È il supermarket del sesso, aperto 24 ore su 24. È merce sempre nuova e sempre più giovane, in vendita ci sono loro: donne, uomini e trans. È Napoli e la sua periferia quasi provincia: lo è con il sole, lungo le strade periferiche, sull’asse mediano, nelle rotonde di Aversa, Giugliano, ai margini delle aree industriali; lo è di notte, nel cuore della città, a via Marina, piazza Municipio, Porta Nolana, piazza Garibaldi.
I dati raccolti dagli operatori della cooperativa Dedalus, da undici anni impegnati nel progetto "La Gatta", lo dicono chiaramente: quello della prostituzione è un business fiorente che vede lo sfruttamento quotidiano di circa quattrocento persone. E sul marciapiede ci sono sempre nuove ragazze, giovanissime, alcune minorenni, provenienti dai Paesi dell'est e dalla Cina. Ognuna consuma tre, quattro, rapporti che in totale fa poco meno di duemila in 24 ore. Se si ipotizza un costo di 10 euro a prestazione, significa 20mila euro al giorno, 600 mila al mese, 8 milioni all'anno. Ma è una valutazione al ribasso, il prezzo è in genere maggiore, e spesso aumenta per la richiesta dei clienti di prestazioni particolari, a cominciare dall'opzione di non usare il preservativo. E tutto questo senza contare la prostituzione a domicilio che non viene intercettata dal monitoraggio.
Napolicittasociale prova oggi a raccontare il fenomeno attraverso dati, reportage, le parole di prostitute e operatori. Un'industria quella del sesso a pagamento dietro la quale si nascondono storie dolorose di tratta di esseri umani, coercizione, progetti migratori falliti. "Sono soprattutto stranieri e straniere che vengono dall'Africa e dall'Est Europa le vittime dello sfruttamento", spiega un'operatrice di strada, "Ma anche le italiane che non hanno un "protettore", semplicemente per occupare uno spazio sul marciapiede, sono costrette a pagare qualcuno. Non ci vuole molto a capirlo, a Napoli il controllo della camorra è capillare. Si specula anche su chi finisce in strada per far fronte alla miseria".
Doveroso cominciare dai dati che descrivono i risultati del progetto "La Gatta". Dal 2000 i 17 operatori che lo realizzano hanno effettuato un monitoraggio costante, contribuito a togliere dalla strada decine di persone. In una cinquantina di casi hanno sostenuto la preparazione delle denunce contro gli sfruttatori, consentendo l'avvio di programmi di protezione per le vittime. Più di tremila le persone contattate in strada: 2.126 donne (per la metà provenienti dall'Africa, in maggioranza dalla Nigeria, un 40 percento dall'Est Europa, e un restante 10 percento di asiatiche e italiane); 729 uomini (con una prevalenza, 42 percento, di bulgari e rumeni, 27 percento di italiani e per la restante parte africani); 294 trans per la quasi totalità italiani.
Contatti cui sono seguiti una serie di servizi di sostegno. A cominciare dagli accompagnamenti (1.700 intutto) per assistenza socio sanitaria (soprattutto visite ginecologiche e richieste di servizi medici per stranieri temporaneamente presenti) e per altri servizi territoriali (dalla richiesta di permesso di soggiorno alla questura all'assistenza legale. E a cui sono seguiti circa 800 colloqui specifici che in 173 casi hanno avuto come esito la presa in carico in progetti di reinserimento.
Numeri che raccontano di successi e che, al tempo stesso, si scontrano con un fenomeno mutevole e in crescita perché il ricambio in strada è continuo e, soprattutto, perché si affinano le tecniche di coercizione. Nel complesso il lavoro degli operatori può sembrare simile all'impresa impossibile del bambino che voleva svuotare il mare con un secchiello, ma recupera il suo valore nella concretezza delle persone e delle singole storie che riescono a farsi testimonianza di un'alternativa possibile.
Luca Romano e Raffaella R. Ferré
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