APPUNIMM’ nasce dall'ambizione di un gruppo di educatori di stare in strada per fare di questa un ambiente educativo, di restituirle, attraverso il Teatro di Comunità, la sua dimensione sociale, politica e culturale. Un modo per “Abitare la strada” che in tempo di pandemia cerca nuove strade a cavallo tra reale e virtuale per raggiungere grandi e piccini.
L’idea di Appunimm’, nasce dagli stimoli scaturiti in seguito all’istituzione del nuovo dispositivo dei Laboratori di Educativa Territoriale: Abitare la strada. In educativa territoriale delle Municipalità, al contrario dei laboratori pomeridiani per bambini e ragazzi che si tengono in una sede fissa, i dispositivi “abitare la strada” si svolgono per strada per 12 ore settimanali e sono tenuti da due operatori. Il percorso di coinvolgimento della cittadinanza attraverso il teatro è stato realizzato da: per la I Municipalità Emiliano Schember e Eleonora Amiranda della cooperativa Assistenza e Territorio (con sede nell’Officina dei Sogni a vico Mondragone 27); per la II Municipalità fino a ottobre 2019 Riccardo Pisani e Elisa Paggio, da novembre 2019 a oggi Serena Mammani e Francesco Ciccio Tedesco nel LET Stelle sulla Terra presso la Casa dello Scugnizzo; per la VI Municipalità: Pietro Varriale e Cristoforo Caiazzo delle Imprese Sociali Gesco che ha sede nel LET Dissolvenze presso l'IC Madre Claudia Russo- Solimena.
“Visto che ci conosciamo da tanti anni - racconta Emiliano Schember, educatore della cooperativa Assistenza e Territorio che opera nella I Municipalità - abbiamo pensato di fare un progetto che includesse le nostre educative. Abbiamo riflettuto sulla metodologia del teatro di comunità tenendo conto di tanti presupposti pratici e teorici: dalla coscientizzazione e il teatro dell’oppresso di Paolo Freire, passando per Renato Curci, al teatro agorà di Augusto Boal, fino all’educazione incidentale di Colin Ward”.
“L’EdS è poco prescrittiva – chiarisce la Metaequipe di Appunimm'-, per sua natura e questo ci ha lasciato immaginare la possibilità di sperimentare una progettazione che “attivando comunità di pratiche” si è posta l’obiettivo di “agire la valenza politica dell’educazione”, per innescare nei territori quella “consapevolezza dei conflitti e [delle] capacità di cambiamento (di sé e del mondo)”, che porti ad “agire piccoli cambiamenti” in quei “contesti di vita”. Napoli è un esempio paradigmatico di come la città sia il campo di espressione privilegiato di tante tensioni e lotte di potere, dove “spazio architettonico e spazio politico tendono a coincidere, a sovrapporsi, a integrarsi l’uno nell’altro”: la penombra dei vicoli dei quartieri storici della città, dove il sole non riesce a raggiungere i “bassi” e l’umidità, la scarsa circolazione dell’aria, gli ambienti stretti, la promiscuità e il sovraffollamento, si scolpiscono nelle fisionomie degli abitanti con la forza di un’implacabile epigenetica, così come nei quartieri periferici gli spazi vuoti, abbandonati, bruciati da un sole da cui spesso non si riesce a trovare riparo, sono la risonanza di una separatezza che chiama a gran voce la rabbia del corpo estraneo, la voglia di vendetta di chi si sente escluso, raccontano allo stesso modo la storia della città, il modo in cui essa si è formata nel tempo. Attraversando la confusione urbanistica di Napoli, ci si rende conto di come “il fine della vita metropolitana non [sia] più la libera circolazione degli individui, la loro realizzazione in quanto comunità, bensì l’esibizione stessa del potere”. E non è tanto importante stare a stabilire chi sia in capo a questo potere, quanto capire gli effetti disgregativi devastanti che il suo esercizio ha avuto sulla comunità”.
