Lo scandalo della speculazione sulla pelle dei rifugiati
Garibaldi 101 è l'associazione nata in quella piazza della stazione di Napoli che per i migranti è considerato il centro della città, dove si incrociano lingue e colori e che dal 2011, con i suoi hotel, è stato il palco privilegiato dell'emergenza Nord Africa. A distanza di tre anni e mezzo la speculazione preannunciata sta venendo a galla.
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Tutto era già scritto nel 2011, nei volti segnati dei rifugiati, nelle proteste, nella mancanza di mediatori e corsi di lingue, nei pocket money che non arrivavano mai, persino nel mercatino "5 Cent" di vestiti usati, lavati e rivenduti, sorto a bordo marciapiede per offrire ai richiedenti asilo abiti che gli addetti all'accoglienza non distribuivano. Tutta l'Italia si è mobilitata per un affare di milioni di euro, gestito prima disastrosamente dalla Protezione Civile e poi dalla prefettura. Dell'"accoglienza" partenopea parlano Yasmine Accardo di Garibaldi 101 e Glauco Iermano della Coop. Dedalus.
La cronaca di un disastro preannunciato. Già nel novembre 2011 Garibaldi 101 , impegnata a monitorare il sistema di accoglienza dei rifugiati del Nord Africa, aveva presentato, insieme all'associazione Rifugiati di Napoli, alla Camera del Lavoro di Napoli e all'associazione Less Onlus, un esposto alla procura sulla mala gestione dell'emergenza da parte della Protezione Civile, l'ente preposto insieme agli albergatori e alle associazioni prescelte ad erogare ai rifugiati alcuni servizi essenziali.
A distanza di tre anni e mezzo, quella cronaca di un disastro preannunciato è su tutti i giornali.
"Dopo tutte le denunce, le segnalazioni che continuiamo a mandare, questa è una grossa vittoria- spiega Yasmine Accardo, referente per i territori italiani della Campagna LasciateCiEntrare e già volontaria in Garibaldi 101- . Cincini della Protezione Civile è stato indagato per concussione e i gestori di "Ali di Riserva" sono stati denunciati. Nel novembre 2011 ci eravamo già resi conto che questa associazione aveva in gestione tutti e 13 alberghi della zona Stazione per l'insegnamento dell'italiano e la mediazione culturale con soli 8 operatori; ma in quasi tutti gli alberghi gli operatori erano scarsi e spesso impreparati, infatti quando chiamavano insegnanti preparati poi non li pagavano e questi andavano via. Non si capisce chi abbia dato questo ruolo a persone incompetenti, ma si deve ricordare che all'epoca non c'erano bandi e le associazioni erano chiamate direttamente, spesso per motivi legati a conoscenze e piaceri.
In generale la situazione in molti alberghi era disastrosa poiché gli albergatori non avevano alcuna competenza per occuparsi di migrazioni: spesso i richiedenti asilo restavano senza tessera sanitaria e senza corsi di italiano per 1 anno e i mediatori non parlavano nessuna lingua. Gli abusi erano evidenti e sotto gli occhi di tutti, a partire dalla prostituzione dei ragazzi ospitati negli hotel o del lavoro con organizzazioni criminali, ad esempio nel giuglianese i caporali andavano a prendere i rifugiati che dovrebbero essere protetti, per farli lavorare in campagna. All'inizio negli alberghi non c'erano neanche i vestiti così si creò il mercato "5 cent" a piazza Garibaldi dove i migranti compravano vestiti che indossavano e poi lavavano e rivendevano".
Yasmine Accardo enumera una serie di situazioni raccapriccianti: dall'hotel Hobbit a Scampia, famoso per la grande rivolta dei migranti del dicembre 2012, che poi si è scoperto appartenere alla famiglia camorrista Marano. Per non parlare del Tifata resort a Salerno dove non c'era nemmeno un'associazione a gestire i percorsi di inclusione e alle persone abbandonate come cani si portava solo il cibo. O ancora ad Eboli i migranti erano ospitati dalla Millenium in una struttura senza finestre e porte, che solo successivamente fu ristrutturata.
