Il distanziamento sociale? Lo viviamo da anni nei confronti dei migranti

Il Dossier Statistico Immigrazione compie 30 anni

copertina DossierIl Dossier Statistico Immigrazione celebra, con il volume del 2020, la sua 30ª edizione raccontandoci di un’Italia dove gli stranieri sono sempre più radicati nel sistema economico e sociale sebbene i loro diritti e le loro condizioni di vita non sono ancora assolutamente equiparate a quelle degli italiani.

Curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con il Centro Studi Confronti e realizzato grazie ad una serie di studiosi, esperti e operatori il Dossier rende omaggio, con questa edizione, a Lidia Pittau e ad Andrea Stuppini, entrambi scomparsi nel 2020. A sostenere questo patrimonio di ricerca, informazione e disseminazione è il Fondo Otto per mille della Chiesa Valdese - Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi. “La parola d’ordine di questo 2020 è “distanziamento sociale”: un’espressione tanto infelice, nella misura in cui mette in discussione il senso stesso di comunità all’interno del Paese, quanto tuttavia “sintomatica” di una mentalità e un clima culturale che hanno preso piede e si sono diffusi molto prima della pandemia. La raccomandazione, se riferita agli immigrati che vivono con noi in Italia, non ha avuto e non ha difficoltà a venire osservata, perché si innesta su un atteggiamento già abbondantemente radicato: con gli stranieri è bene mantenere le distanze e soprattutto tenerli a distanza” denuncia Luca Di Sciullo, coordinatore del Dossier statistico immigrazione e presidente del Centro studi e ricerche Idos, che questa mattina ha presentato il nuovo Rapporto.

“La mancanza ultradecennale di programmazione degli ingressi per lavoro- continua il ricercatore-, congiunta all’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari stabilita dal Decreto “sicurezza” del 2018, e alla politica dei porti chiusi e dei respingimenti, ha concorso in maniera strutturale a produrre irregolarità tra gli immigrati: contribuendo a svuotare i centri di accoglienza. E’ incredibile che, in un Paese di immigrazione da quasi 50 anni, in cui 3 non comunitari su 5 hanno ormai maturato un titolo di soggiorno di durata illimitata (e, tra i restanti, l’80% soggiorna per un motivo che sottintende comunque un insediamento stabile); in cui i matrimoni misti sono arrivati a rappresentare ben il 12% del totale, più di 1 neonato ogni 7 ha genitori stranieri, 3 alunni stranieri su 5 sono nati in Italia e che conta oltre 1,3 milioni di minorenni con un background migratorio, contiamo ancora oltre 800 mila nati in Italia che qui vivono, studiano, lavorano, prendono casa, costituiscono una famiglia e tuttavia non hanno la cittadinanza italiana”.

“Dall’inizio del 2017 abbiamo assistito a un incremento sostanziale delle operazioni di intercettazione in mare da parte della Guardia costiera libica: dal 2% al 55%. Ed è aumentato notevolmente il tasso di mortalità dei migranti, dal 2% annuo tra il 2016 e il 2017 a oltre il 6% negli anni successivi”, ha denunciato Nancy Porsia, giornalista freelance e autrice di un capitolo del Dossier statistico immigrazione.

“Il Covid è stato la rappresentazione di disuguglianze stratificate nel tempo ma anche una torsione ulteriore dei diritti dei migranti”, ha osservato Marco Omizzolo, sociologo ricercatore di Eurispes, esperto di immigrazione e autore di un capitolo del Dossier sullo sfruttamento degli stranieri in agricoltura. “Durante la pandemia si è registrato un aumento del 15-20% dei migranti e delle migranti sfruttati nelle nostre campagne, circa 40-45 mila persone che hanno visto non solo una contrazione della loro retribuzione oraria, da 4,50 a 3 euro. Inoltre sono aumentate le ore di lavoro (tra 8 e 15 ore giornaliere, molte delle quali non registrate) e abbiamo registrato decine di nuovi infortuni, senza che i braccianti migranti venissero forniti di dispositivi di protezione sanitaria”.


I migranti nel mondo

Nel 2019 sono arrivati a 272 milioni i migranti internazionali, che costituiscono quindi più di 1 ogni 30 abitanti della Terra (il 3,5% di una popolazione mondiale di 7,6 miliardi di persone). Nell’ultimo periodo essi sono cresciuti di 14 milioni ogni due anni (erano 258 milioni nel 2017 e 244 milioni nel 2015) e oggi sarebbero 1 miliardo se vi si includessero anche i migranti interni.

