L’Istituto di Pena Minorile di Nisida è un carcere, questo è chiaro. Ma è anche un’isola splendida affacciata sul mare. Preclude la libertà, ma qualche giovane vita là dentro la libertà la scopre. Nonostante le tante carenze di fondi e di personale questo carcere gestito partendo dall’ “accoglienza” per molti versi può essere definito “modello”. Attraverso le testimonianze del direttore, di educatori, magistrati, volontari, responsabili della giustizia minorile e detenuti che stanno concludendo il loro percorso, Napoli città sociale cerca di offrire uno spaccato della vita nel carcere.
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Un vicedirettore che “non smetterà mai di essere anche educatore”, 5 educatori, una psicologa, 8 insegnanti e circa 80 tra guardie carcerarie, autisti, personale amministrativo, più tutti i volontari di associazioni e cooperative che apportano il loro preziosissimo contributo per formare e stimolare i ragazzi. Nisida è una piccola città dove vigono regole ferree, ma dove la parola d’ordine è accoglienza.
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“Tenevano le facce verdi, mi dicevano sempre di no e mi buttavano fuori dalla classe”: questo ricorda della scuola di “fuori” Salvatore, oggi ex detenuto di Nisida. E come lui sono in tanti a ricordare la scuola conosciuta prima di arrivare “dentro” come una scuola che esclude, emblema di una società e di uno Stato percepiti come nemici incapaci di porsi come alternative credibili ai loro occhi. Paradossalmente è proprio a Nisida che tanti detenuti imparano ad amare lo studio.
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Al di là di mille parole l’unica lezione di cambiamento è quella dell’esempio concreto e coerente che parte dai gesti più semplici e passa per le emozioni. Il parere è di chi a Nisida ci lavora da anni: “Noi veniamo qui malati, abitiamo lontano” racconta l’insegnante Maria Franco. “Dobbiamo fare sacrifici ma essere sempre presenti e puntuali. E loro questo lo capiscono e ci chiedono con ammirazione: professoré, non vi ammalate mai?”.
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I ragazzi dell’IPM di Nisida sembrano portare negli occhi il loro passato. Durante l’incontro con il giovane scrittore Alessandro Gallo, cui hanno partecipato circa 20 ragazzi, sono in pochi a voler intervenire, a voler scambiare opinioni sulle scelte di vita, sullo Stato, sul futuro. Gli altri, forse anche per la presenza di persone estranee, preferiscono restare in silenzio. Alcuni sembrano immersi nei loro pensieri, si può solo provare ad immaginare il loro stato d’animo. Accettano di rispondere ad alcune nostre domande quattro ragazzi.
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Intervista al direttore Gianluca Guida
Da 16 anni li chiama “i nostri ragazzi”, il direttore dell’IPM Gianluca Guida, nutre un’enorme responsabilità nei confronti dei minori detenuti, e lui la assume con consapevolezza e umiltà. La sua gestione è improntata all’ascolto e alla comprensione delle esigenze individuali. Per lui “il problema più grande, non è ‘dentro’ ma ‘fuori’ dove non ci sono realtà strutturate e istituzionali di reinserimento”.
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Assicura tre volte al giorno sessanta pasti gustosi e genuini per 66 tra ragazzi e ragazze e quasi altrettanti per il personale. Per questo e non solo "Don Peppe" è una figura portante di Nisida. Il cuoco ha vissuto e partecipato al cambiamento dell’IPM negli ultimi 40 anni.
“Oggi il carcere viene gestito meglio è diventato più civile, prima c’era il caos. L’utenza è sempre quella: si arriva qua per discendenza. Andiamo a dinastie: io ho conosciuto i padri, i fratelli, gli zii, le mamme dei ragazzi che ora sono qui. Durante il bradisismo abbiamo avuto anche il femminile di Pozzuoli e così c’erano mamma e figlio insieme”, ricorda Peppe La Valle.
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La storia di Nisida ha radici antichissime. Le prime tracce storiche risalgono alla lettere che Cicerone scrive ad Attico per dirgli di essersi recato a Nisida per incontrare Bruto che qui aveva la sua villa e qui organizzò la congiura contro Cesare.
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“In Campania e a Napoli lo Stato e la comunità civile hanno perso il controllo del territorio, in molte aree sono stati sostituiti dalla criminalità organizzata. I modelli di devianza si diffondono in misura sempre maggiore tra i minori perché i minori imitano i grandi.” – Gustavo Sergio, presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli, delinea un quadro a tinte fosche della condizione in cui vivono i minorenni in Campania. “A Napoli la maggior parte dei minori può essere considerata a rischio, e non solo nei quartieri degradati – aggiunge don Tonino Palmese – il disagio porta verso alcool, droghe e desiderio di denaro facile.”
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Nel primo semestre 2011 in Italia i collocamenti in Comunità sono stati 968, nell’Italia meridionale 380. Il principale motivo del collocamento in comunità è stato l’applicazione della specifica misura cautelare prevista dall’articolo 22 del D.P.R. 448/88. Ma sono pochissimi i minori che iniziano un percorso di recupero in una comunità di area penale, della durata media di 3- 4 mesi, disposto come misura cautelare, lo prosegua nella stessa comunità dopo la sentenza definitiva. La reale efficacia a lungo termine del lavoro delle comunità può essere messa in discussione.
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