"C'era una totale mancanza di controllo- continua Accardo- Cincini del Servizio Civile che oggi è indagato, dal 2011 era presente in ogni dove, stabiliva dove portare i migranti e gli spostamenti da un albergo all'altro. I ragazzi ci raccontavano che favoriva alcuni migranti e alcuni hotel, ma non abbiamo prove dirette di scambi di denaro".
L'affare pocket money. Ogni profugo ha diritto a 2,50 euro al giorno da spendere come vuole, oltre al vitto e all'alloggio, all'assistenza sanitaria, ai corsi di lingua e ai percorsi di inclusione assicurati dalla retta di 35 euro giornaliere erogate direttamente dal Ministero dell'Interno a chi gestisce i centri di accoglienza, dal momento che la convenzione prescrive le condizioni base che bisogna assicurare ai migranti. "Quando le realtà private rispondono ad un bando trasparente - chiarisce Accardo- sanno di dover anticipare i soldi ed è per questo che spesso a partecipare sono solo le realtà più ricche, che di solito hanno anche altri affari, ma che spesso sono le meno adatte a garantire l'inclusione. Nel 2011 invece non c'erano neanche i bandi, così che i gestori non solo lasciavano anche per 4-6 mesi i migranti senza pocket money, ma poi erano coinvolti in scambi tra pocket money e soldi contanti. I bonus di 2,5 euro potevano essere spesi solo in una lista di negozi prestabilita che spesso erano poco forniti o lontanissimi da raggiungere, come nel caso degli unici negozi dove si potevano acquistare le schede telefoniche (preziosissime per contattare i famigliari nel paese d'origine) situati a Giuliano, paese della Provincia. Per raggiungerlo i migranti erano obbligati a fare un vero e proprio viaggio, per di più senza avere i soldi per pagare il biglietto.
Ecco che commercianti e gestori dell'emergenza lucravano sui pocket money acquistando dai migranti il blocchetto di bonus di 75 euro a 35 euro, mentre i rifugiati preferivano perdere molti soldi piuttosto che essere impossibilitati a comprare i beni per loro essenziali. Gli stessi commercianti dei negozi della lista stabilita dalla Protezione Civile lucravano sui generi venduti ai migranti raddoppiando i prezzi".
La legge della violenza. Tra le denunce inoltrate da Garibaldi 101 anche quella nei confronti dei gestori dello Sprar di Eboli da parte dell'associazione Engels i cui operatori minacciavano i rifugiati afgani con le armi, sparando in aria colpi a salve e intimidendoli con le minacce. "Era un modo di dimostrare la loro forza quando i migranti denunciavano le cattive condizioni in cui si trovavano- chiarisce la mediatrice-. Di fatto in quella struttura mancavano tutte le caratteristiche che il sistema Sprar impone come corsi di lingua, percorsi di inserimento lavorativo e mediazione culturale. Per fortuna la struttura dopo un'indagine e l'interrogatorio dei migranti fu chiusa". La violenza sembra un'arma molto comune anche nelle mani della polizia. "Come Garibaldi 101- racconta Accardo- stiamo seguendo la questione dei rifugiati picchiati dalla polizia per le impronte digitali che continua ad andare avanti in modo vergognoso. Nell'ottobre 2014 girò nelle questure la circolare in cui si indicava di "prendere le impronte in modo forzato" che fu e continua ad essere male interpretata a Crotone, Pozzallo e Lampedusa. La forza infatti dovrebbe essere quella della legge che impone la denuncia dei migranti che rifiutano di farsi prendere le impronte e non le botte o il trattenimento con la forza. Abbiamo le testimonianze fotografiche dei siriani che sono stati percossi, tra l'altro in presenza di minori e presto saranno pubblicate, inoltre a denunciare questa violenza c'è un esposto a firma degli avvocati Alessandra Ballerini e Fulvio Vassallo Paleologo che è stato girato all'Europa".