L’intervento educativo cerca innanzitutto ricostruire e rintracciare quei legami comunitari che si sono sviluppati all’ombra di quel potere, scoprirne le narrazioni, le compulsioni, gli agiti inconsulti, e la strada è il luogo in cui la simultanea occorrenza di “infiniti elementi incidentali e causali” può modificare “gli assetti di potere fra gli attori sociali”.
https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=liSAzzoNASM
Il contatto degli educatori con gli abitanti della strada, piccoli, ragazzi, adulti, anziani, è avvenuto attraverso un escamotage: l’utilizzo di un risciò, che è stato costruito a rotazione, in una piazza di ogni territorio di riferimento (Barra/Avvocata/Chiaia-San Ferdinando), procedendo per moduli fino all’assemblaggio finale. Il risciò con su scritta la frase-motore: “E’ l’identità che definisce il cambiamento” è diventato poi fulcro del lavoro di strada. Sul risciò è stata installata una video-box per raccogliere le testimonianze a rotazione tra i luoghi individuati nelle varie zone. Una volta raccolto il materiale (fotografie, storie, linguaggi, posture, ecc.), il gruppo ha individuato un tema-soglia da restituire al territorio attraverso l’azione teatrale con una funzione critico/provocatoria. L’ultima fase più delicata è quella del Ci siamo?/Coscientizzazione ovvero un modo di stare nella realtà, che ha al suo fondo un’attitudine critica e riflessiva, tale da innescare un processo di risemantizzazione che si rinnova indefinitamente nel tempo. L’obiettivo è quello di coinvolgere quante più persone possibile in un rito di auto riconoscimento ed elaborazione circolare di un input che, partito dal territorio, ritorna al territorio metabolizzato, oggettivato, trasvalutato.
“L’ambizione che abbiamo come educatori è – spiega Emiliano Schember, educatore della cooperativa Assistenza e Territorio che opera nella I Municipalità - quella di stare in strada per fare di quella un ambiente educativo, di recuperare attraverso il teatro di comunità “la sua funzione sociale, politica e culturale”, poiché “è un teatro voluto e fatto dalla gente comune, dal pubblico, il quale ha finalmente la possibilità di far sentire la propria voce”. Attraverso il teatro di comunità è possibile l’incontro tra generazioni, dove persone comuni danno vita ad uno spettacolo in cui sono loro i veri protagonisti, nei ruoli di attori, registi e scenografi. Noi educatori interpretiamo una scena di teatro in strada, le persone si fermano a vedere e noi riprendiamo tutto. C’è chi chiede cosa sta succedendo e si apre un discorso e un dibattito. Chiediamo “Come la faresti questa scena?” e in questo modo le persone si appropriano del senso e lo trasformano, propongono una visione diversa della scena, la loro visione. Ecco che si trasforma il senso, l’immagine, il livello del tema. Non è più un messaggio unidirezionale ma diventa il frutto di un discorso collettivo. A forza di lanciare delle provocazioni le persone si interrogano sullo spazio, sulla loro identità, sulla città. Giungono ad un livello di consapevolezza tale da poter cambiare. Quando è possibile, lo spettacolo viene realizzato nel teatro principale della città, o in altri luoghi di quartiere, per aprire alla comunità spazi – spesso poco utilizzati – di riunione, di riflessione, di confronto. Non c’è un gruppo di utenti fisso in strada, il target privilegiato è degli adolescenti, ma vengono coinvolti anche gli adulti e gli anziani, chiediamo alla strada di accoglierci e cerchiamo di aprire un discorso attraverso la metodologia del teatro di comunità. Abbiamo anche incontrato le stesse persone in alcuni luoghi dove andiamo solitamente: ai giardinetti a Barra, a piazza Madre Claudia Russo, nella zona della metropolitana a Montesanto e Materdei. Se il territorio di Barra è più sedimentato, quello del Centro Storico è più fluido. È un processo lungo, richiede tanto tempo per riflettere ed elaborare. Ci sono giorni in cui assistiamo a processi di scambio e creazione incredibili e giorni in cui non intercettiamo nessuno e dobbiamo resistere alla frustrazione. Il lavoro di coscientizzazione in fondo riguarda anche noi operatori. Ci vuole molta pazienza”, chiarisce Emiliano Schember.
https://www.facebook.com/teatrodicomunitanapoli/videos/2798433063771195
“In questa fase della pandemia- conclude l’educatore della I Municipalità-, da marzo a settembre abbiamo dovuto rimodulare le attività utilizzando una serie di strumenti social per continuare questo percorso sul web. Abbiamo cercato di capitalizzare tutto ciò che abbiamo accumulato dall’inizio del lavoro per creare delle piazze virtuali di incontro con tutti i contatti stabiliti. Inoltre durante la pandemia abbiamo incontrato i ragazzi chiedendo cosa stanno vivendo in questo periodo. Abbiamo dovuto trovare un’alternativa alla piazza reale, per sperimentare percorsi educativi nuovi ma in continuità con il messaggio di coscientizzazione e cambiamento”.
AdG