La vergogna di Napoli: CAV chiuso e l’unica casa rifugio che sta per concludere il mandato
Le donne napoletane e le associazioni femministe capitanate da Non una di meno sono sul piede di guerra. Il Comune di Napoli non ha un solo centro antiviolenza aperto. La gara per l’affidamento è bloccata da logiche amministrative, i criteri di assegnazione del CAV che non rispettano la convenzione di Istanbul e intanto in Italia stiamo vivendo una delle pagine più buie per la violenza sulle donne, unico reato che ha visto un’impennata dal lock down in poi.
L’Italia indietro nel contrasto alla violenza di genere
Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. In Italia non c’è nulla da celebrare.
Dal 1999 l’Europa è andata avanti nella lotta alla violenza e alla discriminazione contro le donne in particolare con la Convenzione di Istanbul (firmata a Istanbul l’11 maggio 2011), ma nonostante la sua ratifica nel 2013 (Legge 27 giugno 2013, n. 77) il nostro paese è fanalino di coda per l’applicazione dei dettami della convenzione che oltre ad aver definito nei dettagli tutti i tipi di violenza di genere, da quella psicologica, a quella sessuale a quella economica, e aver chiesto un inasprimento delle pene, guida i governi sulle precise modalità di intervento e accompagnamento delle donne vittime di violenza e su tutta una serie di azioni politiche e culturali atte a superare la visione patriarcale e maschilista insita nella società (in breve: https://rm.coe.int/1680464e9d)
Tra i vari dettami la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul individua come obiettivo quello di avere un centro antiviolenza ogni diecimila abitanti. Invece come evidenziato dal report “I centri antiviolenza” che l’Istat ha pubblicato nel 2019 con i dati più aggiornati sul tema ovvero quelli del 2017: al 31 dicembre 2017 erano attivi nel nostro Paese 281 Centri Antiviolenza, rispondenti ai requisiti dell’Intesa del 2014, pari a 0,05 centri per diecimila abitanti. (Report: https://www.istat.it/it/files//2019/10/Report-Centri-antiviolenza-2017.pdf)
La violenza di genere durante la pandemia
Durate la pandemia i telefoni collegati al numero gratuito 1522, servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, suonano senza tregua: le chiamate sono aumentate del 119% tra marzo e giugno 2020. Infatti è proprio nelle case dove siamo reclusi per il lock down che avvengono circa il 70% dei femminicidi e le decine di migliaia di casi accertati di maltrattamento, abusi sessuali sui bambini e di violenza sulle donne e sulle persone lgbtqi+. La rete D.i.Re ha registrato in Italia una crescita esponenziale della violenza di genere con circa 2900 casi di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza solo nel mese di marzo, oltre il 74% in più rispetto alla media mensile registrata nel 2018 (ultimo anno in cui dati sono disponibili). Comprendiamo da ciò quanto sia ancor più importante il presidio dei CAV sul territorio in questo momento storico.
Uno studio della direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno ha evidenziato come i reati nel loro complesso abbiano subito un’importante flessione nel 2020, mentre l’incidenza di quelli commessi in ambito familiare fa registrare un tendenziale aumento. In sintesi i reati commessi in ambito domestico nel periodo di marzo 2020 si attestano tra il 12 per cento ed il 20 per cento rispetto al totale, con un picco del 19,93 per cento nell’ultima settimana toccando quota 217 (nel 2019, l’incidenza era intorno al 12 per cento). La percentuale delle violenze sessuali si attesta sempre oltre il 90 per cento. Nel capitolo “vittime dei reati spia” del documento ministeriale, si nota come, per il reato di atti persecutori, l’incidenza delle vittime donne faccia rilevare un picco nel periodo 1-7 marzo (78,75 per cento). Per quanto riguarda il femminicidio anche qui l’analisi evidenzia un gap tra reato di omicidio in generale e femminicidio. Il dato generale degli omicidi a marzo 2020 si conferma in calo (11 a fronte di 38) rispetto all’analogo periodo del 2019; mentre le vittime donne mantengono comunque valori significativi: sia in generale (7 rispetto a 12), sia in ambito familiare/affettivo (6 a fronte di 8).
