Lavoro: prima, durante, dopo il Covid19
Il Covid19 sta mettendo a durissima prova il lavoro, che dopo la salute è sicuramente un tema centrale per gli esseri umani dal momento che determina la sopravvivenza o quantomeno una vita degna di questo nome. Insieme a Giustina Orientale Caputo,professoressa di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, affrontiamo il tema del lavoro, alla vigilia del 1 maggio, in uno dei momenti storici più difficili dopo il secondo dopoguerra.
“Mattarella nel suo recente discorso alla nazione ha detto: “"Nella ricostruzione il nostro popolo ha sempre saputo esprimere il meglio di sé". Spero che riusciremo a tirarlo fuori anche dopo questa pandemia, tutto il nostro spirito e la nostra capacità in termini creativi e propositivi e che la solidarietà e la voglia di fare non siano soltanto la manifestazione estemporanea del momento e di alcuni. Riorganizziamo questa forza che potrebbe tradursi in opportunità di lavoro”, suggerisce la professoressa Orientale Caputo.
Inaspettatamente lo stesso Governo, ha affrontato la crisi del Covid19 in modo pratico e pronto, mettendo a punto una serie di sostegni per i lavoratori e le imprese, ulteriori misure per le famiglie con bambini e per chi già viveva con il reddito di cittadinanza. Eppure la mole di chi chiede aiuto per mangiare in questo periodo è notevole e ha svelato un divario sociale sommerso. Nonostante i dati Istat del 2019 parlassero di un incremento dell’occupazione, la zona grigia del lavoro nero è evidentemente molto ampia e da troppo tempo senza risposte.
Prima del Covid-19
In Italia tra il 2014 e il 2019 c’è stato un progressivo aumento dell’occupazione e una decremento della disoccupazione che a dicembre 2019 era intorno al 9,8%. L’Istat ha definito il 2019 un anno caratterizzato da un nuovo aumento dell’occupazione e da un calo della disoccupazione che si associa alla diminuzione del numero di inattivi. Il tasso di occupazione che è salito fino al 59,2 per cento a novembre 2019, lo stesso livello di giugno, uno dei più alti dal 1977 ma il secondo più basso nel novero dei paesi europei. Nel 2019, dunque rispetto all’anno precedente, è proseguita la crescita degli occupati (+0,9%, +207 mila in un anno) per effetto dell’aumento dei lavoratori dipendenti, sia permanenti sia a termine, a fronte del calo degli indipendenti; al contempo l’incidenza dei dipendenti a termine sul totale dei dipendenti è salita al 17,2% (+0,1 punti in un anno). Tra i giovani di 15-34 anni è continuata a crescere l’occupazione, si è ridotto il numero di persone in cerca di prima o nuova occupazione (-237 mila in un anno, -8,4) ed è continuato a diminuire il numero di inattivi di 15-64 anni (-82 mila in un anno, -0,6%). Tuttavia il tasso di inattività tra i 16 e i 65 anni è ancora alto nel 2019, al 34,3%, in ragione di un bilanciamento tra una crescita dell'incidenza per gli uomini e un calo per le donne. Il quadro occupazionale ha mostrato un progressivo indebolimento nella seconda metà del 2029. Inoltre, nei dati mensili più recenti (gennaio 2020) e al netto della stagionalità, il tasso di occupazione e il numero di occupati avevano mostrato un calo rispetto al mese precedente. Il rapporto Svimez a novembre 2019 aveva squarciato il velo su un’Italia a doppia velocità con un sud con pil stagnante, emergenza disoccupazione femminile, aumento dei woorking poor (il 26,6% nel Mezzogiorno), fuga di cervelli e saldo migratorio negativo. Luca Bianchi, direttore dell’Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, aveva riassunto in modo esemplare i risultati drammatici della ricerca del 2019: “Crescono i lavoratori poveri. Negli ultimi 10 anni è talmente peggiorata la qualità del lavoro per cui ci sono molti poveri tra chi un lavoro ce l’ha. L’immagine di un Paese che si sta sfilacciando”.
https://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9405-il-rapporto-svimez-2019-fa-luce-su-un-sud-stagnante-e-un-nord-che-ha-smesso-di-crescere.html
Foto Orientale Caputo
Considerando il blocco quasi totale delle attività durante la pandemia stiamo assistendo ad una perdita di punti di riferimento non solo concreti, ma anche valoriali e della categorizzazione del lavoro stesso. Basti pensare a quanto oggi sembri ingiustificato il taglio di 37 miliardi operato alla Sanità negli ultimi 10 anni, nonché la perdita di posti di lavoro qualificati in ambito medico e la riduzione dei finanziamenti alla ricerca.
“La prima cosa che mi viene da pensare- spiega Giustina Orientale Caputo - è che non abbiamo dati a disposizione da quando tutte le attività si sono fermate. A fronte di tutti coloro che hanno smesso di percepire reddito, c’è stata una polarizzazione delle fasce che hanno continuato a lavorare: da un lato la classe superspecializzata e altamente qualificata dei medici, dall’altra i lavoratori con profili molto bassi come i rider, i trasportatori, i commessi dei supermercati che hanno consentito la nostra sopravvivenza. E’ pure emerso che la frutta e verdura senza braccia non si raccolgono e che il lavoro immigrato in agricoltura è essenziale e non può continuare ad essere sommerso. Due livelli del lavoro si sono dimostrati essenziali: quello molto alto e quello molto basso. Così come è affiorata in modo schiacciante la presenza del lavoro nero e il peso dell’economia informale nella società, in particolare naturalmente nelle aree del sud del paese.
