Geppino Fiorenza ci spiega come dare scacco matto alle mafie.
“Se non si investe a favore dell’imprenditorialità giovanile, della vivibilità dei quartieri disagiati, della scuola, il sistema sociale non potrà sviluppare gli anticorpi contro l’ideologia della sopraffazione, della violenza e del guadagno facile”. Geppino Fiorenza, Referente Regionale, insieme a Don Tonino Palmese, di “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, ci spiega come il welfare sia un tassello indispensabile nella lotta alle mafie.
C'è un rapporto tra riduzione dei fondi nazionali per il welfare e mafie?
E’ indiscutibile,abbiamo lasciato che la camorra sia diventata sostitutivo dell’assistenza e della tutela programmata delle fasce deboli. Si può dire che funziona meglio l’Insp della criminalità che non quello dello Stato.
Aderire alla camorra solo per bisogno è un falso archetipo, c’è la componente ideologica, ma è vero che in tempo di crisi, l’aderenza ai settori dell’economia criminale è più forte.
In quali settori bisognerebbe intervenire per fermare le mafie?
I settori in cui impegnarsi dovrebbero essere l’occupazione, la scuola e il welfare, ma se non c’è un investimento a livello nazionale non si va da nessuna parte. Bisogna lavorare per convincere i ragazzi che il prestigio e il successo che può dare la mafia dura poco tempo e conduce inevitabilmente al carcere o alla morte. Per questo è fondamentale la scuola; ci sono tanti bravi insegnati che si impegnano in questo senso, ma non possono farcela se continuano ad essere tagliati fondi e risorse umane.
Se non si investe a favore dell’imprenditorialità giovanile, della vivibilità dei quartieri disagiati, della scuola il sistema sociale non potrà sviluppare gli anticorpi contro l’ideologia della sopraffazione, della violenza e del guadagno facile. Dunque la lotta contro le mafie non si dovrebbe fare solo attraverso la repressione da parte delle forze dell’ordine e con una forte battaglia contro la corruzione, ma anche attraverso politiche sociali che favoriscano l’inclusione.
Eppure sempre più associazioni e cooperative chiudono per mancanza fondi e per ritardi nei pagamenti. Quanto possono fare e quanto fanno associazioni come Libera?
Nel volontariato c’è un aspetto soggettivo di grande entusiasmo e volontà di partecipare, ma in questo momento di crisi e di altissima disoccupazione i giovani volontari vanno sostenuti, altrimenti sono portati alla disperazione.
La carenza di fondi è un cane che si morde la coda. Meno fondi si investono nel welfare e nella prevenzione del disagio, più ce ne sarà bisogno in futuro.
Le associazioni e le cooperative svolgono un ruolo di supplenza dello Stato e lo sgravano di un costo maggiore. Piuttosto che pagare i costi del carcere, degli ospedali è meglio investire nella prevenzione partendo da quella dei più piccoli. Costa più il carcere di una casa famiglia o di un percorso di accompagnamento, in senso strettamente economico oltre che in senso umano.
L’associazionismo inoltre permette il reinserimento di persone svantaggiate, penso alle cooperative del casertano che impiegano sofferenti psichici nelle attività di ristorazione e catering: se fossero in ospedale il costo sarebbe di certo superiore.
Qual è la situazione dei beni confiscati in Campania e a Napoli?
Sono 1877 i beni confiscati in Campania, di cui 900, sono utilizzati adeguatamente.
I maggiori problemi vengono riscontrati per le aziende: sono 332 quelle confiscate in Campania. Le aziende fino a quando sono finanziate dai capitali mafiosi riescono a primeggiare sul mercato, anche perché la violenza della mafia elimina la concorrenza, quando vengono confiscate hanno maggiori difficoltà a funzionare e spesso i lavoratori perdono il lavoro. Per questo Libera insieme alla Cgil sta realizzando la campagna di raccolta firme nazionale “Io riattivo il lavoro” per una legge di iniziativa popolare tesa a favorire l’emersione alla legalità e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
I beni confiscati potrebbero rappresentare un'opportunità per tanti giovani di trovare lavoro, tuttavia vengono consegnati in condizioni pessime e mancano i fondi per ristrutturarli …
I beni confiscati rappresentano la nuova economia sociale. Sono un grande esempio. Nei beni e nei terreni confiscati sono occupate persone svantaggiate e si raggiunge un’altissima qualità dei prodotti. Inoltre è dimostrato che strappando loro i beni, i camorristi subiscono un duro colpo materiale, e perdono gran parte del loro prestigio e potere fondato sull’ostentazione di ricchezza.
Certo, i beni vengono spesso vandalizzati e sono necessari molti fondi per ristrutturarli, e in questo senso il sostegno della Regione Campania attraverso la Fondazione Polis è importante. Le cooperative dei giovani devono camminare con le proprie gambe, ma devono essere sostenuti nello start up.
Il vero paradosso è che fondi necessari e utilissimi per promuovere il riutilizzo dei beni confiscati ci sarebbero: il FUG, fondo unico di giustizia, dove confluiscono i capitali economici sia sequestrati che confiscati, che dovrebbe andare metà Ministero dell’Interno, e metà al Ministero di Giustizia. Ma i fondi non vengono utilizzati né per la ristrutturazione dei beni confiscati né per le forze dell’ordine che non hanno i fondi neppure per le fotocopiatrici e la benzina delle auto. Eppure, dal momento che non viene pubblicato un bilancio, non si sa i fondi che fine fanno.
AdG
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