Napoli: nessuna visione politica e programmatica della violenza di genere
Tantissime sono state le richieste di aiuto pervenute anche all'assemblea di Non una di meno di Napoli da parte delle donne e delle soggettività lgbtqi+ di Napoli perché vittime di gravi maltrattamenti domestici durante il lock down.
Nel mese di luglio, nonostante l'intensificarsi della violenza maschile, il Comune di Napoli ha chiuso il Centro Antiviolenza e al momento non è stato approvato un bilancio che ne finanzi la riapertura. Eppure i CAV- che forniscono gratuitamente assistenza psicologica e legale, sostegno (anche economico) nei percorsi di uscita da situazioni familiari violente, e ospitalità, in caso di bisogno, presso case rifugio dall’indirizzo segreto- sono basilari per aiutare le donne a fuoriuscire dalla violenza e sono il primo avamposto cui chiedere aiuto nei momenti di emergenza per sfuggire anche al femminicidio.
Sabato 21 novembre alle 17 c’è stata la prima Assemblea pubblica on line di Non una di meno insieme a tutta la rete di associazioni femministe della città per discutere sulla lotta per la riapertura immediata del CAV e il suo adeguamento nel rispetto dei bisogni delle donne vittime di violenza espresse dalla Convenzione di Istanbul.
D’altra parte in questa situazione drammatica il Comune di Napoli si limita a proporre un corso di trucco come unica misura di contrasto alla violenza maschile sul territorio di Napoli. Di fatto a Napoli da luglio le donne possono contare solo sugli sportelli Antiviolenza attivati dalle militanti e dalle volontarie delle associazioni femministe che lottano al loro fianco.
Arci Donna, Le Kassandre , Dream Team, Maddalena, Telefono Rosa sono alcune delle associazioni che fanno da baluardo alla violenza di genere con sportelli retti su base volontaria o finanziamenti di altre fonti, non comunali. E’ il 1522 ad inviarle non essendoci alcun servizio ufficiale della città di Napoli.
“Al nostro sportello di Ponticelli, soprattutto dopo la chiusura del CAV comunale, arrivano donne da Napoli e Provincia, che noi accogliamo indipendentemente dalla provenienza
- racconta l’avvocata Marianna Hasson vicepresidente dell’associazione le Kassandre storica associazione di Ponticelli che ha preso parte, nell’anno 2019, alla gestione del CAV messa a bando per sole 22 settimane ed affidata al Consorzio Terzo Settore in partenariato con il Consorzio Core, l’associazione Telefono Rosa e con l’associazione le Kassandre, appunto. Al termine delle 22 settimane la gestione del CAV è stato poi dato, con affidamento diretto, al solo Consorzio Terzo Settore fino alla chiusura. Di fatto manca completamente, da parte dell’amministrazione comunale, una visione politica della violenza di genere e qualunque forma di programmazione relativa alle misure di contrasto, che oggi ricadono unicamente sulle associazioni femminili della città, a titolo molto spesso di volontariato.
Il Comune, attraverso le parole dell’assessora alle pari opportunità, Francesca Menna, afferma che non si può pubblicare l’avviso per il finanziamento dei cav senza approvazione del bilancio, ma intanto non sembra minimamente interessato alle sorti delle tante donne che subiscono violenza. All’assemblea pubblica on line di Non una di meno non ha partecipato nessuna rappresentante delle istituzioni comunali se non una consigliera e un’assessora della VI Municipalità. Il problema che solleviamo non è soltanto relativo alla precarietà del CAV, ma anche alla mancanza di una visione politica e culturale della violenza di genere che invece a noi è ben chiara ed è stata anche sottolineata nella Convenzione di Istanbul. Le gare di appalto comunali si basano su requisiti formali stringenti come, ad esempio, la capacità economico finanziaria degli enti gestori (ndr grandi consorzi piuttosto che associazioni femministe che non hanno tali requisiti), piuttosto che sul back ground esperienziale, politico e culturale necessario ad accompagnare le donne nel loro percorso. L’istituzionalizzazione fa entrare i CAV in una logica amministrativa e li sottomette a meccanismi in cui la metodologia fondata sull’ascolto, la relazione tra donne, il femminismo non c’entrano più nulla. Per questo pensiamo che i CAV non debbano essere pensati come servizi, vincolati ai bandi e alle gare di appalto, ma considerati per ciò che sono, ovvero luoghi politici”.
