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Mario Donadio racconta: "diamo parola ai personaggi di Upas"

Intervista ad uno degli script editor della fiction

mario-donadioDietro i dialoghi di un Posto al Sole la macchina raffinata e super rodata dell’area “Script”. Ne parla Mario Donadio, sceneggiatore di un Posto al Sole, che ha dato parola ai personaggi del social drama fin dalle prime puntate. Oggi è uno degli script editor di Upas a garantire “continuità di azione, stati d’animo e linguaggio di ogni personaggio”.

Come funziona la macchina produttiva che dalla carta porta i personaggi di Upas sullo schermo?

Si parte dal concept ossia all’idea centrale importata in parte dalla cugina australiana di Upas, Neighbours: quella di una comunità che vive gioie e dolori quotidiani e ruota intorno ad un luogo preciso che a Napoli è palazzo Palladini. Dall’idea di base nascono le storie con il racconto non dialogato, il “trattamento”, che arriva a noi dell’area sceneggiatura. Dietro ci sono 25 dialoghisti che collaborano in modo più o meno cadenzato: le assegnazioni delle puntate avvengono ogni 2, 3 settimane. Ogni puntata di 26-28 minuti equivale a 40-45 cartelle scritte. Nell’area Script editiamo il lavoro dei dialoghisti garantendo continuità di azione, stati d’animo e linguaggio di ogni personaggio. Lavorano con me: Gabriella Mangia, l’altra script editor, e Roberta Greco, che coordina il reparto con la Produzione. La direzione generale dell’area è della supervisor Rosanna La Monica.

Chi è il dialoghista ideale di Un Posto al Sole?

È chi ha esperienza nella scrittura televisiva e conosce bene il nostro prodotto. Non è detto che un ottimo scrittore sia un buon dialoghista per Upas. Andando in onda da tanti anni vantiamo una specificità che si è raffinata con il tempo: c’è un rapporto preciso tra parlato e azione e ogni personaggio ha un suo modo di esprimersi particolare. All’occorrenza cerchiamo nuovi talenti pubblicando il bando sul nostro sito.

Upas è connotata dalla napoletanità, come vi siete regolati con il linguaggio?

Abbiamo accuratamente evitato il rischio di cadere nel dialettale, limitando l’uso del napoletano ad alcuni personaggi: Raffaele, Guido o Teresa che hanno un livello di istruzione più basso. Il loro napoletano è verosimile e limitato ad alcune espressioni, perché altrimenti scadrebbero nella macchietta. Vintariello nella realtà parlerebbe un dialetto così stretto da essere incomprensibile al resto d’Italia e forse anche a Napoli. Per i personaggi stranieri scegliamo attori stranieri e ci affidiamo al loro modo di parlare. È essenziale il bilanciamento tra realismo ed efficacia.

Upas sta utilizzando molto il linguaggio della musica, e di un settore particolare: quella neomelodica…

Quella del neomelodico è una realtà fortemente radicata nel panorama napoletano e quindi ci interessa nella ricerca di personaggi veri. Abbiamo utilizzato il neomelodico cogliendone gli aspetti comici, legati ad un linguaggio talvolta scorretto. In “Tre metri sotto terra” ci sono sgrammaticature volutamente forzate come “Salimi nel cielo blu”. Ci rivolgiamo con occhio benevolo ai neomelodici, spesso molto giovani, che offrono un aspetto ingenuo. Mimmo Calore è spocchioso, ma anche umano e tenero. “Tre metri sotto terra” è anche facile parodia di “Tre metri sopra il cielo”. L’ironia è lo strumento per impadronirci di una cultura di facile presa per creare un prodotto che può raggiungere un pubblico dal palato non sempre delicato.

Come si è evoluto il linguaggio dei personaggi negli anni?

Le regole di base non sono cambiate: la brevità delle battute e la concisione dei dialoghi. Nel tempo abbiamo cercato sempre più un linguaggio vero, che non fosse letterario e suonasse falso e di distinguere in modo preciso il modo di parlare dei diversi personaggi. Otello, più anziano cita spesso i proverbi, i personaggi più istruiti usano i congiuntivi, alcuni più giovani no. Nel dare voce ai ragazzi cerchiamo il linguaggio più vicino a loro, ma senza scadere nella sovrabbondanza di “è fico!” o “lol” .

C’è anche chi è diventato adulto in Upas come Silvia o Guido e ha cambiato modo di esprimersi con l’età e chi lo ha fatto per un’evoluzione personale. Raffaele di estrazione popolare è saggio e affidabile, ma era anche “selvaggio” intellettualmente. Con gli anni, nel rapporto con Ornella, si è “raffinato”.

Ci sono personaggi cui sei più affezionato per il modo di esprimersi?

Ce ne sono vari, Andrea e Arianna per l’ironia. Otello perché è “di casa”, rappresenta un personaggio presente in tante famiglie: il nonno pignolo e brontolone. Anche Renato è vero nel suo ripetere spesso le stesse cose, preoccuparsi eccessivamente dei figli, per la tirchieria. E’ divertente raccontare i difetti dei personaggi perché gli spettatori ci si ritrovano o ci ritrovano amici e parenti.

Utilizzate un lessico “sociale”?

Cerchiamo di attenerci a usare un lessico politically correct senza scadere in un linguaggio da testo scritto e quindi irreale. Ad esempio usiamo “cieco” piuttosto che “non vedente”. Talvolta giochiamo su questa cosa, penso alla battuta fatta ad Otello: “lei è diversamente magro”.

Alessandra del Giudice

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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