Gargiulo: «Il Coronavirus ci ha aperto gli occhi»

Il presidente dell’Afro-Napoli United ha espresso il suo pensiero e tutta la sua preoccupazione sull’emergenza Covid-19 che in questo periodo sta affliggendo gravemente l’Italia e sta dilagando in tutto il mondo

Antonio Gargiulo 1Ci siamo trovati tutti nel giro di pochi giorni e poche settimane a dover fronteggiare inaspettatamente una tempesta furiosa, totalmente inattesa quanto spaventosa, che ha provocato danni ingenti, impensabili all’ecosistema umano rendendolo a poco a poco talmente vulnerabile da metterlo in ginocchio.

Una tempesta, senza eguali, difficile da spiegare attualmente in via definitiva per come si è originata ed evoluta: una tempesta che non ci lascia un attimo di tregua e che si è estesa a macchia d’olio su ogni fetta del mondo. Migliaia e migliaia di persone pur contrastandola purtroppo non sono riusciti a superarla nonostante abbiano combattuto strenuamente come ci insegna l’innato spirito dell’uomo che reagisce dinanzi alle più grandi avversità che la vita ci riserva. Una tempesta che è diventata un male oscuro, che in questo periodo è inesorabilmente sulla bocca di tutti e che ha un nome preciso, spietato come il suo codice genetico: Coronavirus o Covid-19 come dirsivoglia.

Due parole che solo al pensiero generano l’ansia e la frustrazione nei confronti di chi vorrebbe scendere in guerra per affrontare il nemico faccia a faccia ma che è impossibilitato a farlo visto che si tratta di una pericolosità talmente subdola che si trincera dietro il suo perverso meccanismo d’azione invisibile. Ci sembra tutto questo inverosimile, attinente alla trama di un film distopico, ma è la triste e dura realtà con cui dobbiamo convivere adesso: i protagonisti effettivi di questa reale pellicola sono i camici bianchi (e tutti quegli operatori del sistema sanitario) che si prendono cura ogni giorno di un’Italia ammalata col contagio che giustamente si è messa in quarantena per preservare la sua salute ed arrestare l’evolversi della pandemia in tutte le sue forme. Noi tutti, isolandoci in casa, siamo diventati un’unica mascherina a protezione della nostra terra che amiamo, l’Italia, messa a dura prova da un anonimo mostro ripugnante e noi abbiamo il diritto e il dovere di difenderla con la resilienza: ora come ora la nostra maggiore conquista sarà contraddistinguerci come strumento di dedizione per ambire alla capacità di rovesciare l’impossibile col possibile. Sono cambiate drasticamente le nostre abitudini di vita per poter sopravvivere restando a casa (allo scopo di non contagiare o essere contagiato): siamo distanti l’uno dall’altro e abbiamo il timore che un nostro simile ci possa contagiare e tuttavia viene visto come una potenziale minaccia per chiunque senza tralasciare il fatto che tutto il mondo si è cristallizzato. E naturalmente per far fronte a questa emergenza a livello nazionale (che ha assunto contorni globali) anche il mondo del calcio italiano, così come tutte le altre discipline dello sport, aveva già deciso in modo unanime di fermarsi da qualche settimana a questa parte in ottemperanza alle restrizioni adottate dal governo di Giuseppe Conte.

Per intercettare il calcio ai tempi del Coronavirus abbiamo intervistato Antonio Gargiulo, presidente dell’Afro-Napoli United, per il nostro portale. Molti con lui i temi trattati, dall’emergenza Covid-19 e le sue perniciose conseguenze nel mondo del calcio dilettantistico fino al suo racconto da “recluso” nella quarantena per poi passare infine ad una sua vera e propria digressione filosofica sull’umanità che deve ritrovare se stessa in questo momento di stasi.  

Presidente come sta vivendo questo periodo di isolamento da un punto di vista interiore? Come impiega il suo tempo?

«In questo periodo veramente surreale e drammatico sto continuando a lavorare perché l’azienda per cui lavoro, la Gesco, gruppo di imprese sociali, svolge servizi essenziali come l’accoglienza e l’assistenza per i più disagiati che mai come ora non possono fermarsi. Pertanto ho un po’ più di tempo libero e mi sto dedicando maggiormente alla mia famiglia senza dimenticare di programmare il futuro dell’Afro-Napoli United».

