G20, Napoli 2021. Mentre nella città partenopea i rappresentanti dei venti Paesi più potenti al mondo (coloro che detengono l’80% della ricchezza mondiale e responsabili dell’80% delle emissioni di C02 totali) si incontrano per decidere le sorti del pianeta, in piazza scendono gli attivisti della rete Bees Against G20, movimenti, collettivi e comitati ambientalisti.
Giovedì 22 luglio un contro-forum di circa 1500 persone si è mosso da piazza Dante a piazza Bovio, con la richiesta di trovare soluzioni concrete al cambiamento climatico e che le misure necessarie per contrastare i fenomeni di riscaldamento globale e l’inquinamento vengano adottate subito.
Promesse da marinaio e il problema delle navi da crociera
“Chi fa parte del problema non darà la soluzione – Si legge nel comunicato distribuito in Piazza – I programmi di abbattimento della Co2 sono a tal punto diluiti nel tempo da diventare visioni prive di concretezza”. Non sono sufficienti quindi programmi a lungo termine ma è indispensabile instaurare buone pratiche, ad iniziare dai sistemi industriali, che possano poi coinvolgere, a cascata, tutti i cittadini. Alle emergenze globali si sommano quelle locali, quelle dei singoli territori. In una città come Napoli, che rimpiange il turismo pre-pandemia, sembra quasi che non si tenga più conto degli effetti negativi comportati dal turismo di massa.
“Non basta cambiare tecnologie: se i potenti della terra non attuano un cambio di paradigma, passando da una visione di crescita illimitata a una visione improntata alla sobrietà dei consumi e della produzione, non ridurremo l’impatto del cambiamento climatico – Dichiara Anna Fava, attivista del SET Sud Europa di fronte alla Turistificazione – Prima della pandemia il turismo era causa dell’8% delle emissioni clima-alteranti: oggi non si vede l’ora di ripartire, senza mettere in discussione nulla. A Napoli le navi da crociera sono ormeggiate nel porto a motori accesi tutto il giorno, tutti i giorni. Una nave da crociera può arrivare ad inquinare come un milione di automobili: è come avere un inceneritore ancorato al porto. Alcuni consumi vanno semplicemente messi al bando: possiamo passare alle energie rinnovabili, ma dobbiamo ridurre la quantità di energia che consumiamo, ridurre gli spostamenti, tornare ad una vita più semplice e rispettosa dell’ambiente. Possiamo ancora farlo”.
Italsider di Bagnoli e ex Ilva di Taranto. Due nervi ancora scoperti
Fra i dolorosi capitoli ancora aperti in territorio campano c’è anche quello della mancata bonifica dell’area dell’ex-Italsider di Bagnoli. Una questione non solo napoletana ma che vivono anche gli abitanti di Taranto, di cui una rappresentanza è giunta a Napoli per partecipare alla manifestazione. Fra questi c’è Michael Tortorella, 23 anni, attivista per la chiusura dello stabilimento Ilva a Taranto.“Come tutti i cittadini di Taranto, sono testimone di una sistematica opera di logoramento del territorio: con lo stabilimento siderurgico Acciaie d’Italia (ex Ilva), con le raffinerie Eni, con le navi da crociera. È un sistema capitalistico mascherato da occasioni di lavorato che però, nei fatti, ci spinge fuori dalle nostre case. Sembra non ci sia scelta: morire di fame o morire di lavoro. Questo è ciò che ci prospetta un sistema capitalistico che vede lo sfruttamento sconsiderato delle risorse del territorio come unica possibilità. E invece noi una scelta l’abbiamo: riconvertire i sistemi produttivi, riappropriarci degli spazi, rinunciare una buona volta a un paesaggio di gigantismi che ci espropriano di bellezza. Se il motto dei movimenti No Global era “Un altro mondo è possibile”, oggi il motto è “Un altro mondo è necessario”. Avevo tre anni quando i compagni più anziani scesero per la prima volta in piazza. È triste osservare che oggi nulla è cambiato se non in peggio” commenta Tortorella.
C’è anche chi sottolinea che la stessa Pandemia da Covid-19 sia un fenomeno ampiamente previsto e testimonianza diretta dell’emergenza ecologica. “Gli studiosi attendevano da tempo una pandemia da zoonosi come quella vissuta oggi non il Covid-19 – Sostiene Barbara, biologa e ricercatrice all’Università Federico II di Napoli, scesa in piazza per manifestare – deriva dallo sfruttamento sconsiderato della superficie terrestre, anche di luoghi in cui non è prevista la sua presenza. Ciò ha comportato uno squilibrio nell’ecosistema letale proprio per chi l’ha determinato: l’essere umano”.
I No Global: Cassandre dei giorni nostri
Le richieste che riecheggiano oggi in piazza nelle diverse manifestazioni dei movimenti ambientalisti non sono molto differenti da quelle rivendicate dagli attivisti no-global di vent’anni fa. Di altra globalizzazione, di condanna indiscriminata delle risorse, di un sistema economico alternativo che non fosse basato dal contrappeso oppressori/oppressi parlavano già quelli che scesero in piazza contro il G8 prima a Napoli e poi a Genova, argomenti scomparsi, nella narrazione, sotto i fatti di violenza e oppressione.
La tonnara di piazza Municipio a Napoli - durante la quale le forze dell’ordine caricarono studenti e manifestanti “chiusi” in piazza senza la possibilità nei fatti di disperdersi - e successivamente i fatti di Genova: le torture della Diaz e la morte di Carlo Giuliani. Anche oggi nei tanti articoli di giornale che commemorano i vent’anni del G8 di Genova si parla principalmente di black bloc incappucciati, delle pareti della scuola Diaz ricoperte di sangue, di responsabilità e di giustizia per Carlo Giuliani. I motivi per cui migliaia di persone hanno messo in pericolo la propria vita e per cui un ragazzo è morto sono scomparsi e magicamente riapparsi in piazza, una generazione dopo. Come recita una vignetta comparsa nei social e nei giornali in questi giorni: i No Global avevano ragione. Ma poco conta, perché era l’unica cosa che avevano.
Chiara Reale