Per parlare di loro si utilizza sempre una lingua straniera: l'inglese. E si dice "Not in Education, Employment or Training”, ovvero "Neet". Ma chi sono, nel nostro Paese, questi ragazzi? Ce lo racconta lo studio della WeWorld con il Cnca e la rivista “Animazione sociale”. L'indagine, condotta grazie alle interviste di Ipsos a oltre mille ragazzi tra i 18-29 anni, coinvolge anche giovani napoletani.
Il rapporto si chiama "GHOST". Vuol dire fantasma, perché tali sembrano essere i giovani italiani che "non studiano, non lavorano o non si formano". Presentato pochi giorni fa, è curato da Roberto Maurizio con la collaborazione di vari ricercatori su diversi punti del territorio italiano, da Bari a Pordenone, passando per Napoli. Nella nostra città a lavorare alla realizzazione delle interviste biografiche e dei focus e IPSOS Public Affairs, Carmen Pardi. Ma chi sono questi ragazzi che sembrano usciti da una vecchia canzone dei CCCP, "non studio non lavoro non guardo la tv non vado al cinema non faccio sport"?
Secondo i dati forniti dall’ONG italiana che coinvolge 40 mila sostenitori e 800 mila beneficiari per promuovere a livello internazionale, partendo dall’Italia, i diritti di donne e bambini, il tema dei neet, rilevantissimo sia a livello nazionale che europeo, corre però il rischio di includere in maniera fin troppo generica situazioni diversissime: "eccessive generalizzazioni corrono il rischio di etichettare in senso negativo e indistinto la situazione specifica di molti giovani", è scritto nel report. Ma analizziamo i numeri: quanti sono i neet in Italia? Se si analizza la fascia di giovani tra i 18-29 anni, nello scorso anno arriviamo a quota 2,328 milioni che passano ai 3,512 se il range va dai 15 ai 34 anni. Se la media europea è del 16,5 % , dunque, il Bel Paese supera i 27 punti di percentuale, tracciando in maniera evidente anche il divario nord-sud, il primo fermo a quota 20, il secondo al 35 %.
Osservando il dettaglio della nostra regione, la percentuale tocca i 36,4. Come mai? Bisogna, per prima cosa, tenere nel giusto conto che la Campania vede oltre il 20% dei ragazzi fermo alla licenza media e non attivo nella frequenza di alcun corso di riqualificazione professionale. Una costante che pare unire molti di questi giovani è, infatti, un passato scolastico burrascoso, che se unito ad una condizione economica e sociale d'origine non ottimale, una situazione famigliare e personale non definita, un contesto economico non semplice né a livello locale né, tantomeno, nazionale, ecco venire fuori un primo identikit.
Come abbiamo detto, il volume raccoglie anche le storie di vita e i pensieri di 42 giovani in sette città italiane: se il pensiero è simile sia a Napoli dove un giovane di 24 anni, disoccupato, dice "Non a causa mia, ma c’è qualcosa nel nostro paese che non va" che a Torino, dove un coetaneo, nella stessa situazione, spiega "No, io ho voglia di fare, tanto", c'è da dire che nel nostro territorio a essere determinanti sono anche altri fattori.
"Il quartiere nel quale si vive, la cultura di provenienza sembra essere fondamentale per quasi tutti i partecipanti. Spesso si è fortemente influenzati dall’ambiente nel quale si cresce. Molti sono i Neet, infatti, che provengono da quartieri con livelli alti di analfabetismo e dove il lavoro è quasi tutto in nero; è evidente una forte sfiducia nelle istituzioni, non solo rintracciabile negli ultimi anni e quindi collegabile alla crisi, ma ben più radicata e d’origine poco recente. - è scritto nel rapporto in merito alla nostra città - Il vero problema napoletano sta nella crisi del lavoro e della formazione."
L'indagine conferma anche che la scuola, sul nostro territorio, non riesce a prendersi cura del singolo bambino/ragazzo permettendogli di entrare in contatto con le sue risorse e potenzialità e quando ciò avviene si verifica uno scollamento dalla motivazione necessaria a trovare la propria strada anche in futuro, nel mondo del lavoro e dei grandi. Gli insuccessi scolastici sono, dunque, il primo deterrente, in un percorso che, spiega la ricerca, sembra "tracciato fin dai primi anni". Anche il mancato accompagnamento nella scelta di un percorso formativo e delle scuole di grado successivo ha il suo peso, contribuendo ad aumentare la sensazione di sfiducia che sale quando il ragazzo arriva a comprendere che molti corsi di avviamento al lavoro hanno dei costi elevati e spesso non garantiscono alcun miglioramento sul piano professionale: "Secondo i partecipanti al focus, alcuni enti di formazione, erogano titoli che non potranno mai essere utilizzati nel mondo del lavoro ed operano in modo non legale".
L'illegalità sul nostro territorio non riguarda, dunque, solo la criminalità da cronaca nera ma risulta diffusa anche nel mondo del lavoro con tutte quelle situazioni "a nero" che, una volta concluse - anche per volontà dello stesso ragazzo - non lasciano molto, contribuendo alla costruzione di una spirale molto negativa in cui il futuro non offre alcuna prospettiva e Napoli è una città senza possibilità di crescita. L'unica speranza è andare via; l'unico luogo dove il lavoro è "serio" è altrove. La categoria dei neet napoletani, in questo senso, potrebbe essere facilmente e più propriamente definita come quella dei "giovani delusi". "Alcuni partecipanti al focus - prosegue la ricerca - sottolineano invece la forte presenza di una forma mentis non incline al sacrificio. Sembra quasi che nessuno sia più disposto a lavorare sul serio. Si denota una forte inclinazione alla rinuncia dopo i primi ostacoli, quindi per qualcuno lo status di Neet è più una scelta di comodo".
Sarà davvero così? Sta di fatto che quando è stato lanciato il Programma Garanzia Giovani per garantire ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro e di formazione con lo stanziamento complessivo di un miliardo 513 milioni di euro, i giovani campani si sono classificati al secondo posto con 80mila registrazioni. Prima, solo la Sicilia con 123mila ragazzi ansiosi di un opportunità di lavoro che renda loro giustizia.
SDA