Trenta giorni fa l’ultima partita di campionato dell’Afro Napoli, in casa contro il Casoria, prima dell’emergenza Coronavirus. Dopo quella partita avrebbe mai immaginato che a poco a poco tutti i settori della vita si potessero fermare? Penso che uno scenario del genere, così avvilente, non era pronosticabile neanche nelle peggiori previsioni…

«Non immaginavo assolutamente ad una situazione così terribile. Ovviamente abbiamo sottovaluto il problema pensando che fosse così distante da noi, dal mondo occidentale, visto che è partito tutto dalla Cina. Questa è la prima volta invece che una tale pandemia colpisce tutti, indistintamente, a livello globale. Il punto è che inconsciamente noi ci siamo sentiti sempre protetti e immuni della serie “tanto a noi non succede” e questa volta invece abbiamo sbagliato a fare i conti perché il Coronavirus non fa disuguaglianze infettando il “cuore” delle cellule sia dei ricchi che dei poveri».

In che modo pensa che ne usciremo da questa battaglia così terrificante?

«Non saprei dirlo, difficile da pensare: il Coronavirus ha già mietuto migliaia e migliaia di vittime in Italia e nel mondo e il numero dei contagi è altissimo. I danni che ha generato, a seguito di questa crisi economica, saranno indefinibili».

Lo sport è fermo giustamente e di conseguenza il calcio è sospeso a data da destinarsi: lei è ottimista che si possano riprendere contatti col terreno di gioco in questa stagione? Cosa ne pensa in merito?

«È tutto fermo e non so quando il tutto possa riprendere ma a mio avviso è una preoccupazione secondaria. La priorità è debellare il Coronavirus garantendo la salute di ognuno di noi e non dimentichiamoci le inevitabili conseguenze negative a cui andremo purtroppo incontro e che si riverbereranno sull’economia col blocco inesorabile di questo settore. Molte aziende avranno grosse difficoltà finanziarie, tante altre persone sono a rischio di perdere il posto di lavoro e quelli che sono precari e in nero, ahimè, lo avranno già perso».

Abbiamo scoperto senza falsa modestia che in questi giorni i veri eroi sono i medici e tutti gli operatori sanitari e sociali nonché i volontari che lavorano instancabilmente 24 ore al giorno negli ospedali per il bene del Paese al fine di contrastare il male oscuro attuale, il Covid-19. Una sua riflessione su questa tematica.

«Assolutamente, sono loro gli eroi, coloro i quali sono stati dimenticati dallo Stato in tanti anni. Non posso dimenticare che ci sono stati, anno dopo anno, tagli alla Sanità e alla Spesa sociale e quindi la situazione oggi è gravissima proprio per questi motivi elencati».

Per sopperire alla mancanza del contatto ravvicinato dei rapporti umani di questi tempi l’unica via di comunicazione, per tenerci in contatto e mai distanti, risulta essere la tecnologia digitale.

«Per fortuna che oggigiorno esistono tecnologie avanzate che ci consentono di restare in contatto anche con più persone contemporaneamente in videochiamata sia per motivi lavorativi che per quelli interpersonali. In caso contrario in mancanza di ciò sarebbe stata davvero dura resistere chiusi in casa».

È un’emergenza senza precedenti. Pensa che anche il mondo del calcio subirà un impatto economico deficitario?

«Sì, sicuramente: io mi riferisco particolarmente al mondo del calcio dilettantistico dove immagino che anche qui ci saranno dei danni economici ingenti. Sappiamo che attorno a questo universo non solo in Campania ma in tutta Italia il giro economico, il prodotto interno lordo (Pil), è altissimo nonostante si parli di mondo dilettantistico. Con i rimborsi e compensi ci vivono tante persone e famiglie che non sono affatto tutelate. Ciò è grave ed è un problema che non è stato mai affrontato dalle Istituzioni: il mondo dei dilettanti non è dilettantismo ma professionismo. Ci saranno dei problemi altissimi sia in questa stagione ma anche per la prossima con ripercussioni economiche che si faranno indiscutibilmente sentire».