A ospitarne il maggior numero è l’Europa (89,2 milioni), seguita nell’ordine dall’Asia (77,5 milioni), dall’America (quasi 70 milioni), dall’Africa (26,3 milioni) e dall’Oceania. Oltre 2 migranti su 5 (41,3%) sono insediati, dunque, nel Sud del mondo. In particolare, i migranti forzati, arrivati oggi a 79,5 milioni (erano meno di 71 milioni l’anno precedente), sono raddoppiati in soli dieci anni. Tra costoro, di cui il 40% è costituito da bambini, 26 milioni sono i rifugiati e 4,2 milioni i richiedenti asilo. Si aggiungono poi 24,9 milioni di migranti ambientali, che la pandemia in corso rende particolarmente vulnerabili. A loro volta i migranti economici sono 164 milioni e in diversi paesi del mondo arrivano a rappresentare il 20% della forza lavoro.

Foto 1 immigrazione

Nel 2019 il Pil mondiale è cresciuto fino a 135 bilioni di dollari Usa: di esso il 45,9% è appannaggio del Nord del mondo (dove abita solo il 17,7% della popolazione mondiale: circa 1,4 miliardi di persone), mentre il restante 54,1% si ripartisce tra i ben 6,3 miliardi di persone (l’82,3% della popolazione planetaria) che abitano il Sud del mondo.

Secondo il progetto Missing migrants di Oim, nel 2019 sono stati 5.306 i migranti che, nel mondo, hanno perso la vita nel vano tentativo di superare i confini tra Stati; e altri 1.772 tra il 1° gennaio e il 15 settembre 2020. In particolare, nell’Ue (nei cui 28 Stati, a inizio 2019, risiedevano 41,3 milioni di stranieri, circa 3 milioni in più rispetto all’anno precedente, rappresentando l’8,0% della popolazione complessiva) il blocco delle vie d’ingresso legali, ottenuto anche con l’erezione di muri e l’uso della forza, ha determinato un crollo sia degli attraversamenti irregolari delle frontiere intercettati da Frontex (da 1.822.177, livello record registrato durante la crisi del 2015, a 141.741, livello minimo registrato nel 2019) sia delle richieste di asilo (quasi dimezzatesi tra il 2015 e il 2019, passando da 1.323.485 a 745.225). I due terzi di queste ultime (circa mezzo milione) sono stati presentati in 4 paesi: Germania, Francia, Spagna e Grecia. L’Italia, quarta nel 2018 con circa 60mila domande, è scesa nel 2019 al sesto posto, con 43.800.


I migranti in Italia  

A fronte di un lievissimo aumento netto annuo di residenti stranieri in Italia, che a fine 2019 sono in totale 5.306.500 (appena 47.100 in più rispetto all’anno precedente: +0,9%), l’8,8% della popolazione complessiva del paese, i soli non comunitari regolarmente soggiornanti hanno conosciuto, per la prima volta dopo vari anni, una diminuzione del loro numero, calato di ben 101.600 unità (-2,7%) e giunto così a poco più 3.615.000 (erano 3.717.000 a fine 2018).

Foto 2 dossier

Di riflesso è probabilmente aumentata la presenza di non comunitari irregolari, i quali, stimati in 562.000 a fine 2018 (Ismu) e calcolato che – anche per effetto del Decreto “sicurezza” varato in tale anno – sarebbero cresciuti di ben 120-140.000 unità nei due anni successivi (Ispi), a fine 2019 erano già stimati in oltre 600.000 e a fine 2020 avrebbero plausibilmente sfiorato o raggiunto i 700.000 se, nel frattempo, non fosse intervenuta la regolarizzazione della scorsa estate a farne emergere (almeno temporaneamente) circa 220.500, in stragrande maggioranza dal lavoro in nero domestico e solo in minima parte dal lavoro nero in agricoltura.

Del resto, l’ulteriore crollo del numero di migranti forzati sbarcati nel paese (11.471: -50,9% rispetto ai 23.370 del 2018 e -90,4% rispetto ai 119.369 del 2017), non solo ha confermato la fine della cosiddetta “emergenza sbarchi”, ma ha contribuito a svuotare i centri di accoglienza, in cui i migranti sono scesi da circa 183.700 nel 2017 a poco più di 84.400 a fine giugno 2020: quasi 100.000 persone fuoriuscite in appena 2 anni e mezzo, moltissime delle quali si sono disperse sul territorio, andando a ingrossare le fila già assai nutrite degli irregolari.

