È il mestiere più bello ma anche il più difficile del mondo: una vera e propria missione. Quello del docente che “prende per mano” e accompagna i più piccoli, ma non solo loro, lungo le "strade" della vita.
Proprio per valorizzare questa professione, si celebra oggi la Giornata mondiale degli insegnanti, istituita nel 1994 dall'Unesco, l'agenzia delle Nazioni Unite che promuove l'istruzione, la scienza e la cultura.
Un'occasione per commemorare la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell’Unesco sullo status di insegnante, avvenuta nel 1966, momento in cui si decise di prestare maggiore attenzione su diritti e doveri di chi insegna.
Per chi è seduto tra i banchi di scuola, l'empatia del docente gioca un ruolo fondamentale nel benessere in classe. È quanto emerge da un sondaggio promosso dal portale Skuola.net su un campione di 1500 studenti italiani degli istituti medi e superiori. Seguono la capacità d'ascolto (per il 23% degli alunni intervistati) e l’imparzialità (per l'11%).
«L’empatia - spiega Daniela Melucci, docente di lettere dell'Istituto Comprensivo Miraglia-Sogliano di Napoli - ti permette di vestire “i panni” dell’altro, entrare in relazione, sentire o almeno provare ad immaginare quello che sentono i propri ragazzi e ragazze. Credo dia una marcia in più. Prendersi cura, nel senso di avere a cuore, credo sia il superpotere che permette ai docenti di non essere respinti ma accolti dai propri alunni. Nella mia esperienza, la strategia è non arrendersi ad una classe difficile, ma studiare nuovi modi, metodi, strategie didattiche affinché nessuno si senta di non avere più possibilità».
«Per quanto mi riguarda - dice Riccardo Giuliano, docente di lettere dell'Istituto Comprensivo Cariteo Italico di Napoli - senza sincerità e passione capiterà inevitabilmente di trovare una o più classi insormontabili. Io non credo allo spirito missionario, ma senza sincerità, viene meno l’elemento di maggiore forza nell’insegnamento, che è costituito dall’esempio; se io mostro ai ragazzi che mi impegno per loro, con loro, è sicuro che mi seguiranno; se mi affido al ruolo di autorità, troverò sempre qualcuno pronto a contestarlo».
Sempre secondo il sondaggio, nella valutazione non hanno avuto molto peso l’età dell’insegnante (per il 60% degli alunni poco importa che il professore sia giovane o meno), la “generosità” di giudizio, l’essere di “manica larga” nell’assegnazione dei voti e la simpatia.
In generale, comunque, il 38% degli studenti intervistati assegna un giudizio positivo al rapporto con i propri prof. Rapporto che, però, ha risentito degli effetti della pandemia e della didattica a distanza: per 2 studenti su 5, i mesi trascorsi a casa, lontano dalle aule scolastiche, hanno peggiorato il legame con gli insegnanti. Dal sondaggio di Skuola.net, solo 4 studenti su 10 si sono sentiti sostenuti durante la Dad.
«Ci sono stati casi di colleghe e colleghi - continua Riccardo Giuliano - che non hanno approfittato dell’occasione per sperimentare realmente la didattica digitale, e hanno invece riproposto la lezione frontale via video. In quel caso, è come nuotare con le pinne nella vasca: può essere anche divertente, ma è sostanzialmente inutile, e potenzialmente dannoso. Fuor di metafora, se non rimoduliamo la lezione sulla base della differenza inevitabile di svolgimento e di costruzione, è ovvio che perdiamo molti più studenti di quanti non ne perdessimo già in presenza».
«In molti casi - prosegue Daniela Melucci - la Dad ha significato allentare la relazione, allontanarsi. La scommessa è stata ogni giorno cercare il modo per rendere accattivanti le lezioni, senza mai essere uguali a se stessi e soprattutto evitando di replicare il modello della lezione frontale a distanza, perché questo ha creato le condizioni per i mancati apprendimenti».
Dei lunghi mesi a casa da gettarsi dietro le spalle. Da qualche settimana, il rientro, la ripartenza, una "nuova vita in aula", fatta di sguardi e di condivisioni reali con un mix di emozioni che accomunano insegnanti e studenti.
«Con la voglia di sperimentare e di offrire aiuto ai ragazzi - conclude Riccardo - mantenendo il nostro ruolo di guida, sia pure a distanza; il rientro è stato, ed è, ancora disorientante, perché facciamo fatica a tornare allo status mentale di normalità».
«In realtà - sottolinea Daniela - siamo tutti disorientati e confusi, felici di esserci ma confusi nelle sensazioni e nei sentimenti».
Donatella Alonzi