Diceva Lev Tolstoj, grossomodo, che possiamo vivere una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo.
Tale concetto non può discernere da quello dei diritti dei lavoratori: ferie, maternità, malattia, aspettativa, indennità relative a infortuni e contributi sono, insieme a un guadagno equo, elementi che qualificano un lavoro come dignitoso e che, purtroppo, continuano ad essere negati ai rider.
Nell’accordo stipulato a novembre 2020 da Ugl e Assodelivery (unica associazione italiana dell'industria del food delivery, alla quale aderiscono Deliveroo, Glovo, SocialFood e Uber Eats e, fino a poco tempo fa, anche Just Eat) fu pattuito che, confermando l’inquadramento dei rider come lavoratori autonomi, il loro guadagno dovesse prevedere un tetto minimo di 10 euro lorde all’ora. L’accordo sbaragliò il tavolo aperto dalla confederazione delle principali sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil Confederali) con il Ministero del Lavoro, trattativa che metteva al centro del dibattito non solo il compenso minimo percepito, ma anche la questione contrattuale con i relativi diritti sindacali. La questione “diritti” venne quindi messa a tacere con un “contentino” che, nei fatti, risolveva ben poco.
Tentiamo di mettere ordine nel groviglio di leggi, contratti e sentenze con Luca Barilà, Segretario Generale Felsa Cisl Campania “Partiamo dalla difficoltà di inquadrare queste figure dal punto di vista contrattuale. I rider compaiono come lavoratori autonomi ma, nei fatti, non possono essere così definiti in tutto e per tutto. Possono lavorare come, quando e dove vogliono ma dall’altra devono sottostare a sistemi di turnazioni e algoritmi che regolano il traffico delle consegne poco chiari. I rider che lavorano nel settore del delivery sono di fatto sospesi in una fascia grigia, anche perché le sentenze che si sono succedute nel tempo a riguardo sono state spesso contrastanti”.
Una guerra a colpi di sentenze
Resta nella storia quanto deciso dalla Cassazione in merito al contenzioso tra Foodora e cinque rider di Torino (2019) che avevano fatto causa a Foodinho (attualmente Glovo-Foodinho) richiedendo il risarcimento dei pagamenti e dei contribuiti previdenziali non goduti e facendo esplicito riferimento al contratto collettivo logistica-trasporto. Dopo due sentenze in parte discordanti presso il Tribunale di Torino nei due gradi di Giudizio precedenti, secondo la Corte Suprema ai ciclo-fattorini delle consegne a domicilio vanno applicate le tutele del lavoro subordinato come previsto dal Jobs Act, nella forma qualificata come ibrida delle “collaborazioni organizzate dal committente”.
Una spinta sull’acceleratore per quanto concerne l’inquadramento lavorativo dei rider è stata sicuramente data sul finire di febbraio 2021, grazie alla maxi-inchiesta della procura di Milano che vede nell’occhio del ciclone alcuni vertici delle principali società di Delivery e che indaga anche su presunte irregolarità fiscali. Dall’inchiesta dipendono le sorti di oltre sessantamila lavoratori di Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo, che dovranno essere assunti o comunque contrattualizzati in modo più chiaro dalle aziende, passando da lavoratori autonomi e occasionali a parasubordinati. La Procura di Milano ha invitato i datori di lavoro ad applicare la normativa prevista per le mansioni svolte dai rider e, di conseguenza, a provvedere alle contrattualizzazioni relative.
“Quanto stabilito dalla procura di Milano è sicuramente un ulteriore passo in avanti nel riconoscimento di queste figure lavorative e, quindi, nel riconoscimento dei loro diritti. – prosegue Barilà – È un segno chiaro che le nuove figure lavorative non debbano essere soggette a una cattiva flessibilità e al precariato. L’inquadramento lavorativo “onesto”, che siano vere e proprie assunzioni o collaborazioni coordinate e continuative, si consente attraverso la contrattazione di costruire tutele come malattia, ferie, infortunio, maternità. Di questi sessantamila lavoratori una parte potrebbe essere assunta stabilmente e altri avere un inquadramento diverso e scegliere, ad esempio, di rimanere liberi professionisti con Partita IVA. Quest’ultima però deve essere una libera scelta e non un aut aut. Ciò vuol dire dare dignità al lavoro”.
Come essere un rider qualificato. La formazione
E un altro elemento importante per far sì che quella dei rider diventi a tutti gli effetti una professione qualificante è la formazione. “Le professionalità degli operatori del delivery vanno rafforzate con le tutele e le coperture assicurative, certo, ma anche con la formazione. Il tal senso la Cisl si sta impegnando ad avviare una ricerca attiva in cui, a un’indagine del fenomeno di correlazione fra gig economy e rischio stradale e sociale nei rider, condotta dall’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Università degli Studi di Foggia e Università degli Studi di Napoli “Federico II”, si associa una formazione sulla sicurezza stradale e sociale rivolta a questi lavoratori, in partnership con la Motorizzazione Civile. Il progetto è ambizioso ma contiamo di essere in grado di attuarlo, da qui a due anni, sperimentalmente sulle città metropolitane di Napoli e Bari. La finalità complessiva del progetto è di promuovere una azione di prevenzione dei rischi sul lavoro per questa particolare categoria di lavoratori per i quali la sicurezza sul lavoro coincide con la sicurezza stradale”.
Chiara Reale