«Quel ragazzo ha l’autismo». Sentendo quest’affermazione, molto comune persino tra gli addetti ai lavori, è facile comprendere quanto ancora ci sia da fare su questo tema. Partiamo col dire che l’autismo non è qualcosa che si ha. Non è un accessorio della persona, né lo si deve considerare una malattia.
Per non rischiare di essere autoreferenziali, usiamo le parole della psicologa autistica Luisa Di Biagio: «L’autismo viene ancora considerata una condizione patologica disfunzionale. Anche parlare di “alto o basso funzionamento” è qualcosa che si lega a questa visione. N realtà, il discorso è più complesso. Ci sono persone autistiche che neanche sanno di esserlo, sono mamme e papà che hanno una vita normalissima e ricevono la diagnosi in età adulta. Diciamo che anche il linguaggio andrebbe aggiornato e, con un cambio di prospettiva, si potrebbe comprendere che la persona autistica può essa stessa essere un riabilitare, e avere in carico una persona neurotipica». Dove per “neurotipica” si deve intendere “non autistica”.
Senza voler entrare in un linguaggio eccessivamente tecnico, basti dire che il vero passo avanti sarebbe quello di iniziare a cambiare punto di vista: l’autismo non è una malattia da guarire e non è la riabilitazione a vita che può cambiare le cose. Un insegnamento che è arrivato forte e chiaro nel corso della due giorni tenutasi a Napoli (alla ex base Nato) intitolata «Special pizza for special people., con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema dell’autismo e più in generale su quello della neurodiversità. Ben 25 le associazioni che si sono date appuntamento e che hanno lanciato un invito ad agire, per permettere a tutte le persone autistiche di condurre una vita completa e soddisfacente, promuovendo una percezione positiva dell’autismo e una maggiore comprensione da parte della società.
Nel corso della due giorni si sono tenuti laboratori per la preparazione di pizze e altri prodotti da forno, spettacoli, animazione e giochi. Il tutto con una dedica speciale ad Alfredo Fico Junior, giovane pizzaiolo olimpionico scomparso prematuramente questo anno. Tra i promotori dell’evento: Cascina Blu e Pizza Out, realtà associative che nascono per permettere ai ragazzi autistici di realizzare una propria autonomia lavorativa e di avere un futuro esattamente come i loro coetanei. Basti pensare che Pizza Out (che è oggi il “più grande ristorante itinerante d’Europa” per usare le parole del suo presidente Nico Acampora) diventerà presto un ristorate vero e proprio. Ci lavoreranno, chiaramente, solo ragazzi autistici che hanno fatto dell’arte della pizza uno strumento di autonomia. Dovrebbe far riflettere che questa pizzeria d’eccezione aprirà i battenti a Milano, anziché a Napoli. Una sorta di “questione meridionale” che coinvolge la nerodiversità. E quanto sia gravemente sbilanciata la situazione lo chiarisce Toni Nocchetti, presidente dell’associazione Tutti a Scuola. «I più recenti dati Svimez e Istat - spiega - parlano di 2 o 3 Italie diverse. Da noi gli enti locali trasferiscono per ciascun disabile 850 euro l’anno, la media nazionale di 2.500 euro l’anno, la Lombardia arriva ad una media di 4.500 euro». Segno evidente che esistono ancora oggi disabili di serie A e di serie B, almeno per la spesa pubblica. Così, molto spesso, sono i genitori a rimboccarsi le maniche e creare progetti che possano garantire autonomia e rispondere alla domanda più drammatica: «Che ne sarà di loro dopo di noi». È ciò che ha fatto, tra gli altri, Marco Elviri (presidente di Cascina Blu). Napoletano, ha scelto di trasferirsi al Nord per creare una cascina dove migliorare la qualità di vita di ragazzi autistici e delle loro famiglie «in un ambiente - citiamo testualmente - protetto e strutturato, nel quale condividere, formare alle differenze, insegnare, integrare. Facendo spazio alla ricchezza della differenza».
Questo non significa che Napoli non sappia esprimere realtà altrettanto virtuose. Tra le associazioni più attive del nostro territorio (oltre a quelle già citate) c’è Ipertesto, che già dal nome lascia intendere la sua missione. E poi ci sono associazioni come Semplicemente Noi, presieduta (ma sarebbe più corretto dire creta) da mamma Anna. Lei, che di ragazzi autistici ne ha due, ci racconta con emozione del progetto. «Semplicemente noi - spiega - è un’associazione di promozione sociale. Cerchiamo di creare uno sbocco diverso da quello che abitualmente viviamo. Non parlo solo dell’aspetto terapeutico, ma anche di percorsi di vita e percorsi lavorativi. Semplicemente noi non guarda solo all’aspetto terapeutico perché qui non siamo davanti ad una malattia». La sua voce viene rotta dall’emozione quando ci racconta di suo figlio Giacomo, che per un paio di mesi ha provato la gioia di lavorare in una cartoleria. Con orgoglio Anna ci parla di quei sessanta giorni di normalità. «Lavorava dalle 8 alle 12 e aveva tutte le mansioni che normalmente sono affidate ad un commesso. È stata un’esperienza bellissima».
Resta purtroppo l’esperienza di due mesi. Un progetto, che come tale ha un principio e una fine già stabiliti. Quanto sarebbe più civile se questi progetti potessero essere la normalità e se tanti genitori potessero smettere di tormentarsi nel chiedersi «cosa accadrà dopo di noi?».