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Lunedì 27 Giugno 2022




Sindrome di Sotos: la battaglia per il riconoscimento, la speranza nella ricerca

Sindrome di SotosUna malattia rara perché colpisce un bambino su 14mila: la Sindrome di Sotos, meglio conosciuta come gigantismo infantile, è caratterizzata da un iper-accrescimento di lunghezza e circonferenza cranica e da una età ossea avanzata. Come accade per quasi tutte le malattie rare, la battaglia per il riconoscimento, e dunque per far valere i propri diritti, è lunga e faticosa.

La conoscenza è il primo passo per arrivare a una diagnosi precoce che potrebbe rivelarsi fondamentale per lo sviluppo del bambino con questa sindrome.

Per fortuna, l’ha capito un gruppo di mamme di malati di Sotos che nel 2009 si sono incontrate e confrontate su Facebook – potere dei Social – dando voce, per la prima volta nel nostro Paese, alle problematiche dei loro figli.

“Incredibile a dirsi, prima di allora non c’era traccia di questa malattia sul web, almeno in italiano – racconta di Silvia Cerbarano, 38 anni, napoletana, madre di Alessandro – il gruppo Facebook è cresciuto sempre di più e da quella esperienza è nata nel 2012  la ASSI Gulliver Associazione Sindrome di Sotos Italia, la prima associazione italiana che riunisce le famiglie dei pazienti con la malattia di Sotos e che abbia mai affrontato davvero e portato all’attenzione a livello nazionale questa malattia”.

Da quel momento, qualcosa nella vita di queste famiglie e dei loro figli si muove.

Sindrome di Sotos 1

Che cos’è la Sindrome di Sotos

Descritta per la prima volta nel 1964, la Sindrome di Sotos è una malattia genetica (non ereditaria, deriva da una mutazione genetica che si genera durante il concepimento) rara che comporta un ritardo cognitivo e psico-motorio, per cui sono possono essere necessari, a seconda dei diversi casi di gravità, anche anni di terapia, e per cui al momento non esiste una cura.

La sindrome non può essere scoperta durante la gravidanza (non fa parte dello spettro di quelle che si indagano con esami come amniocentesi e villo centesi) e si sviluppa nel primo anno di vita del bambino. A parte i casi più gravi in cui può essere associata a epilessia e grave scoliosi, più che l’aspetto fisico – che può comunque migliorare con riabilitazione e terapia – il problema principale di chi soffre di questa sindrome è il ritardo cognitivo, che comincia con le difficoltà a muovere i primi passi fino a quelle legate all’apprendimento scolastico, per arrivare, a volte, a seri problemi comportamentali, con episodi di aggressività verso se stessi e gli altri.

L’importanza di una diagnosi precoce

Fondamentale è la presa in carico precoce con una diagnosi entro il primo anno di vita del bambino e la conseguente attivazione di percorsi terapeutici adeguati. Le terapie cognitive e comportamentali ad oggi sono ritenute a livello medico quelle più efficaci, accanto alla riabilitazione, alla psicomotricità e al supporto psicologico. A spiegarlo è ancora Silvia: “I casi più gravi che arrivano alla nostra associazione sono quelli di adulti che non hanno iniziato un percorso per tempo, forse anche perché solo di recente si sono fatte una serie di scoperte e gli stessi medici e pediatri ancora oggi spesso non sono informati e preparati ad affrontare la situazione”.

La testimonianza di Silvia Cerbarano è emblematica: “Anche ora che Alessandro ha 12 anni, mi trovo spesso a spiegare la sua malattia a personale medico che dovrebbe essere qualificato”.

Anche su questo l’associazione ASSI Gulliver cerca di intervenire, facendo sensibilizzazione e formazione tra medici, operatori scolastici e sociali.

L’organizzazione è un punto di riferimento per tutte le famiglie e, oltre a portare avanti battaglie culturali, sta cercando di fare anche qualcosa per la ricerca, donando, ad esempio, alla Fondazione Telethon i materiali biologici dei malati di Sotos, in modo che, se un ricercatore un giorno decidesse di fare uno studio avrebbe a disposizione dei campioni. L’appello alle famiglie è di fare altrettanto per dare una speranza di cura per il futuro. 

Le battaglie da combattere

Anche se il dato certo non esiste per ora, secondo le stime dell’associazione, sarebbero circa un centinaio i casi di malati di Sotos in tutto il Paese, non pochi se si pensa che è una malattia rara. Di molte regioni abbiamo poche notizie, forse perché c’è anche una difficoltà culturale ad uscire fuori ma solo in Campania ci sono più di 10 casi, racconta Silvia: “Io vivo ad Acerra e solo lì ci sono due bimbi, mio figlio e un altro bambino, che ne soffrono”.

Quello che manca però, ed è la grande battaglia che l’ASSI Gulliver sta portando avanti insieme a un gruppo di medici che la sostiene, è un registro nazionale degli affetti dalla sindrome, che sarebbe fondamentale per mappare la situazione e affrontarla il prima possibile evitando diagnosi tardive.

Altro tassello importante è quello del riconoscimento: sul piano istituzionale, nel 2008 la patologia fu inserita tra le malattie rare riconosciute dal Sistema sanitario nazionale, mentre di recente è stata riconosciuta ai fini dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), ma il problema è che le regioni recepiscono queste indicazioni in modo discrezionale. Così, ad esempio, in Puglia e Piemonte, la patologia ha un codice di esenzione dedicato, in Campania no, ciò rende la certificazione più complicata e laboriosa. “La burocrazia, con le sue lungaggini e i suoi infiniti moduli, ti ammazza e lo Stato ti complica la vita invece di sostenerti, questa è la beffa”, sottolinea Silvia, che nella vita fa la contabile ma cerca di dedicare tutte le sue energie a cercare di far star il meglio possibile il suo Alessandro. 

Gli ostacoli maggiori per i malati Sotos e le famiglie

L’ostacolo maggiore è come rendere possibile per i malati Sotos un futuro che abbia le sembianze di una autonomia, una vita adulta che attualmente è difficile da immaginare. Lo Stato mette a disposizione le terapie secondo un percorso standard (che però cambia dal punto di vista di iter burocratico da regione a regione e non va bene per tutti i casi) fino al raggiungimento della maggiore età, stesso discorso vale per la scuola. Le terapie, quando non rientrano in quelle standard o nel caso molto comune delle liste di attesa, sono a carico delle famiglie. Resta il problema di quale posto avranno nel mondo questi ragazzi, in assenza di strutture di sostegno ad hoc e occasioni di inserimento lavorativo, soprattutto quando non ci saranno più i genitori a sostenerli. Ci sono, poi, difficoltà legate all’incapacità della società di includere chi ha una fragilità: “Noi siamo stati fortunati, abbiamo trovato quasi sempre ambienti accoglienti e ci siamo inventati qualsiasi cosa per Alessandro, ad esempio, con lui funziona la musicoterapia, ma non per tutti è così”, dice Silvia. Che conclude: “Una cosa è certa: quello che facciamo oggi come genitori e come associazione non lo facciamo solo per i nostri figli ma anche per chi verrà domani, e non possiamo essere lasciati soli in questa battaglia”.

Maggiori informazioni sul sito ufficiale

Maria Nocerino

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