Il parere di Annamaria Palmieri
Telefonino si, telefonino no? Jeans strappato si o no? Partendo dall’analisi di alcune questioni pedagogiche alla ribalta della cronaca, discutiamo con Annamaria Palmieri, assessore all’Istruzione e alla Scuola del Comune di Napoli, delle sfide della scuola italiana oggi e dei bisogni della scuola locale.
Cosa pensa della proposta della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli di sdoganare l’utilizzo degli smart phone in classe? E delle dotazioni di strumenti tecnologici nelle scuole?
Fino a questo momento il telefono è stato considerato soltanto uno strumento con cui i ragazzi potevano avvalersi per comunicare con l’esterno. Infatti la circolare del 15 marzo del 2007 dell’allora ministro Giuseppe Fioroni bandiva l’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici a scuola perché distraevano l’attenzione. Oggi c’è un limite sottile tra mezzo didattico e mezzo per fare altro. La questione centrale è che l’uso del cellulare dovrebbe avere una finalità strettamente didattica. Come docente, per prima cosa mi pongo il problema della responsabilità che ricadrebbe sugli insegnanti che si troverebbero di fronte alla difficoltà pratica di dover controllare l’uso corretto dello smart phone come tecnologia culturale. Facciamo i conti con un’epoca in cui tutti i ragazzi usano gli smart phone, quindi è importante insegnare a scuola il loro uso consapevole, nel contempo non si può chiedere a insegnanti con 30 alunni di gestire le connessioni degli strumenti verso l’esterno senza un regolamento interno chiaro. Altro conto è l’utilizzo delle tecnologie informatiche a scuola. Le TIC sono entrate a scuola da tempo con la lavagna multimediale, i tablet e i computer. Nell’aula 2.0 si utilizzano i tablet scolastici connettendoli tra di loro e controllando facilmente i ragazzi da una postazione centrale. Diversa è la questione per gli strumenti introdotti dall’esterno. Con gli ultimi finanziamenti quasi tutte le scuole a Napoli si sono dotate di strumenti informatici, tanto che abbiamo avuto problemi di furti, il più recente alla Gigante. Queste aggressioni comportano un danno notevole perché al furto degli strumenti tecnologici che colpisce la didattica, si accompagna il danno materiale alla struttura scolastica e ai suoi sistemi di allarme.
Ci sono neuropsichiatri che criticano l’abuso delle tecnologie informatiche a discapito della scrittura a penna…
Bisogna guardare al tema delle tecnologie informatiche con complessità. La loro diffusione ha dato un incredibile slancio alla scrittura. Oggi i ragazzi scrivono e leggono moltissimo, ma con una scrittura di “versamento”, immediata, che non tiene conto delle regole sintattiche e non è riflessiva, dunque non sviluppano la capacità di scrittura argomentativa sequenziale che richiede processi più lenti. La scuola oggi resta l’unico luogo dove la letto-scrittura viene insegnata e appresa in modo consapevole e critico, in questo senso la manualità va preservata. D’altra parte è insensato pensare che la scuola debba essere chiusa alla multimedialità e continuare ad utilizzare solo gessetti e quaderni. E’ compito della scuola fare i conti con i nuovi linguaggi e riportare i ragazzi verso un uso consapevole dei nuovi media. Penso alla polemica che ha accompagnato la diffusione della TV sintetizzata dal saggio “Cattiva maestra televisione” che affermava che la tv veicolava messaggi sbagliati, mentre la questione era il modo di interpretare criticamente la moltitudine di messaggi veicolati dal nuovo media. Lo stesso oggi vale per i messaggi pubblicati sul web. Oggi i ragazzi a scuola imparano a distinguere una notizia vera da una falsa. La sfida pedagogica della scuola è quindi adeguarsi al mutamento antropologico connesso ai nuovi media e fornire ai ragazzi gli strumenti per utilizzarli in modo critico. In questo senso va sostenuta con fondi e proggetti adeguati.
Non crede che la virtualità possa andare a discapito dello sviluppo delle facoltà motorie e relazionali?
L’utilizzo delle capacità motorie è fondamentale per la crescita integrale della persona. I ragazzi, ce lo dicono i dati, trascorrono troppo tempo ad una scrivania o curvi sul telefono e questo può danneggiare la loro crescita sana. Per evitarlo è necessaria una forte alleanza tra scuola e genitori. Lo sviluppo delle competenze motorie e relazionali può avvenire nelle palestre, nei corsi di teatro, in altre attività formative e ricreative. La scuola non può fare tutto da sola, c’è bisogno che la comunità educante sia coesa. Secondo me c’è un eccesso di enfasi sul fatto che la scuola dedichi molto spazio alle tecnologie, di cui i ragazzi già normalmente si avvalgono, che vanno considerate uno strumento e non un fine. Il fine è la crescita consapevole e critica delle nuove generazioni.
