Lucio Allocca: vigile con la cravatta storta, marito vessato

Intervista semiseria all’amatissimo attore napoletano

lucio allocca«Prrr». «Lo sente, il pernacchio?». «Ora sì». «Beh, è stato Germano Bellavia. È qui e mi prende in giro. Però non deve pensare male: noi siamo seri professionisti, in allegria».

Ecco, queste sono le circostanze di un’intervista telefonica a Lucio Allocca, attore di teatro e di cinema, già professore di recitazione presso l’Accademia di Arte Drammatica al Bellini, oggi insegnante alla scuola di cinema Pigrecoemme e direttore dell’Elaboratorio Permanente dell’Attore al “Theatre de Poche” di Napoli. Da nove anni, il “nostro” amatissimo Otello di Un posto al sole.

Allocca, com’è stato questo passaggio a Upas?

Il passaggio è stato nel linguaggio e nella memoria compressa della fiction. Venivo da due anni di sceneggiati televisivi: “Lui e lei”, “Padre Pio”, “Ama il tuo nemico” con il grande maestro Damiano Damiani.  Ero in giro tra Torino, Roma, Gaeta, sempre con valigia in mano. Insomma non sapevo neanche dell’esistenza di Un posto al sole. Quando mi chiamarono per il cast mi dissero: “C’è questo primo contratto, sono solo tre giorni…”. E io: “Che vengo a fare?”. Ma poi mi spiegarono che c’era la Bibbia. Lei sa cos’è la Bibbia, vero?

Dipende dalla Bibbia.

La “Bibbia” è tutta la storia del personaggio, la descrizione dei rapporti che avrà con gli altri personaggi…  Con Un posto al sole c’è stato questo scambio di fiducia e da nove anni sono qui.

Contento di esserci?

Sì. Quello che si fa a Napoli è meglio che lo si continui a fare. Sappiamo che il nostro è un lavoro usa e getta ma sono tanti anni che lo facciamo ed è meglio che continuiamo a farlo. Io mi venderò il mio funerale in diretta.

«Prrr». Sento un altro pernacchietto. Sempre Germano Bellavia. Ma siete come Totò e Peppino?

C’è un rapporto di affetto e di amicizia molto bello. Germano ha regalato anche una torta di 18 anni a mio figlio in rigorosa maglia azzurra, quella del Napoli. E a me per i 70 anni, computi un anno fa, un abbonamento alla tribuna Nisida del San Paolo.

Scusi ma il tifoso di Upas non era Rispo?

Non ne capisce niente! È una diatriba tra noi due. Io sono un grandissimo tifoso del Napoli, anche per un fatto di appartenenza territoriale. Stavo sempre in curva B e l’ho abbandonata solo perché non ce la facevo a stare tutta la giornata in piedi. Ma quando sto in tribuna Nisida mi giro sempre a guardare i tifosi della curva. In famiglia però devo sopportare un consuocero e un genero interisti: è una sofferenza totale.

A proposito di famiglia: come vive il suo rapporto con Teresina, sua moglie sul set?

Lo vivo come lo vivo a casa: mia moglie e Teresa sono tale e quali!

In che senso?

Un po’ vessatorie verso il marito. Anche la mia moglie reale Lucia Cardone è così. Pur essendo una donna di grande cultura, una musicista, pianista e percussionista. È lei, l’artista vera in famiglia. Anche se da qualche anno ha deciso di abbandonare il piano: l’ultima volta che ha suonato è stato al teatro Mercadante, in attesa dell’Oscar al film di Troisi.

Quindi per l’Otello-marito non ha bisogno di prepararsi?

No.

E per l’Otello-vigile urbano? Che rapporto ha con il vero corpo della Polizia Municipale di Napoli?

Il rapporto che ho è con il maresciallo che sta a piazza Vanvitelli al Vomero, dove abito. Oltre a mettere multe, mi dice come mettere la cravatta, la pistola. Dice: “vestitevi bene”. E io cerco di aiutare quello scombinato di Germano che è molto trasandato. A quanto pare, i vigili di Napoli sono contenti di come li rappresentiamo: sembrano più fissati con l’aplomb da mantenere e con la vestizione, che a volte, nella fretta delle riprese, trascuriamo un po’.

Però l’immagine che date dei vigili urbani di Napoli è molto positiva, contrariamente a quella che ne hanno i napoletani stessi.

Cerchiamo di dare un’immagine positiva ma seria. È il lato umano, il dietro le quinte della polizia municipale che vogliamo mostrare. E nessuno si è mai lamentato. Però a Napoli ci sono questioni reali che riguardano i vigili urbani, come quella delle assunzioni: se fanno i concorsi e poi non li assumono, è chiaro che non li troviamo. Perciò anche nella fiction noi riportiamo questi problemi, giochiamo sul personale scarso, e sui cambiamenti di turno.

A Upas la componente social è molto forte. Quanto conta l’impegno sociale per lei?

Sì, ci sono questioni sulle quali Un posto al sole offre uno spaccato reale, come l’incendio del caffè Vulcano: Napoli è una città difficile dove certi mali non sono stati ancora estirpati. Io nel mio piccolo cerco di dare un contributo: ho dato la mia immagine per lo spot sulla Terra dei Fuochi e aiuto molto i giovani, offro le mie regie quando vogliono. Aiuto anche quelli che magari sono laureati e per arrotondare vanno a fare gli animatori. E poi ho messo in scena “Emigranti” del bravissimo Slawomir Mrozek, su due giovani costretti a vivere in un teatro del Nord. Lo rifaremo al salone delle terme delle stufe di Nerone e  abbiamo un progetto di lungometraggio con gli ex allievi di Pigrecoemme.

In Upas invece vorrebbe interpretare qualche tema sociale?

Visto che mia nipote è molto sfortunata con gli innamorati e che ora ha un fidanzato gay, pensavo: perché non fare come in “Indovina chi viene a cena?”. Tra tante cose potrebbe anche portare a casa un ragazzo di colore, così i genitori si mostrano ancora più restii e il nonno invece più aperto che mai. La discriminazione si potrebbe affrontare da comedy. Ma non oserò bussare alla porta degli autori…  Forse, magari al bar, se incontro chi si occupa delle storie, magari gliela butto lì. Intanto però l’ho detta a lei…

Ida Palisi

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