Quando sono arrivati, potevi vedere il terrore nei loro occhi. I bambini afghani accolti a Napoli, appena arrivati al Covid Residence dell’Ospedale del Mare, erano diffidenti, spaventati, intimoriti, come del resto i loro genitori, zii, nonni. Sì, perché la maggior parte dei 126 ospiti della struttura di Ponticelli è arrivata in gruppi – bambini, mogli e mariti, con i loro familiari più stretti – e si spera ci resteranno anche nella prossima struttura cui saranno destinati.
Da Kabul a Napoli: la prima accoglienza al Covid Residence
Intanto, la prima accoglienza è qui, tra le mura di questa struttura di 4 piani nella periferia est di Napoli, per queste persone scampate alla dittatura e alla morte: a donare il primo sorriso e a sostenerli nelle più basilari necessità sono venti Operatori socio-sanitari (Oss) del gruppo di imprese sociali Gesco, che lavorano in équipe in stretta collaborazione con la Protezione Civile.
“Quando sono arrivati erano stremati da un viaggio stancante e lunghissimo, non privo di pericoli – spiega Raffaella Nocera, operatrice in prima linea in questa emergenza – Da un punto di vista fisico non stavano male ma sul piano psicologico erano scioccati. Immaginiamo che queste persone da un momento all’altro sono dovute partire, scappare letteralmente così come erano vestite, portandosi dietro il minimo indispensabile”.
Gli operatori Gesco: “Li aiutiamo a superare la paura”
Tra gli oltre 120 profughi che ospita la struttura, ci sono molte giovani donne; in generale l’età media è bassa, uomini e donne hanno dai 25 ai 50 anni, ci sono pochi anziani. Soprattutto si contano 35 bimbi, alcuni molto piccoli, anche lattanti. In questa prima ondata c’era anche un bambino di 7 giorni, la cui madre aveva problemi di malnutrizione.
“La cosa che più ha sconvolto noi operatori all’inizio era lo sguardo pieno di terrore di questi bambini– continua l’assistente socio-sanitaria – Piano piano, però, abbiamo potuto notare con piacere che si sono addolciti, oggi hanno preso a fidarsi di noi e, nonostante le barriere linguistiche e culturali che ci separano, ci fanno capire molto bene cosa vogliono”.
Maccheroni! La richiesta dei profughi
Cosa chiedono soprattutto i profughi afghani? Latte, pasta e pane, in primis. “Chi arriva deve soprattutto far fronte alle necessità primarie, quindi, indumenti puliti – spiega la Nocera, la cui squadra segue le indicazioni del primario Giuseppe Bianco – e per quello possiamo contare sull’apporto della Protezione civile e sulla solidarietà dei cittadini.
E poi cibo, non quello che serviamo tradizionalmente noi, però. Ad esempio, rifiutano i secondi, il pesce in particolare, e il brodino che spesso noi diamo ai nostri pazienti. Chiedono pasta, pane, verdure, frutta, latte per i più piccoli. Noi ci mettiamo a disposizione, grazie alle scorte della Protezione Civile, diamo anche del latte in aggiunta ai bambini. Così come cerchiamo, per quello che ci è consentito negli spazi della struttura, di far trascorrere ai piccolini qualche ora spensierata, farli giocare, disegnare, colorare, ecc”.
Un sorriso per ridare speranza, in attesa di una nuova destinazione
I 126 ospiti del Covid Residence sono in quarantena fiduciaria; in realtà solo una persona è risultata positiva al Covid ed è stata isolata (al primo piano dell’edificio). Tra qualche giorno andranno via, non si sa ancora alla volta di quale nuova sistemazione, e al loro posto ci saranno nuovi ospiti. “Si spera possano ritrovarsi insieme – dice l’operatrice di Gesco – perché non vivano altri traumi, almeno quelli che sono legati da rapporti familiari”.
A supportarli per quanto riguarda le difficoltà linguistiche c’è un mediatore culturale, solo alcuni parlano un po’ di italiano e un po’ di inglese. “Ma per le prime necessità ci intendiamo benissimo, soprattutto con i bambini. Con loro basta un sorriso”, conclude Raffaella Nocera.
Maria Nocerino