Il processo di inserimento e radicamento degli stranieri nel tessuto sociale è confermato da diversi indicatori, ma si congiunge a crescenti evidenze di fragilità ed emarginazione. Sebbene nell’a.s. 2018-2019 gli 858.000 alunni stranieri siano arrivati a incidere per il 10,0% sull’intera popolazione scolastica nazionale e ben 2 su 3 (64,5%) siano nati in Italia (553.000), restano alte le difficoltà di partecipazione alla didattica e di conseguimento di livelli medi soddisfacenti di preparazione, condizionando la marcata canalizzazione, alle superiori, verso gli istituti tecnici (38,0%, contro una media complessiva del 31,3%) o professionali (32,1% contro 18,7%) piuttosto che verso i licei (29,9% contro 50,5%), oltre che un progressivo calo dell’incidenza di studenti stranieri nei gradi superiori (dall’11,5% della primaria al 7,4% e all’università (5,4%, pari a 15.900 immatricolati su un totale di 297.000 nell’a.a. 2019/2020).

E benché gli stranieri che nel 2019 hanno acquisito la cittadinanza italiana (127.000) appaiano in crescita rispetto all’anno precedente (+14.500), tra loro sono ancora esclusi i 63.000 nuovi nati in Italia da coppie straniere (il 15% delle 435.000 nascite complessive avvenute in Italia nel 2019: il numero più basso degli ultimi 102 anni, che conferma la duratura crisi demografica del paese).

I 2.505.000 stranieri che hanno lavorato regolarmente in Italia nel 2019 (solo per il 43,7% donne) costituiscono il 10,7% di tutti gli occupati del paese, a fronte di altri 404.000 stranieri disoccupati (di cui le donne rappresentano stavolta ben il 52,7%) che incidono per il 15,6% tra tutti i disoccupati del paese.

Il mercato del lavoro italiano appare ancora una volta rigidamente scisso su base “etnica”, con le occupazioni più rischiose, di fatica, di bassa manovalanza e sottopagate ancora massicciamente riservate agli stranieri, che vi restano inchiodati anche dopo anni di servizio e di permanenza nel paese: circa 2 su 3 di essi svolgono lavori non qualificati o operai (63,6%, contro solo il 29,6% degli italiani), mentre ha un impiego qualificato solo l’8% (tra gli italiani ben il 38,7%). Del resto, se gli occupati stranieri si concentrano per oltre il 50% in solo 13 professioni (e in appena 3 se sono donne: servizi domestici, cura alla persona e pulizie di uffici e negozi), la metà dei lavoratori italiani ne copre almeno 44 (20 se donne).

Sono continuate ad aumentare, d’altra parte, le imprese gestite da immigrati, arrivate nel 2019 a 616.000 (+2,3% annuo), ovvero al 10,1% di tutte le attività autonome operanti nel paese. Tuttavia, anche in questo ambito la crisi prodotta dall’emergenza Covid ha provocato, nel primo semestre del 2020, una contrazione di ben il 40% delle attività rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.


I migranti in Campania 

Ha curato l’interessante parte della ricerca sulla Campania Rosella Gatti della Federico II.

A fine 2019 gli stranieri residenti in Campania sono 266.753, il 4,6% del totale della popolazione residente. Nel corso dell’anno sono aumentati dello 0,7% (+1.786 unità), valore in linea con quello nazionale (+0,9%), mentre nelle altre regioni del Sud Italia si è registrato un lieve decremento (-0,1%). La crescita è dovuta prevalentemente alle iscrizioni in anagrafe dall’estero (14.167) e in misura minore ai nuovi nati nell’anno (2.542).

Foto 3 dossier migranti

Nel 2019 la regione conta 170 nazionalità differenti; di queste, sei hanno almeno 10mila residenti e insieme rappresentano più del 50% dei residenti stranieri (152.215). La graduatoria delle prime dieci nazionalità per numero di residenti rimane stabile rispetto all’anno precedente: Ucraina (43.397; 16,3%), Romania (42.850; 16,1%), Marocco (23.167; 8,7%), Sri Lanka (18.598; 7,0%), Cina (13.152; 4,9%), Bangladesh (11.051; 4,1%), Polonia (9.340; 3,5%), Nigeria (8.577; 3,2%), India (8.272; 3,1%) Bulgaria (8.135; 3,0%), Albania (7.530; 2,8%), Pakistan (7.497; 2,8%).

L’80,1% degli stranieri residenti ha tra i 18 e i 64 anni; gli over 65 sono solo il 4,0% del totale e i minori il 15,9% (valore più basso di quello nazionale: 20,3%).