A Napoli ancora non tutte le palestre scolastiche sono accessibili…
Negli ultimi anni abbiamo reso agibili molte palestre scolastiche come quella della Nevio e quella della De Amicis. Le palestre sono importanti non solo per svolgere le attività sportive, ma in alcuni quartieri rappresentano l’unico luogo di aggregazione extra scolastica perciò rappresentano una ricchezza inestimabile per i territori. Fermo restando la necessità di tutelare la sicurezza, è importante che le palestre restino aperte anche il pomeriggio. Con la nuova tornata di finanziamenti europei renderemo agibili anche altre palestre come quella de l’Andrea Doria e della Virgilio. In ogni caso bisogna tenere conto che il bilancio comunale non può venire incontro a tutto, ma c’è una programmazione di fondi contenuta sia nel Patto per Napoli, sia nei PON banditi dalle scuole.
La refezione delle scuole comunali non è ancora partita.
La gara è stata aggiudicata in questi giorni e già sono state aperte le iscrizioni al servizio mensa. Ora le dieci Municipalità, ognuna delle quali ha un lotto, devono curare gli adempimenti burocratici delle ditte fornitrici dei pasti e ciascun dirigente si deve occupare della determina delle ditte.
Un altro punto dolente della scuola napoletana e campana in generale è la carenza di personale per gli alunni disabili che spesso ne determina l’esclusione…
Dobbiamo assegnare 90 contratti a tempo determinato, una buona parte per gli insegnanti di sostegno nella scuola dell’infanzia comunale, che dovremo reclutare attraverso la selezione pubblica, ma purtroppo corrispondono al profilo richiesto solo 15 selezionati per cui si dovrà attingere ad altre graduatorie. Nelle scuole napoletane c’è una forte volontà di inclusione, ma si registra una contrazione del personale ausiliario sia nelle scuole statali che in quelle comunali, a fronte di un aumento dei bambini con disabilità, che finisce per incidere sui più deboli. Se i bidelli sono pochi non riescono ad assicurare tutti i loro compiti e le scuole sono in sofferenza. Nel Comune poiché non c’è stato possibile assumere ausiliari usiamo il personale di Napoli Servizi.
Cosa pensa del regolamento dell'istituto tecnico Belluzzi-Da Vinci di Rimini sulle regole di abbigliamento da seguire a scuola?
Non ho seguito in dettaglio questa storia, ma posso dire che quando ero insegnante scherzosamente prendevo in giro i ragazzi se in classe portavano il cappellino o gli occhiali da sole. Ogni singolo caso va valutato considerando situazione e contesto, ma in generale credo che non stia all’insegnate censurare la libera espressione dei ragazzi e che nessun insegnante si dovrebbe far condizionare nel giudizio scolastico dal proprio gusto estetico. Inoltre censurare un abito non è una scelta intelligente perché non favorisce la relazione di reciproco rispetto. Più del modo di vestirsi sono importanti il modo in cui ci si esprime, la correttezza dei rapporti interpersonali, il rispetto dei maschi verso le donne. Sono questi i valori che la scuola ha il diritto e dovere di salvaguardare. L’unica vera censura che si possa imporre è quella alla violenza verbale e all’aggressività nei rapporti. Su questo non si può negoziare, bisogna affermare con forza e se necessario imporre l’antiviolenza.
Le notizie di violenze sulle donne attuate da giovanissimi, fanno riflettere sul ruolo che può avere la scuola per combattere la violenza. Si dovrebbe introdurre una disciplina specifica?
Uno dei compiti prioritari delle scuole oggi è lavorare sulle relazioni affettive e sulle relazioni di genere. Le scuole fanno già molto. E’ proprio la scuola uno dei pochi luoghi dove ci si incontra tutti insieme e dove si può combattere la violenza di genere, la violenza del linguaggio, la discriminazione, la sopraffazione. La classe è un microcosmo che corrisponde ad un macrocosmo sociale: le relazioni del microcosmo si riversano nel macrocosmo. Non serve aggiungere discipline nuove perché in tutte le discipline è possibile veicolare i valori di cui la scuola si fa depositaria facendo attenzione ai temi che riguardano la cittadinanza globale e le relazioni umane. Ad esempio chiunque studi la storia e l’olocausto in modo critico non potrà diventare razzista, in questo senso bisogna sempre porre attenzione al messaggio che può veicolare un romanzo, un fatto storico, un avvenimento. L’insegnante non si può girare dall’altra parte in casi di discriminazione, di omofobia o quando un ragazzo si rivolge violentemente alla propria compagna. La scuola non deve essere uno specchio della società perché in tante manifestazioni sociali dominano i disvalori, al contrario deve portare avanti i valori dell’articolo 3 della Costituzione anche se la società sta più indietro facendo da apripista per l’intera società.
Alessandra del Giudice