Si fanno chiamare con orgoglio “Blunauti”, dal nome del centro dell’ASL Napoli 2 Nord che a Qualiano (hinterland partenopeo) è ormai un punto di riferimento per moltissime famiglie. I Blunauti sono bambini e ragazzi autistici inseriti in progetti di integrazione e d’indipendenza. Con l’aiuto di 2 neuropsichiatri, 7 terapisti, 2 infermieri, 2 operatori sociosanitari, 2 psicologi, 1 logopedista, ogni pomeriggio trascorso assieme prende il sapore di una piccola vittoria. Si arriva al centro dopo la scuola e il centro è un luogo di gioco di apprendimento, un piccolo (ma grandissimo) laboratorio di vita.
Le attività dei Blunauti sono tante, comprese quelle portate avanti assieme alla Caritas. Si impara a fare la spesa, a cucinare o a fare dei piccoli lavori. Attività che a molti potrebbero sembrare anche banali, ma che per questi ragazzi sono molto importanti.
Va detto che l’ASL Napoli 2 Nord ha avviato da anni una profonda riorganizzazione dell’assistenza sanitaria per pazienti in età evolutiva con difficoltà, dando vita ad una rete territoriale di neuropsichiatri e di centri ultraspecializzati sull’autismo, tra i quali - appunto - Blunauti di Qualiano e il Paides di Quarto. Inoltre, ormai da circa tre anni, ci si basa sul cosiddetto sistema dei “Budget di Salute” associati ai progetti terapeutici riabilitativi individuali, nell’ottica di un modello assistenziale che garantisce la massima personalizzazione delle terapie, guardando insomma alle esigenze reali dei ragazzi. «La nostra è una realtà straordinaria», dice con orgoglio Anna Capocasale, direttore dell’Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile. L’ASL Napoli 2 Nord mette a disposizione delle tantissime famiglie con ragazzi autistici 13 nuclei di neuropsichiatria infantile e ben 2 centri “sovradistrettuali”, vale a dire maggiormente specializzati e abilitati alla diagnosi e presa in carico diretta. Ma il fiore all’occhiello è una struttura (a Monterusciello) che è dedicata ai bisogni comunicativi complessi. Qui, un’equipe multidisciplinare si occupa (tra le altre cose) della cosiddetta Comunicazione aumentativa alternativa (Caa).
Di che si tratta? «È un approccio che aiuta le persone con disabilità verbali a comunicare - spiega Capocasale -. Si tratta di persone che hanno disturbi dello spettro autistico, ma anche con paralisi cerebrali infantili, malattie neurodegenerative (negli adulti la SLA) e così via. Noi attraverso una valutazione individuiamo tutte le forme di comunicazione che possono aiutare la comunicazione del bambino, si pensi ad immagini, segni o anche la gestualità». Con la comunicazione aumentativa alternativa si aiuta la famiglia e il bambino ad usare tabelle comunicative o strumenti tecnologici attraverso i quali si può riuscire ad attivare un vero e proprio canale di comunicazione. Va detto che la struttura di Monterusciello è l’unica pubblica del Meridione. Per accedervi è necessaria una valutazione di primo livello fatta dai neuropsichiatri dei nuclei distrettuali, sono loro poi ad indirizzare i ragazzi verso i centri sovradistrettuali. Nella struttura di Monterusciello i ragazzi hanno a disposizione un’equipe che ricomprende il neuropsichiatra, il logopedista, l’esperto di Caa, lo psicologo, lo psicoterapeuta l’educatore e l’assistente sociale. Una realtà più unica che rara, un grande aiuto per tante famiglie e ragazzi che altrimenti resterebbero soli.
Raffaele Nespoli