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Giovedì 25 Aprile 2024




L’altruismo: la ricetta per affrontare la precarietà esistenziale

Michele Cesari, in arte Tommaso, spiega le fragilità dei giovani.

michele-cesari-2Michele Cesari sta vivendo con Un posto al sole la popolarità, ma da tanti anni affronta con passione le difficoltà di un lavoro precario per definizione. L’attore è un po’ il simbolo di questa generazione fragile e disorientata che “i poteri forti non sostengono e spingono all’individualismo”. Cesari propone invece un’inversione di tendenza: “prendiamoci cura degli altri”.

Ti intervistai in attesa del primo rinnovo di contratto a Un posto al sole, esattamente un anno fa. Qual è il bilancio dell’esperienza fin ora?

Più che positivo. Sicuramente l’aspetto che mi ha colpito maggiormente è la popolarità: a dispetto di tutti gli altri lavori che avevo fatto, questo me ne ha dato molta più di quella che mi aspettassi. D’altra parte mi trovo nella medesima posizione dell’anno scorso: il mio contratto scade a luglio, e non so se mi sarà rinnovato, altrimenti dall’8 agosto sarò disoccupato. Anche se sto aspettando i responsi di 4-5 provini che ho fatto per delle fiction Rai. Se  mi dovessero proporre un  personaggio interessante potrei anche scegliere di affrontare una nuova sfida artistica.

Come è interpretare Tommaso?

Mi sento fortunato perché il mio personaggio è molto ben strutturato e dunque risulta molto reale. Ha una grande  maschera dietro cui nasconde la sua fragilità. Amo i personaggi complessi, con tante sfaccettature che mi stimolano e mi aiutano nella ricerca artistica, mentre interpretare il classico ragazzo carino e semplice mi mette più in difficoltà. Spero che il personaggio di Tommaso resti così.

Resterà un “cattivo”?

Ancora non verrà fuori, la parte buona, Tommaso fa di tutto per tenerla coperta indossando una maschera da menefreghista, ma questo non lo aiuta a raggiungere niente né rispetto all’amore per Serena, né a quello di suo padre. Per il ritmo della fiction questa cosa è un ottimo motore e spinge l’attore ad una ricerca sul personaggio. Ma io nei suoi panni cercherei di accettare questi rifiuti.

E’ realistico amare qualcuno che non ti ama?

E’ realistico perché avviene nella realtà: la gente continua ad amare chi non le corrisponde. Oltre al fatto che non è sano, per me è una cosa incomprensibile poiché se non condividi niente con quella persona, come puoi amarla? Ad esempio Tommaso e Serena non sono neppure amici, eppure lui continua ad amarla. Anche nella vita di frequente proiettiamo su qualcuno ciò che ci aspettiamo che questi si aspetta da noi. Ma alla fine comportarsi come l’altro vorrebbe è il modo più facile di allontanarci da noi stessi.

Credi che l’amore sia più complicato nell’epoca della precarietà?

Certo, la precarietà lavorativa si ripercuote sulle relazioni. Se hai dall’altra parte un partner che sa cosa è la precarietà perché l’ha provata è più facile essere compresi e andare d’accordo altrimenti la relazione diventa insostenibile.
D’altra parte il mestiere dell’attore è da sempre un lavoro precario e io vivo questa situazione già da prima che la crisi iniziasse. Ci sono periodi in cui non lavoro e in passato non è stato facile che la persona che avevo accanto mi capisse se non aveva esperito la precarietà. Non è un caso che da qualche tempo sono legato ad un’attrice che ha una sensibilità straordinaria e capisce quali sono le difficoltà del nostro lavoro.

Con Tommaso hai affrontato il delicato tema della tossicodipendenza, secondo te è stato trattato in modo adeguato da Un posto al sole?

Quello delle dipendenze è un tema molto sentito dai giovani. La sceneggiatura lo ha approcciato in modo onesto, mostrando cosa c’è dietro il consumo di droga. Per Tommaso è stato un modo di anestetizzare il dolore che non riesce ad affrontare. Dietro il consumo c’è una grande difficoltà di intessere relazioni umane che spinge al relazionarsi alla droga. Dunque credo che la fiction spingendo a comprendere e non a criminalizzare il fenomeno abbia passato un ottimo messaggio. L’unica cosa che ho da recriminare è che la storia è durata poco, e questo l’ha fatta diventare un po’ irreale.

Nella vita reale, le statistiche parlano di un incremento del consumo di stupefacenti, cosa ne pensi?

Non c’è ambito in cui non si faccia uso di droga. Non mi sorprende neanche quando nel mio campo conosco persone che fanno uso di droga pesante. E’ un problema sociale. Secondo me non si fa una grande lotta per combatterla perché fa comodo allo Stato: la droga ci rende più buoni, più tranquilli, meno ingombranti. Con la droga si ha meno voglia di affrontare i problemi. Si tratta di un sistema maligno e ben organizzato. Bisognerebbe combatterla con l’informazione, parlandone, cercando di capire il motivo per cui se ne fa uso, portando le esperienze come esempio. C’è una concezione sbagliata di cosa è la droga: anche il tabacco, l’alcol o le medicine sono sostanze psicotrope e sono legali, sebbene abbiano lo stesso effetto delle droghe proibite.

Quali sono le cause del consumo?

In Italia pochissimo spazio è dedicato allo sviluppo dei giovani, bisogna lottare il triplo, non basta impegnarsi, c’è una concorrenza spietata e alla fine i meriti non sempre sono riconosciuti. Leggevo ad esempio di due ragazzi di Verona appena maggiorenni che hanno creato un social network per la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica che hanno ottenuto un riconoscimento ad Howard e che in Italia sono erano stati minimamente presi in considerazione. Viviamo nel paese delle banane: la maggior parte dei ruoli sono occupati da gente che ha la metà della preparazione di persone che invece stanno a casa. Ecco che i giovani collezionano delusioni e non sanno a chi rivolgersi. I poteri forti ci spingono ad essere sempre più soli, non c’è più la concezione dell’uomo come essere in gruppo, ma prevale quella dell’individuo: ognuno è in gara con l’altro. Io mi ritengo fortunato, ho una famiglia benestante che mi ha sostenuto e quindi non ho avuto bisogno di prendere altre strade, ma tanti ragazzi che hanno disagi economici rischiano di perdersi.

Quale può essere una soluzione?
Io credo che il benessere si raggiunga con il benestare di chi ci è accanto, anche nelle piccole cose, questo l’ho imparato condividendo un appartamento con altri 3 ragazzi: bisogna agire in funzione del gruppo, non solo di noi stessi. Purtroppo oggi solo alcuni religiosi parlano dell’amore per il prossimo, mentre bisognerebbe interessarci a chi ci è a fianco, perché è l’unico modo per stare meglio con noi stessi. Io credo che sia possibile, anche se molti ritengono la ritengono un’utopia.

Ora che l’hai conosciuta meglio, cosa pensi di Napoli?

Inizialmente sono rimasto sorpreso per la sua bellezza, e una frequentazione più assidua ha confermato l’impressione positiva: sono andato alla scoperta di luoghi che non conoscevo vicino al mare e ho mangiato benissimo in alcuni ristoranti e trattorie. Purtroppo non ho avuto occasione di conoscere e frequentare ragazzi napoletani.

Alessandra del Giudice

Un’altra intervista a Michele Cesari: http://www.napolicittasociale.it/portal/un-posto-al-sole/1941-michele-cesari-un-buono-che-interpreta-il-cattivo.html

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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