L’imperativo categorico di questi tempi è “iorestoacasa” e abbiamo avuto modo di poter constatare che il Covid-19 colpisce tutti indistintamente, non più solo gli anziani ma anche gli adulti e i più giovani. Come se lo spiega che ancora oggi qualcuno non rinunci agli assembramenti e quindi se ne infischia delle restrizioni imposte dal governo mettendo a rischio la salute di tutti?

«Chi non rispetta tali regole compie un atto scellerato. Infatti colgo l’occasione per fare un accorato appello a tutti: restiamo a casa. È assurdo che qualcuno cerchi di infrangerle perché si mette a repentaglio non solo la propria salute ma soprattutto quella degli altri».

Chi le strappa un sorriso durante la quarantena?

«La maggior parte del tempo libero, a parte la passione per la musica, i libri e i film, la trascorro con il mio piccolo, Armando, di otto mesi ed è giusto che sia così: lui mi strappa più di un sorriso ogni giorno».

Presidente andrà tutto bene? Quale sarà la prima cosa che farà quando tutto questo sarà finito?

«È difficile dire che andrà tutto bene perché ormai già stiamo abbastanza rovinati: spero che questa battaglia si superi presto. Mi auguro inoltre che questa gravissima situazione faccia comprendere all’umanità quali siano le vere priorità a cui dare veramente peso: i sentimenti, i rapporti umani, l’amicizia e l’amore sono i valori più importanti della vita. E la corsa sfrenata al profitto, al successo, al denaro, alla competizione sul lavoro e alla carriera serve a ben poco. Spero che questo messaggio possa entrare nella testa di tutti quanti e che in futuro ci sia un po’ più di umanità. La prima cosa che farò quando ci metteremo alle spalle questo periodo negativo sarà sicuramente una partita di calcetto, mi manca tanto».

L’Afro Napoli da sempre nella sua storia si fa promotrice di valori importanti come l’aggregazione fra etnie differenti, la comunione fraterna tra culture diametralmente opposte e l’integrazione. Quattordici giorni fa su “Repubblica” è stato pubblicato un articolo del noto conduttore televisivo Fabio Fazio dal titolo “Le cose che sto imparando”, un decalogo stimolante che mette in fila tutte le cose che ogni giorno stiamo imparando in questo periodo difficile e lui ne ha elencate ben quindici. Sulla scorta di quanto detto sono particolarmente interessanti la riflessione numero 14 («Mi sono reso conto che i confini non esistono e che siamo tutti sulla stessa barca») e quella numero 15 («E dal momento che siamo tutti sulla stessa barca, è meglio che i porti, tutti i porti, siano sempre aperti. Per tutti»). Non le sembra quasi uno strano scherzo del destino che l’alta drammaticità di quello che stiamo vivendo (con tanti Paesi che hanno chiuso le frontiere all’Italia che tra l’altro è attualmente il primo Paese al mondo per numero di vittime per Coronavirus) sia paradossalmente una piccola grande punizione trasversale contro alcune politiche scellerate del passato che erano contrarie all’immigrazione e all’ospitalità dello straniero?

«Sono d’accordo con quanto detto: è un virus che azzera tutte le differenze di etnia, di provenienza e condizione sociale nonché di qualsiasi altro tipo. Ergo dovrebbe insegnarci che siamo tutti uguali e che non esistono confini nel mondo. Tutti dobbiamo essere un po’ più umani cercando di capire che i valori sopracitati che ho espresso precedentemente dovevano essere messi in pratica proprio ad esempio nel momento in cui i barconi erano carichi di vite umane disperate, i migranti, e invece le nostre Istituzioni non se ne sono fregati in passato di risolvere il problema e anziché aiutare i migranti hanno chiuso loro le frontiere. Dobbiamo riflettere: purtroppo non sono fiducioso che questa introspezione fatta a nome di tutti in questo lasso di tempo possa generare una conversione radicale per ognuno di noi perché gli italiani dimenticheranno in futuro le criticità attuali e torneranno ad essere egoisti pensando solamente al proprio orticello».

Alessio Bocchetti

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