Le maleparole dette non per colore ma per rabbia, l’insofferenza del sentirsi propinare ancora una volta ‘na tazzulella ‘e cafè invece di una mano concreta, Napoli carta sporca che nessuno conosce davvero, la storia di una transessuale e quella di una prostituta, e tutte le paure di un popolo che cammina sott’'o muro, strette nel tuppo dei capelli neri di Donna Cuncetta.
E una città, intera, senza alcuna distinzione di classe o quartieri, che le conosce senza neppure sapere come, quasi le fossero state passate sottopelle, e vuole cantarle. Non è passata nemmeno una settimana dal concerto di Capodanno, ma a Napoli ci si organizza per tornare in Piazza del Plebiscito. Bisogna salutare Pino Daniele: “Ci vediamo e cantiamo tutti insieme Napul'é !!!” dice l’evento creato su facebook da Gigi Balsamo, direttore del Teatro Posillipo, a poche ore dalla notizia della morte del cantautore e i partecipati previsti sono già 7mila e continuano a crescere. Perché non è solo la scomparsa di un artista unico nel suo genere a non dar tregua alla tristezza in questo lunedì ma, quasi come fossimo diventati noi stessi i protagonisti di una delle sua canzoni più note e malinconiche, Allora sì, a far paura e a lasciarci gli occhi fissi sulle parole e sui palazzi vecchi di questa città è l’aver perso uno dei simboli della forza ironica e rabbiosa di un popolo che agli accomodamenti del potere rispondeva con la pazzia di essersi “scassato ‘o cazz” . Ma forse, più di tutto, a far grande Pino Daniele e più piccoli noi oggi, è stata la capacità di mettere in musica e, dunque, contribuire a diffondere, l’assenza di pregiudizi e di barriere.
È a lui, che non conosceva ostacoli neppure nella commistione dei linguaggi, sempre a suo agio tra napoletano, italiano e inglese, che dobbiamo, Napul’è, composta a 18 anni e diventata manifesto: suo, della città e, durante uno dei periodi più neri - l’emergenza rifiuti del 2008 – di una possibile rinascita, per quanto non mancarono le polemiche (Pino Daniele appoggiò, infatti, l’iniziativa “Napoli non è una carta sporca” dell’allora ministro Stefania Prestigiacomo, N.d.R.). È a lui che dobbiamo la possibilità di non venderci per ‘Na tazzulella ‘e cafè e rifiutare l’ofanità, i compromessi di chi invece 'e da' 'na mano c'abboffa 'e cafè. È così che possiamo riconoscere che Pulecenella non è più lui e non parla più di libertà ma s’arraggia e pensa alla guerra. E anche chi non ha avuto il tempo e l’occasione, conosce Fortunato che urla perché “tene 'a rrobba bella”, perché Pino Daniele ha dato dignità e poesia ai mestieri più poveri, il venditore ambulante, ma anche chi fatica a sera e chi fa ‘e cartune. Grazie a lui Anna è arrivata, e ci ha insegnato che impegnarci in qualcosa è un modo per non essere più soli, e prima ancora che le tematiche LGBT avessero la giusta importanza dal 1979 sappiamo che Chillo E' Nu Buono Guaglione con un solo desiderio: chiamarsi Teresa.
A dire la verità, a noi che non aspettiamo più che piova per conoscere la vita di una prostituta e sentirla messa in fila accanto alla nostra tanto l’aria s’adda cagna’, che sappiamo che ce sta chi ce penza mentre nuje jettammo 'o sang' dint’'e quartieri 'a Sanità, che a chi ci dice umanità rispondiamo: ammore ammore ammore, che abbiamo avuto risposta persino a quel Quando, oggi resta un solo interrogativo: perché? In tanti cercheranno di dare risposta, noi restiamo stretti alla consapevolezza portataci sulle note, a quei piccoli rituali dell’esistere messi in musica, all’assenza dei finali più per saggezza che per scaramanzia. Diremmo, citandolo “puteva campa’ n’ato anno” ma grazie a lui sappiamo: “chi è vivo è vito, chi è muorto, è muorto” . Ciao Pino, oggi nun basta ‘na jurnata ‘e sole.
Raffaella R. Ferré
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