Oggi. "Ovviamente se non cambia il sistema accoglienza non cambierà nulla. Sono troppe le possibilità che sono offerte a chi vuole specularci- conclude Yasmine-. Un altro problema è come sono fatti i bandi: solo le realtà più ricche che possiedono grandi strutture si accaparrano la gestione dei rifugiati ovvero sempre le stesse: Family, New family, Ali di Riserva, Croce Rossa. Inoltre per aderire ai bandi si devono dimostrare 2 anni di esperienza nell'accoglienza, ma quell'esperienza spesso è pessima poiché maturata proprio durante la cattiva gestione del 2011. Family che è una Srl insieme a New Family possiede numerosissime strutture sul territorio campano, con circa 1500 migranti in accoglienza, in alcuni casi la gestione funziona, in altre no. Il problema principale è la mancanza di mediatori e il dislocamento in zone molto periferiche, come nelle province del casertano, che rendono impossibile un'inclusione anche perché i Comuni non si sono mai presi la responsabilità dei rifugiati, per cui manca una rete sui singoli territori.
A Napoli in questo momento è molto presente la Croce Rossa che devo dire, non ha mai brillato anche quando gestiva l'accoglienza negli hotel, spesso non offriva alcun corso di italiano e nessuna mediazione, ad esempio una psicologa che voleva sostenere i ragazzi è stata cacciata parchè la figura non era considerata necessaria. Quest'anno ha stilato un protocollo con gli Insegnanti Senza Frontiere che però non sono pagati".
Il mercato delle vacche. "Ci sono molte realtà dubbie anche colluse con la camorra che continuano a gestire l'"affare rifugiati"- racconta Glauco Iermano, mediatore culturale della cooperativa Dedalus-. E' lo Stato che è debole e non ha strutturato un sistema di accoglienza, quindi si viene a creare una sorta di mercato delle vacche in cui il più forte, ovvero chi ha più strutture, sceglie i rifugiati da accogliere. Quando avvengono gli sbarchi c'è ad esempio un gestore della provincia di Benevento che scarta gli eritrei, i siriani e i somali che solitamente non vogliono restare in Italia e che quindi fuggendo andrebbero a sottrarre l'introito della retta all'ente che li accoglie. Essendo questa una realtà con molti posti disponibili, quindi necessaria allo Stato, si chiude un occhio. La prefettura invece non va a verificare la qualità dell'accoglienza che spesso si riduce a far vegetare le persone poiché manca l'esperienza e la competenza per occuparsi di un servizio così delicato".
Rimodulare l'accoglienza. "Bisogna valutare i progetti migratori delle persone e le dinamiche geopolitiche- continua Iermano-. Da un lato bisogna favorire chi vuole andare in un altro paese, come i siriani, gli eritrei e i somali, e in questo senso l'Europa sta cercando una soluzione per superare il regolamento di Dublino che impone ai migranti di restare nel paese di arrivo e di distribuire le persone nei vari paesi europei senza bloccarli dove non vogliono restare. Dall'altro lato nel caso dei rifugiati che vogliono restare in Italia è proprio il sistema dei
grandi numeri ad essere sbagliato, le persone andrebbero ospitate in piccole strutture, come avviene con i minori, andrebbe implementato il co-housing e il riutilizzo di beni vuoti o di borghi disabitati per creare progetti a lunga durata che potrebbero diventare una ricchezza per i territori e consentirebbero di spendere molto meno di ciò che si spende adesso per l'accoglienza. La prima cosa è che non si possono assolutamente operare tagli sulla mediazione culturale specializzata, che è il primo strumento per lavorare con le persone stabilendo empatia e fiducia".
Qual'era la situazione nel 2011 Fotogallery
Alessandra del Giudice
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