“Cosa possiamo fare noi ragazzi per aiutarvi a scoprire la verità su quanto è accaduto a vostro figlio Mario Paciolla?” È questa la domanda che i partecipanti della sezione Impact! di #Giffoni2022 hanno immediatamente rivolto ad Anna Motta e Pino Paciolla, i genitori del giornalista, attivista e volontario napoletano morto in circostanze misteriose durante l'esercizio delle sue funzioni nelle Nazioni Unite.
È il 15 luglio del 2020 quando Mario viene trovato senza vita nella sua casa di San Vicente del Caguan, in Colombia. Inizialmente si parla di suicidio. Ma questa ipotesi non convince. Non convince la mamma e il papà di Mario. Non convince la Procura italiana che apre un'inchiesta. E non convince neppure le autorità colombiane che avviano le indagini su quattro poliziotti accusati di aver consentito proprio ai funzionari della Nato di prelevare oggetti personali della vittima e di far sparire dall'appartamento del giovane attivista una serie di elementi che avrebbero potuto essere fondamentali per la ricerca di una verità a cui Anna e Pino non vogliono rinunciare a nessun costo.
“Cosa potete fare per noi - ha detto alla platea dei giffoner Anna Motta – Condividere la storia di Mario, parlarne sui social affinché arrivi a tutti e non cada nel dimenticatoio” . E su proposta di una giovane consigliera comunale di San Donà di Piave è nata l'idea di esporre un banner sulla facciata delle istituzioni che si renderanno disponibili. Tra commozione e determinazione, l'incontro, reso possibile grazie al circolo Arci Marea di Salerno che, con Rosita Gigantino e Paolo Battista ha fatto da ponte con la coppia dei genitori, si è chiuso con le lacrime, perché una giffoner ha raccontato la personalissima esperienza del ritrovamento del corpo della madre sul letto di un fiume. Anna Motta l'ha abbracciata, perché solo chi vive quel tipo di dolore può comprendere in modo totale quanto certe ferite non si rimarginino, in particolare se “lo Stato fa tanta difficoltà ad assicurare alla giustizia le persone che delinquono e la piega che prendono determinati processi – ha incalzato Anna Motta – vedi il caso Regeni, rischia di essere un pericoloso precedente per tanti giovani che come mio figlio vogliono seguire questo percorso”. Luci ed ombre, con un grande nome sul banco degli imputati. “Non siamo riusciti ad avere contatti degni di tale nome non l'Onu e hanno difficoltà anche i nostri legali. Lo Stato Il ministro Di Maio venne a Roma all'arrivo del feretro. Poi Fico ci ha convocati e ci è stato sempre vicino l'ex sindaco di Napoli De Magistris, ma per il resto nulla, non abbiamo saputo altro, se non indiscrezioni giornalistiche, anche se continuiamo ad avere grande fiducia nella magistratura”.
Ai giovani, ha continuato Anna Motta, “vogliamo continuare a dare un messaggio di speranza nonostante tutto”. In particolare a quelli che, come Mario, “sono dei sognatori con i piedi per terra, professionisti competenti e strutturati con tanti interessi, dalla scrittura al basket, dalle lingue al cinema fino ai viaggi intesi come strumento per conoscere gli altri e capirne i problemi”. E poi la Colombia con i suoi conflitti, il narcotraffico ma anche l'incombenza delle multinazionali e la pressione delle disuguaglianze sociali che rende tutto complesso e oscuro, così com'è oscura la morte di Mario. Dall'ultima telefonata a casa per annunciare il ritorno in Italia con un volo umanitario, alla comunicazione del suo decesso, passarono, in quel drammatico luglio del 2020, poche ore. Meno di 24. “Mio figlio non aveva alcuna intenzione di suicidarsi – ribadisce la madre – Aveva un biglietto in tasca e la valigia fatta. E gli unici a sapere che doveva partire erano proprio quelli dell'Onu a cui recentemente si è rivolta anche la Farnesina per chiedere maggiore collaborazione”.