D’altra parte la crisi, con tutte le esperienze di interventi sociali dal basso e di cura dell’altro, ha fatto comprendere che il capitale umano è il patrimonio più ricco che abbiamo e quello peggio utilizzato.
Per chi non ha lavorato il Governo sta tentando di approntare rimedi tampone e va sottolineato il merito di aver esteso il contributo di 600 euro che il decreto Cura Italia ha stabilito per i lavoratori autonomi, le Partite Iva senza cassa anche ai mesi successivi oltre marzo. Ma è nella ripartenza che si testerà la capacità di affrontare i problemi strutturali del paese senza perdersi in inutili querelle e mettere la testa sotto la sabbia come è accaduto in precedenza. Merito del Covid19 è stato, probabilmente quello di costringere i politici a guardare più che a questioni di sopravvivenza personali ai problemi reali del paese. Per affrontarli bisognerebbe partire dal saperli comprendere e nominare. Il Covid19 ha infatti svelato un’incapacità di informare sui dati e indagare le questioni sociali legate alla pandemia: basti pensare, solo per fare qualche esempio, alla mancanza di indicatori chiari sulla diffusione del virus, al mancato confronto tra morti naturali e per il virus, alla fallacia che in molti casi ha dimostrato la comunicazione”.
Gli interventi del Governo e degli enti locali sono stati diversi. Li abbiamo affrontati a più riprese nei seguenti articoli:
Come orientarsi tra bonus nazionali e locali: https://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9839-come-orientarsi-tra-sussidi-e-bonus-regionali-e-nazionali.html
Bonus Famiglia: https://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9857-bonus-famiglia-ecco-come-funziona.html
Lavoratori dello spettacolo: https://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9829-i-lavoratori-%E2%80%9Cgrigi%E2%80%9D-della-cultura-e-dello-spettacolo.html
Giornalisti: https://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/9851-giornalisti-tutti-i-bonus-previsti-in-aiuto-della-categoria.html
L’impossibilità di tanti lavoratori sommersi di lavorare in questo periodo ha svelato che migliaia di persone sono impossibilitate a fare la spesa e ad accedere ai servizi essenziali. Tantissimi sono i cittadini, i gruppi organizzati, le realtà sociali del terzo settore che si sono attivate per aiutare i più fragili.
Negli articoli seguenti i riferimenti principali a Napoli.
Spesa sospesa e pacco alimentare: https://www.napolicittasolidale.it/portal/speciale/199-coronavirus/9843-spesa-sospesa-e-pacco-alimentare.html
I numeri utili per le fasce deboli: https://www.napolicittasolidale.it/portal/speciale/199-coronavirus/9777-i-numeri-utili-e-i-riferimenti-dei-servizi-essenziali-a-napoli-per-le-fasce-fragili.html
Il lavoro dopo il Covid: dal ricatto al riscatto
“Fanno riflettere gli slogan della pandemia – continua la professoressa-: ’Andrà tutto bene’ è il grido disperato di chi non ci crede. Mentre ‘Siamo tutti sulla stessa barca’ può essere vero per la probabilità di ammalarsi ma non certo sul modo in cui le conseguenze del Covid19 colpiscono le persone: su questa barca c’è il mozzo e chi si fa traghettare. Il virus ha fatto emergere in modo chiaro le discriminazioni: di classe, di genere, generazionali. Il Covid può essere l’occasione di lottare per organizzare il mondo del lavoro in modo diverso, altrimenti si riproporrà lo scenario della crisi degli anni ’30: da un lato la richiesta di poteri più forti e quindi la deriva del decisionismo autoritario descritto da Polany nell’analisi del fascismo e del nazismo, dall’altro con i più svantaggiati che pagheranno il costo più alto e le diseguaglianze che si accentueranno. D’altra parte la recente crisi del 2007 – 2008 è stata esemplare nel riproporre scelte da cui sono derivati divari sociali maggiori”.
Le crisi attuale, potrebbe invece essere una grande occasione per ripensare completamente il sistema del lavoro. “Mi auguro sinceramente che non si riprenda come prima. Si deve partire da una riforma generale con ammortizzatori sociali e almeno una proposta di reddito per tutti. Bisogna prendere coscienza del sommerso, facendo emergere le attività a nero, che continuano a portare il prodotto dal piccolo laboratorio al grande brand, e sostenerle con incentivi specifici, così come va regolarizzato il lavoro agricolo dei migranti, oltre che la stessa presenza dei migranti. Bisogna intervenire con il sostegno al reddito in modo pragmatico e sistemico per coloro non possono essere inseriti nel mondo del lavoro come i pensionati e in parallelo affrontare le politiche del lavoro per fasce svantaggiate: dalle donne, ai giovani, ai quarantenni partendo da una formazione adeguata. E poi chiaramente è necessario un piano di investimenti pubblici per il lavoro: c’era un valido piano del lavoro avanzato qualche anno fa dalla Cgil, ma non è mai stato preso in considerazione, si potrebbe ripartire da quello. Contemporaneamente bisognerebbe rimettere mano ai tempi della città e ripensare al valore delle risorse umane alla luce dell’impegno che le persone hanno dimostrato nel momento di crisi. Forse capire se è possibile creare un tavolo con le forze sociali che in questo momento si sono dimostrate così attive significherebbe patire con il piede giusto. Farsi suggerire da tutta questa drammatica vicenda una nuova linea di azione significherebbe mettersi a lavorare sul serio”.
AdG