La provincia di Caserta registra sia la percentuale di stranieri più elevata sul totale della popolazione residente (5,4%) che l’incremento percentuale più consistente nel 2019 (+2,1%), mentre le province di Avellino e Benevento si confermano quelle con una minore presenza di residenti stranieri sia in valori assoluti (13.993; 10.042) che percentuali (3,4%; 3,7%), oltre ad essere le uniche che nello stesso anno hanno registrato un decremento nel numero (rispettivamente -4,2%; -4,8%).

A livello regionale, la distribuzione per sesso dei residenti stranieri evidenzia un sostanziale equilibrio di genere (il 50,5% sono donne). Considerando solo quelle più numerose, mostrano una netta prevalenza femminile Ucraina (73,8%), Polonia (75,8%), Bulgaria (70,3%), Russia (87,1%) e Romania (58,3%), mentre le donne sono in minoranza tra i cittadini di Sri Lanka (47,5%), Cina (47,0%), Albania (45,3%), Nigeria (39,6%) e Marocco (34,8%). Le donne straniere hanno una struttura per età differente rispetto alla media della popolazione immigrata, con una concentrazione più elevata nell’età adulta (30-44 anni, 31,7%; 45-64 anni, 34,8%) e anziana (65 anni e più, 5,9%) e meno elevata tra i giovani (18- 29 anni, 12,5%).

Nel 2019, l’occupazione in Campania è diminuita più dell’anno precedente, in controtendenza rispetto alla media italiana e meridionale. I settori più colpiti sono stati le costruzioni e i servizi, tra cui in particolare il commercio e gli alberghi e ristoranti. Nella prima parte del 2020 le condizioni occupazionali sono peggiorate, risentendo degli effetti dell’emergenza sanitaria: molti lavoratori campani infatti sono impiegati nel commercio e nel turismo, due tra i comparti maggiormente colpiti dalle restrizioni alla mobilità.

A fine 2019 gli stranieri rappresentano il 7,4% degli occupati in regione (su un totale di 1.647.565 lavoratori) e il 5,9% dei disoccupati (su un totale di 412.569). Il tasso di attività degli stranieri è del 68,0% contro il 51,2% degli italiani. Il loro tasso di occupazione è del 56,7% (contro il 40,6% degli italiani), mentre il loro tasso di disoccupazione è del 16,5% (italiani 20,3%). La maggioranza degli occupati stranieri sono uomini (il 56,8% contro il 43,2% delle donne), mentre la disoccupazione pesa su entrambi i sessi in misura simile (48,8% uomini e 50,2% donne). L’88,1% degli occupati stranieri ha un rapporto di lavoro dipendente (italiani 74,5%) e solo l’11,9% svolge un lavoro autonomo (italiani 25,5%). Gli occupati stranieri svolgono prevalentemente lavori manuali (67,0%; italiani 34,5%), molti dei quali non qualificati (47,1%; italiani 10,1%), mentre resta esiguo il numero di coloro che ricoprono ruoli dirigenziali o svolgono professioni di tipo intellettuale (2,4%; italiani 34,0%), a conferma della difficoltà che incontrano gli stranieri nell’uscire da alcune nicchie occupazionali e sperimentare forme di mobilità sociale.

In regione lo stipendio medio di un lavoratore straniero è di 857 euro al mese contro uno stipendio di 1.272 euro percepito dai lavoratori italiani (416 euro di differenza). Il gap aumenta nel caso dei lavori a tempo pieno (911 euro contro 1.400 euro) mentre si riduce nel caso dei lavori a tempo determinato (647 euro contro 707 euro). Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia della Campania, Roma, 2020, in www.bancaditalia.it

Alla fine del 2019, le imprese a conduzione immigrata in regione sono 47.126, il 7,9% del totale delle imprese campane - dato più basso di quello nazionale (10,1%) - e il 7,7% delle imprese “immigrate” in Italia. Considerando le sole imprese individuali, i titolari nati all'estero sono 41.099, di cui il 22,0% donne. Ad intraprendere un’attività autonoma sono prevalentemente i marocchini (il 16,4% del totale), seguiti da pakistani (10,7%), bengalesi (9,0%), cinesi (8,1%) e nigeriani (6,1%). Il 75,2% di questi imprenditori svolge la propria attività nei servizi, il 17,5% nell’industria e il 3,0% in agricoltura.

Il radicamento sul territorio dei flussi migratori si riflette anche tra i banchi di scuola, dove sono sempre di più i ragazzi giuridicamente stranieri, ma che di fatto sono cresciuti in Italia. Nell’anno scolastico 2018/2019 gli studenti stranieri iscritti nelle scuole campane sono 27.277, il 2,9% del totale (956.133), di cui più del 40% (11.215) nato in Italia. Significativa la differenza tra italiani e stranieri nella scelta dei licei, ma a livello regionale la quota che si registra per gli stranieri è superiore alla media nazionale (29,9%).

