I rom di Gianturco: dispersi e reclusi
Dopo lo sgombero forzato e l’abbattimento del campo di Gianturco, dello scorso 7 aprile, ci chiediamo dove siano andati i circa 1.300 abitanti rom, tutti di origine rumena, inclusi centinaia di bambini, anziani, malati e disabili. Ci parla di questa tragedia umanitaria Carlo Maddalena, del Comitato abitanti via delle Brecce, già operatore sociale nel campo di Gianturco.
Alle 7 del mattino di venerdì 7 aprile, con diversi giorni di anticipo rispetto al giorno stabilito, il campo spontaneo dove vivevano centinaia di famiglie Rom, nel quartiere di Gianturco, è stato sgomberato da un ingente spiegamento di forze. Lo sgombero è seguito a giorni di pressione silenziosa da parte di vigili e polizia, che hanno costretto molte famiglie, che nel campo di via delle Brecce avevano cercato di trovare rifugio e dignità, a cercare altrove un rifugio. Centinaia di case, costruite con lo sforzo di anni, sono state demolite. L’ordine di sgombero dal terreno privato era stato emesso già a gennaio del 2016, con tempi di esecuzione di 30 giorni. Ad alcune delle famiglie era stato notificato l’ordine, mentre molte non hanno mai ricevuto nessuna informazione o documentazione in proposito. L’11 aprile il Comitato abitanti via delle Brecce, formato dagli abitanti di Gianturco che hanno solidarizzato con le famiglie rom, ha protestato davanti al Comune di Napoli per denunciare questa situazione e chiedere delle soluzioni dignitose per le tante famiglie rimaste in strada. Di fatti delle circa 1300 unità ne sono state alloggiate 130, solo il 10%, nel campo realizzato dal Comune di Napoli con dei container in via del Riposo, nello stesso luogo dove ci fu l’attacco dei cittadini ad un vecchio campo spontaneo. Il Comune aveva dichiarato di alloggiare qui 250-300 persone, in realtà quando arriveranno gli altri 4,5 container promessi, si arriverà al massimo a 170 unità. Alcune famiglie hanno riferito di trovarsi bene, altre sono andate via pur avendo ricevuto un container probabilmente perché il posto è lontano dalle zone che frequentavano in precedenza anche per motivi lavorativi. “Più che un villaggio si tratta di una prigione - racconta Carlo Maddalena del Comitato di solidarietà-: il campo è controllato da un drappello di carabinieri e da guardiani privati che non fanno entrare nessuno. Hanno impedito l’accesso anche alla referente londinese di Amnesty International che aveva lanciato un appello per sensibilizzare la comunità internazionale sulla questione. Amnesty sta anche chiedendo di rendere visibile il regolamento che definisce i criteri di selezione e di accesso. Comunque le condizioni abitative sono poco dignitose. La legge sull’abitabilità in Italia stabilisce che un prefabbricato per una singola persona debba avere una superficie minima di 28 mq. I moduli di via del Riposo invece sono di 24 mq e ci abitano in 5, 6 persone. Non abbiamo capito i criteri, sembra luogo di detenzione”.
Dove sono tutti gli altri rom? “I rom rimanenti – continua Maddalena- in parte sono dispersi sul territorio campano e sono spaventati, con poca voglia di essere rintracciati. Al momento abbiamo rintracciato una ventina di famiglie senza casa, intanto continuiamo a girare tra Napoli e Provincia per mappare la presenza della comunità dispersa: 700-800 persone non evaporano così ed è doveroso restituirgli visibilità. Far finta che non esistano è ignobile. Altri rom si sono mossi per alcune località turistiche estive rumene come Kalarash: si tratta di un trasferimento stagionale, solitamente rientrano in Italia a settembre. E se il Comune non riesce a trovare una soluzione a settembre sorgeranno altri insediamenti informali che saranno abbattuti per poi ricominciare il ciclo della distruzione e ricostruzione. Intanto abbiamo chiesto al Comune di istituire una lista di emergenza abitativa per sostenere le famiglie rimaste in strada. Ci hanno risposto che proveranno a trovare una sistemazione lista d’emergenza, ma di non metterci troppa speranza”. I bambini. Vittime innocenti di questa tragedia sono anche i bambini. Solo 40 dei circa 150 di Gianturco sono alloggiati nel nuovo campo di via del Riposo, gli altri non stanno neanche più andando a scuola. Maddalena, che è stato fino a pochi giorni anche fa un operatore sociale del progetto comunale “RSC contro la dispersione scolastica” attivo a Napoli su 5 poli scolastici, è preoccupato: “I genitori rimasti senza casa non mandano i bambini a scuola se non possono lavarli perché, se sono sporchi, rischiano un rischiamo”. Intanto la scolarizzazione dei bimbi rom è già di per se complicata proprio per lo stato di deprivazione economica delle famiglie: se alle scuole elementari c’è pochissima dispersione dei bambini rom, alle scuole medie c’è una leggera flessione, quasi nessuno prosegue alla scuola superiore.
I finanziamenti per i RSC (rom, sinti e camminanti). Programmare, trovare soluzioni di integrazione stabile, superare l’ottica esclusiva e ghettizzante dei campi. Ma con quali fondi? Al danno si unisce la beffa. Perché i fondi ci sono. “Si tratta di 16 milioni di fondi speciali stanziati nel 2006 per varie città metropolitane – spiega Carlo Maddalena - e vincolati per la comunità campana RSC (rom, sinti e camminanti) che la prefettura ha in gestione e che sono stati sbloccati a novembre 2016 e possono essere erogati solo se Regione e Comune forniscono una progettazione. Stiamo sollecitando un loro intervento, ma non abbiamo ricevuto risposte. Evidentemente spendere 16 milioni per i rom è, da un punto di vista politico, controproducente perché può scatenare una guerra tra i poveri e far perdere voti al partito che li impiega. L’assessore alle Politiche Sociali del Comune Gaeta è sfuggente e sembra rimandare la questione mentre rispetto al presidente De Luca non è difficile immaginare la sua posizione: ha fatto la sua campagna politica dicendo che avrebbe liberato la Campania dai rifiuti e dai rom. Eppure essendo fondi vincolati se non si spendono per i rom si perderanno”.
Il Comitato abitanti via delle Brecce. In questa storia assurda, una storia positiva è quella della costituzione del Comitato di via Brecce là dove la povertà e l’emarginazione piuttosto che fare da detonatore di una lotta tra poveri hanno unito rom e napoletani in nome della tutela dei diritti umani. “La storia del Comitato- spiega Maddalena- è iniziata con gli abitanti del quartiere che abitavano di fronte al campo che sono venuti a lamentarsi ad Officina 99 per la difficile convivenza con i rom. Noi li abbiamo invitati a parlare e studiando insieme i dati e la storia dei rom, i napoletani sono diventati solidali e hanno compreso che la causa delle loro difficoltà non sono i rom ma la marginalità sociale in cui sono relegati dalle istituzioni. A Napoli Est si cerca di stoccare tutto ciò che è residuale: i poveri, l’immondizia, i rom”.
Alessandra del Giudice