Intervista a Paolo Valerio, direttore del Centro di Ateneo SInAPSi
Facciamo il punto sulle questioni delle persone transgender in occasione del 25 novembre, Tdor, Transgender day of remebrance (Giornata della memoria per le persone trans) con Paolo Valerio, professore onorario di Psicologia Clinica e presidente onorario del Centro di Ateneo SInAPSi, Università degli Studi di Napoli Federico II e presidente dell’ONIG Osservatorio Nazionale sull’identità di Genere.
Il Centro Sinapsi ha promosso iniziative specifiche in occasione del 25 novembre?
Il Centro Sinapsi, ha aderito all’invito del Comune di Napoli a proporre azioni di contrasto della violenza di genere, promuovendo un’iniziativa aperta a tutti che si svolgerà giovedì 21 novembre dalle ore 10.30 alle 13.30 presso il Chiostro di Porta di Massa 1 finalizzata al contrasto della violenza ‘dei generi’, includendo anche la violenza che possono subire le donne transgender.
Ha ancora senso parlare di transessualità in un momento storico in cui attraverso i media virtuali sembra esserci un’incredibile libertà espressiva?
In un’ottica depatologizzante, innanzitutto, parlerei di persone transgender e gender non conforming (TGNC), anziché di transessualità; in effetti ha ancora senso parlarne perché in Europa, l’Italia dopo la Turchia è il Paese dove sono perpetrati più crimini, omicidi e violenze transfobiche (Prunas et al., 2014), mentre gli italiani secondo uno studio europeo sulla mappatura dei crimini in Europa (Turner, Whittle e Combs, 2009), sono al primo posto per i commenti verbali transfobici (51%). Allo stesso tempo non abbiamo politiche sociali antidiscriminatorie che proteggano le persone TGNC da crimini d'odio o dalla stigmatizzazione sociale. Questo impedisce a questa popolazione di beneficiare degli effetti positivi che le politiche inclusive generalmente sortiscono (Perez-Brumer, Hatzenbuehler, Oldenburg e Bockting, 2015).
Perché c’è questa violenza nei confronti delle persone trans?
Perché ancora abbiamo bisogno di quote rosa, di ribadire che il femminicidio va condannato, e di lottare ogni giorno contro la violenza sulle donne? Viviamo in una società che non ha rispetto delle fasce più deboli, non perché le donne lo siano, ma così vengono rappresentate e trattate in un mondo sessista. Oggi ciò che è stigmatizzata è la femminilità e la femminilizzazione del maschio. Anche negli abiti, nonostante ciò che si pensi, c’è un’uniformità rispetto a certi canoni e un maschio che si mette una gonna viene ridicolizzato, considerato strambo. Per questo è importante dall’infanzia fino all’università affrontare il tema degli stereotipi di genere e promuovere una cultura di valorizzazione delle differenze.
Napoli è una città in prima linea per la difesa di tutte le diversità?
Le istituzioni sono attivamente impegnate: il sindaco De Magistris ribadisce il comune impegno per sostenere le persone trans, così come l’Assessorato alle Pari Opportunità è sempre stato ed è attento a creare le condizioni perché ci sia un maggior rispetto delle differenze e una promozione dei processi di eguaglianza ed equità sociale. Inoltre a Napoli presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, abbiamo alcuni servizi all’avanguardia come la sezione Antidiscriminazione e Cultura delle Differenze (coordinata dalla prof.ssa Amodeo) del Centro di Ateneo SInAPSi, che si occupa di monitorare e prevenire a livello scolastico e universitario le discriminazioni (www.bullismoomofobico.it) e consente agli studenti e alle studentesse che non hanno portato a termine l’iter burocratico per il cambiamento di genere di avere un’identità alias in sintonia con il genere percepito (www.unitrans.it). Ultimamente abbiamo organizzato due convegni: uno sulla medicina di genere lgbtqi in cui è emersa l’importanza di formare gli operatori medici e paramedici sulle questioni di genere e uno sul confronto internazionale tra Cile, Cuba, Messico, Francia, Norvegia, Portogallo e Italia per uno scambio sulle buone pratiche nella salute, nelle politiche sociali e nei diritti umani delle persone transgender.
La legge ha fatto passi avanti per il riconoscimento dell’identità delle persone trans?
La legge è ancora vecchia, ma la giurisprudenza ha fatto passi in avanti con due sentenze della Cassazione e una della Corte Costituzionale che hanno permesso alle persone transgender di essere riconosciute nel genere percepito, indipendentemente dal sottoporsi a quegli interventi chirurgici, considerati dalla Corte Europea interventi di sterilizzazione forzata. Presso il Policlinico dell’Università Federico II dal 1995 è attivo uno spazio di consulenza psicologica per le persone transgender; e sono sempre di più le persone che si rivolgono ad esso per vedere riconosciuta la propria istanza di poter cambiare i propri dati anagrafici, senza accedere ad interventi chirurgici.
Quale è invece l’approccio popolare alla transessualità?
La cultura resta impregnata di stereotipi tali per cui ci si aspetta che i maschietti facciano quei giochi considerati stereotipicamente maschili e viceversa per le bambine. Coloro che non si conformano ai dettami dello stigma sessuale e di genere prevalenti nella propria cultura, corrono il rischio di essere discriminati, bullizzati, isolati e stigmatizzati. Le parole hanno sempre un significato: se dico ad un bambino davanti ai suoi amichetti “non fare la femminuccia” lo sto esponendo ad un insulto, ma diverso è dire ad una bambina di non fare il maschiaccio. Questo è molto simile a quello che accade quando di fronte ad una coppia di ragazzi gay che si danno la mano in strada, le persone si chiedono: “chi faccia il maschio e chi la femmina”. È una forma di microaggressione che va contrastata prima che gli stereotipi si cristallizzino. Per questo il Centro Sinapsi promuove azioni di sensibilizzazione e informazioni sono, pertanto, i primi passi per promuovere inclusione e benessere delle persone transgender già nelle scuole dell’infanzia.
Il termine transessuale oggi è limitativo?
Negli ultimi anni sono state introdotte espressioni e termini diversi (transgender, non conformismo di genere, varianza di genere, genere non binario) per riferirsi a un gruppo diversificato di persone che attraversano o vanno oltre le categorie binarie di genere definite dal punto di vista socio-culturale, denaturalizzando il genere binario (APA, 2015). Le identità transgender sono sempre più riconosciute includendo un ampio e variegato spettro di espressioni e di declinazioni esistenziali. Negli ultimi anni, la visibilità dei giovani che non si identificano esclusivamente come maschi o femmine sta crescendo. L'espressione non binary and genderqueer (nbgq) si riferisce all'identità di genere di coloro che non si riconoscono nel sistema binario di genere, rifiutando l'idea che ci siano solo due sessi, uomo e donna. Sarebbe più appropriato fare riferimento non a una singola identità binaria, ma a una pluralità di identità non binarie. L'identità non binaria può essere vissuta e declinata in molti modi e con molte sfumature. Ciò ha portato ad avere così tante definizioni, che possono fornire un'idea di come questo universo in costante cambiamento si colleghi ai due sessi "principali".
Alessandra del Giudice