numeri precisi ed esaustivi. Gli unici dati certi da cui partire sono quelli forniti dai Sert. A Napoli quelli presi in carico dall'assistenza sanitaria pubblica sono circa 5mila. La stragrande maggioranza (92 percento) sono uomini, e la fascia d'età più rappresentata è quella che va dai 30 ai 40 anni (42,7 percento), seguita dagli over 40 (33%). Sono trattati con il metadone, un farmaco che riduce il bisogno di eroina, riduce il rischio di overdose, e soprattutto restituisce una parvenza di normalità. Proprio loro, da quando esistono i servizi per la tossicodipendenza, sono stati i primi a non muoversi più per le strade come zombie metropolitani. "L'allarme oggi è un altro, sono i giovanissimi poliassuntori che prendono indifferentemente coca, eroina, alcol e sostanze sintetiche a preoccupare di più", avverte il direttore generale dei Sert di Napoli Stefano Vecchio, "i vecchi eroinomani sono per la maggior parte presi in carico dalle Asl. Resta però una fascia di consumatori marginalizzati o difficilmente raggiungibili che continuano a bucarsi. Alcuni sono insospettabili che provengono da famiglie della buona società che difficilmente si farebbero vedere nelle stanze di un Sert. Altri, invece, vivono per la sostanza e si drogano in massa in luoghi appartati, spesso vicini alle basi di spaccio". Di questi è difficile fare un conteggio preciso, anche se è possibile azzardare una stima verosimile almeno per coloro che si bucano nelle cosiddette scene aperte. Gli operatori ipotizzano che siano almeno 500, quasi tutti concentrati in edifici abbandonati e parchi pubblici periferici delle zone di Scampia e Secondigliano.

Chi sono questi ultimi irriducibili? Per la maggior parte si tratta di eroinomani duri e puri, che rifiutano i trattamenti sanitari e il metadone perche innamorati della sostanza. Sono noti come "fiale" o "provini". Una cinica catalogazione che li colloca nei gradini più infimi della catena della droga: le fiale sono quelli che non possono permettersi una dose e quindi se la procurano raccattando residui da siringhe usate; i provini, invece, sono quelli che a prezzi stracciati, o addirittura gratis, si procurano l'eroina accettando di testare la qualità dei nuovi carichi. Sono i più disperati, tra loro si registrano ancora tante morti per overdose e il contagio da Hiv e da epatiti è ancora frequentissimo. La loro presenza in quartieri già resi invivibili dallo strapotere della camorra contribuisce ad alimentare l'esasperazione dei residenti.

Cosa si fa per loro? Al momento gli unici a fornirgli un minimo di assistenza e sostegno sono i volontari di un ambulatorio nel cuore della piazza dello spaccio. Al loro fianco da pochi mesi alcuni operatori del Sert. L'avvicinamento a questa realtà resta però difficile per l'ostilità dei clan e la mancanza di risorse e strumenti adeguati. Eppure in altri paesi europei si sperimenta da tempo un sistema di riduzione del danno per situazioni analoghe. Sono le Drug Consumption Rooms, in Italia non ne esistono e potrebbero essere tradotte come stanze del buco o narcosale. Nel mondo ce ne sono una settantina e sono in continuo aumento. La maggior parte si trova in Europa. Ce ne sono a Berna, ad Amsterdam, Rotterdam, Hannover, a Francoforte ci ha pensato persino un pastore luterano, che la ospita nelle sale della sua chiesa. "Si tratta di luoghi chiusi dove i consumatori possono fare uso di droga acquistata all'esterno in condizioni di igiene e sicurezza", spiega Stefano Vecchio, "i risultati sono incoraggianti perché strutture come queste hanno prodotto una riduzione considerevole del numero di morti per overdose, e attraverso la distribuzione di materiali sterili, di trasmissioni di malattie. Inoltre, dato non secondario hanno avuto effetti positivi anche sul piano dell'ordine pubblico, diminuendo i consumi nei luoghi pubblici".

Perché non provarci anche a Napoli? l'unico tentativo nel nostro Paese è stato fatto a Torino nel 2003. Dopo un numero impressionante di morti per overdose fu insediata una commissione di studio del Comune. Non se ne fece nulla. Oggi da molti operatori della nostra città viene il suggerimento di provarci almeno. Un esperimento a bassissima soglia che solo da lontano può ricordare l'accoglienza di una stanza del buco è l'unità di strada dell'Asl che distribuisce siringhe, fiale e disinfettanti ai tossicodipendenti che si ammassano nei dintorni di piazza Garibaldi. "L'importante è affrontare la questione con spirito pragmatico. Senza i pregiudizi ideologici che per esempio portarono al fallimento del tentativo solo ipotizzato a Torino", spiega Vecchio, "visto che il fenomeno c'è, non è possibile trovare strategie per rispondere alle esigenze di sicurezza dei cittadini e alla domanda di salute dei consumatori? Non è una soluzione che si deve sostituire ad altri strumenti di contrasto e controllo, ma è una risposta a un problema specifico. Alla fine sarebbe un progetto di salute pubblica".

Mario Leombruno e Luca Romano

Glossario

Brown sugar: è uno dei nomi con cui è conosciuta l’eroina.

Presa in carico: è la fase in cui il Sert definisce e avvia il progetto terapeutico personalizzato e concordato con l’utente. Segue le fasi dell’“Accoglienza”, in cui la richiesta d’aiuto viene accolta dal Sert, e della “Valutazione”, in cui si approfondisce il caso dal punto vista psicologico, sociale e medico e si formula un’ipotesi di intervento.

Riduzione del danno: approccio teorico che tende ad arginare gli effetti negativi collegati alla tossicodipendenza o ad altre condotte a rischio (ad esempio la prostituzione) come il diffondersi di malattie infettive. Si basa fondamentalmente su due pratiche: la distribuzione di materiali sterili e l’educazione tra pari, cioè la circolazione di informazioni tra i tossicodipendenti.

Bassa soglia: modello di intervento diretto a situazioni di estrema sofferenza sociale. Si tratta di servizi di facile accesso (di norma la maggiore età è l’unico requisito per accedervi), caratterizzati da un rapporto informale tra operatori e utenti. Non è richiesta alcuna motivazione specifica (ad esempio volersi curare) che vada oltre la soddisfazione di bisogni concreti (lavarsi, mangiare, usare materiali sterili nel caso della tossicodipendenza).

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