Le acquisizioni di cittadinanza sono più che raddoppiate nell’arco di dieci anni (2009-2019), passando da 1.271 a 3.121. Nel 2019, dopo la flessione registrata nel biennio precedente, il numero di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana è aumentato di 3.121 unità (+23,0% rispetto al 2018), registrando un incremento superiore a quello nazionale (+12,9%).

I dati del Ministero dell’Interno indicano che al 31/12/2019 sono 172.607 i cittadini non Ue titolari di permesso di soggiorno in Campania, di cui il 49,0% (84.521) con un permesso a termine e il 51,0% con un permesso di lungo periodo (88.086).

A fine 2019, le persone presenti nelle strutture di accoglienza della regione erano 7.117, ossia lo 0,1% della popolazione residente in Campania. Di queste 5.340 erano ospitate nei Cas e 1.777 nella rete Siproimi. Rispetto al 2018, il numero degli accolti nelle strutture regionali è diminuito del 40,5%, riduzione che è proseguita anche nei primi sei mesi del 2020 (-11,0%, per un totale di 6.331 unità).

A luglio 2020 risultavano attivi in regione 80 progetti territoriali di accoglienza della rete Siproimi gestiti da 76 Enti locali. Un’accoglienza diffusa che rivitalizza i piccoli comuni. Dal 2018, per opera della Caritas diocesana di Benevento, è attiva la rete dei “Piccoli comuni del welcome”, un’iniziativa che tenta di dare una risposta a due diverse esigenze: l’accoglienza delle persone migranti e lo spopolamento delle aree interne. Da questa rete, grazie al sostegno di Fondazione con il Sud, sono nate sei cooperative di comunità, formate da persone autoctone e migranti ospitate nei centri Siproimi, che alla fine di percorsi formativi hanno scelto di restare nei “Piccoli comuni” insieme ai giovani del posto, per occuparsi del benessere, dei beni e dei servizi del proprio territorio attraverso start-up innovative. (http://piccolicomuniwelcome.it)

L’insorgere del Covid-19 sulla scena mondiale ha portato a spegnere i riflettori mediatici e politici sull’immigrazione, trascurando gli effetti che la crisi pandemica sta avendo e avrà in futuro sui flussi di migranti e sulla loro vita nei contesti locali. Sono stati molti, infatti, i cittadini stranieri che durante la fase di confinamento hanno perso il lavoro o non hanno percepito reddito, con gravi conseguenze sulla sussistenza loro e delle loro famiglie.

L’iniziativa solidaristica nei confronti dei migranti è partita dalla stessa comunità migrante, in particolare a Napoli dall’impegno personale di Fatou Diako, giovane donna di origini ivoriane presidente dell’associazione Hamef Onlus, che di fronte all’emergenza socio-economica in atto nel mese di marzo, attraverso il gruppo WhatsApp dei partecipanti al Tavolo immigrazione del Comune di Napoli, ha lanciato un appello a cui hanno risposto diverse associazioni straniere - l’Associazione senegalesi di Napoli, l’Associazione Bellarus, l’Associazione Vivlaviv e l’Italian-Gambian Association – insieme all’Associazione Uniti (Unione italiana degli immigrati in Campania) del sindacato Uil Campania e alla Ong Slow Food Napoli. Mentre Slow Food e Uil hanno contribuito a coprire le spese iniziali, le associazioni straniere hanno rappresentato il tramite per arrivare alle comunità di riferimento e alle famiglie bisognose di aiuto. Questa prima organizzazione informale su base volontaria è stata valorizzata in breve tempo grazie all’intervento e al sostegno di ActionAid Italia, che ha consentito la strutturazione del progetto Seeds (Saisir l’égalité puor echapper à la destruction de la societé/Seizing equality to escape the distruction of society)che ha come obiettivo concreto la distribuzione di generi alimentari a domicilio nelle zone del Vasto, di piazza Garibaldi e Forcella. L’esperienza napoletana mette in luce il “ruolo delle associazioni di immigrati come parte attiva della società, in grado di intercettare e rispondere ai bisogni del territorio in un momento di crisi” , puntando - attraverso la solidarietà ed il mutuo aiuto - al miglioramento della qualità della vita dei singoli membri e al buon funzionamento delle comunità in cui vivono: un segno tangibile del loro protagonismo e della fase di maturità dell’immigrazione in Campania.