«Sò jamaican african so nat a milan sò Napulitan». Sono le parole chiare e concise della canzone “Napulitan” di Jovine e Luca Persico, alias ‘O Zulù, che indicano come le diverse origini etniche e culturali delle persone sono un valore aggiunto, una fonte di arricchimento interiore per chiunque a dispetto delle dilaganti discriminazioni sociali nella nostra società.
Di questo messaggio forte si fa promotore l’Afro Napoli che da sempre offre un’opportunità significativa a giovani migranti con l’obiettivo di forgiare dei validi calciatori e uomini del domani sotto l’aspetto tecnico, tattico e caratteriale. Della scuderia multietnica fa parte Aldair Soares, giocatore nato a Mindelo (città portuale di Capo Verde), classe ’92: un vero e proprio veterano nonché stakanovista della squadra considerato che lui gioca da 7 anni con la maglia dei leoni, dal primo torneo amatoriale disputato fino alla Promozione, campionato attuale dell’Afro Napoli. Ciò che rende fondamentale il suo contributo alla causa biancoverde è anche la sua versatilità in campo: il calciatore può svariare tra difesa (stopper), centrocampo (mediano arretrato) e attacco (trequartista). Anche fuori dal rettangolo di gioco si dà da fare: infatti al termine di ogni sessione di allenamento il giocatore lavora alla paninoteca S.G.A.T. dal pomeriggio fino a quando il locale non chiude di notte. Abbiamo avuto modo di intervistare il centrocampista dopo la seduta di lavoro con la squadra.
A che età hai nutrito la grande passione per il calcio?
«Ero piccolo, avevo 6 anni e ho iniziato a giocare a Capo Verde insieme a Dodò (che è suo cugino ndr) nella stessa scuola calcio. Da un sacco di tempo condividiamo tante emozioni per questo gioco stupendo. Ai miei genitori chiedevo sempre un pallone come regalo di Natale. E per chi non lo sapesse ho un fratello, Kenny Rocha Santos, che gioca attualmente nella rosa del Saint-Étienne.
Che persona sei dentro e fuori dal campo?
«In campo do tutto me stesso mettendoci la giusta cattiveria agonistica. Fuori dal rettangolo verde sono un tipo giocoso, amico di tutti, a cui piace trascorrere gran parte del tempo in famiglia con mia moglie e la bambina».
Il progetto di inclusione sociale dell'Afro Napoli può sensibilizzare il mondo del calcio sulla tematica del razzismo?
«Si, tanta gente inizia a seguirci e sta capendo con occhi diversi che il football non ha nulla a che vedere con il razzismo. Siamo tutti uguali e il colore della pelle non deve essere motivo di discriminazioni. Sono questi atteggiamenti di persone scriteriate che non si possono più tollerare. Ho sempre ricevuto in campo attacchi di questo genere e quando mi chiamano negro per me è come se fosse un saluto e me lo faccio scivolare addosso».
Quanto ti ha aiutato la dirigenza dell’Afro Napoli dal punto di vista umano?
«Tantissimo, a loro sono grato: mi hanno dato la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno con tutta la documentazione necessaria».
Cosa rappresenta per te questa società?
«Tutto: l’Afro Napoli prima di essere una squadra di calcio è innanzitutto una grande famiglia perché accoglie nel migliore dei modi qualsiasi calciatore per farlo integrare nel gruppo il più presto possibile».
Come giudichi il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
«Ottimo, mi trovo bene con tutti dal momento che sono parte integrante di un gruppo coeso che si muove nella stessa direzione».
Cosa chiedi ai tifosi dell’Afro Napoli in questa stagione?
«Di sostenere la squadra fino alla fine perché sono certo che il campionato sarà nostro».
Quale grande obiettivo vuoi raggiungere con questa maglia?
«Giocare e vincere nel campionato di Serie D. Il progetto dell'Afro è a lungo termine, crescerà gradualmente e non finirà mai».
Ti senti più capoverdiano o napoletano?
«Capoverdiano, ma Napoli è Napoli: la porto sempre nel cuore e non c’è al mondo nessun’altra città come questa».
Alessio Bocchetti
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