Intanto la consigliera Chiara Guida da sempre impegnata nelle battaglie contro la violenza sulle donne ha presentato con altri cinque rappresentanti del Consiglio un ordine del giorno per discutere la questione, ma insieme al bilancio è tutto bloccato.
“La riapertura immediata del Cav comunale non è più prorogabile- si legge nell’appello di Non una di meno che intanto sta strutturando un documento programmatico di proposte da inoltrare alle istituzioni-. Ma non ci basta, vogliamo un vero CAV. Dopo gli anni in cui i movimenti femministi sono riusciti a imporre l'apertura dei Cav, ha cominciato a farsi strada il tentativo di neutralizzare il portato politico e trasformativo che i Cav incorporano. Sia attraverso attacchi diretti, chiusure, mancati finanziamenti, sia attraverso il meccanismo dei bandi. Il bando, dietro l'apparente tecnicismo, può imporre il rispetto di criteri aziendalistici e requisiti finanziari che in genere le associazioni femministe non riescono a soddisfare, e imporre figure professionali diverse dall'operatrice antiviolenza. Attraverso queste logiche le associazioni femministe che hanno inventato i Cav sono state estromesse interrompendo la trasmissione di saperi e di pratiche prodotti nel corso degli anni. Abbiamo avuto così CAV coordinati da maschi, personale sprovvisto della necessaria esperienza e della consapevolezza derivante dall'appartenenza ai percorsi femministi a lavorare nei Cav del Comune, e perfino CAV che offrono al loro interno mediazione familiare. Non siamo più disposte ad assistere ad operazioni di questo tipo nella nostra città, vogliamo che i movimenti che hanno dato vita ai Cav, ritornino ad esserne pienamente protagonisti”.
Un altro fatto gravissimo è che a Napoli c'è una sola Casa Rifugio con soli 6 posti letto e in tutta la Campania i posti letto sono circa 80, un numero irrisorio rispetto a quanto stabilisce la Convenzione di Istanbul (un posto letto ogni 10 mila abitanti). L’affido di Casa Florinda attualmente gestita dalla coop. Dedalus scade a dicembre, ma intanto non c’è nessun bando per procedere alla nuova assegnazione. Che fine faranno le donne accolte nella struttura e i loro bambini?
L’insufficienza dei servizi e la bassa qualità dell’intervento nella lotta alla violenza di genere è a monte anche una questione regionale.
“La Campania sulla carta è ben dotata di centri che spesso non funzionano. Lo stesso sistema dei cinque poli napoletano è fermo in attesa del bando per l’assegnazione del progetto che durerà meno di un anno. Senza continuità è difficile dare sicurezza alle donne e offrire un servizio efficiente ed efficace. In generale i centri andrebbero stabilizzati e migliorati nella qualità più che nella quantità, molti operatori non hanno esperienza e competenza specifica, mentre per le case di accoglienza c’è un problema quantitativo: i posti sono insufficienti a Napoli e in generale in Campani. Infatti molto spesso vengono inviate donne da Napoli alle case rifugio che Era gestisce in provincia di Caserta. Uno scandalo che denunciamo da anni è che il fondo della legge 119 per il sostegno della rete antiviolenza viene mandato in ritardo dal Governo alla Regione, che lo distribuisce in ritardo ad ambiti e comuni, ma ciò che è più assurdo è che arrivato ad ambiti e comuni il fondo scompare o viene utilizzato solo in parte per progetti dedicati alla violenza sulle donne. La verità è che nessuno controlla come vengono spesi i soldi dagli ambiti territoriali” spiega Lella Palladino, sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza, che ha fondato nel 1999 la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania centri antiviolenza e case rifugio che ha fatto della battaglia contro la violenza sulle donne il fulcro della sua vita autrice del libro appena uscito “La violenza non è un destino” in cui ripercorre nel libro le storie di molte delle donne con cui è entrata in contatto negli anni di lavoro nei centri antiviolenza, mostrando le diverse forme della violenza maschile, ma anche i modi per combatterla.
Alessandra del Giudice