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venerdì 29 Marzo 2024




Il segugio della fiction

Gino Illiano: dal grigio della finanza a Un posto al sole.

Gino-IllianoVivono una vita di “reclusione” negli studi Rai, eppure gli sceneggiatori di Un posto al sole sono in contatto con la realtà sociale napoletana e sono bravissimi e a scovare nuove storie da trasformare in episodi della fiction. Tra loro Gino Illiano, ex esperto di finanza giunto a Un posto al Sole dopo l’11 settembre,  gioca un ruolo decisivo: quello di rendere i contenuti credibili e le storie verosimili.

Lo chiamano “il ricercatore” ma Gino con la sua precisione e la sua flessibilità è il punto di riferimento del presente della fiction e la memoria storica dei suoi personaggi.

Come ha iniziato a lavorare in Un posto al Sole?

Sono figlio dell’11 settembre: ho lavorato nel mondo nella finanza fino al 2001, ma dopo la grande crisi delle borse sono arrivato a Un posto al sole.
Il mio ruolo è stato inizialmente quello di interfaccia esterno con il reparto scrittura, poi sono diventato parte integrante dello staff. Il mio ruolo è quello di controllare i contenuti veicolati dalla fiction verificando i dettagli scientifici, medici, legali attraverso la consulenza degli esperti e la ricerca scientifica.
Chi scrive non ha specifiche competenze, ne la produzione ha un budget elevato per permettersi singoli esperti su ogni tema trattato. Mi identificano con il “ricercatore”, ma il mio ruolo è molto più vasto e impegnativo.  

Cosa rende la fiction verosimile a parte la scientificità?

Ci occupiamo di curare le storie con una certa ricchezza di particolari, consapevoli che non realizziamo un prodotto scientifico, che la fiction è verosimile, ma non può essere reale. Bisogna stare attenti a riprodurre il contesto sociale e legislativo di riferimento, ad esempio quando abbiamo raccontato la storia di Nunzio, che doveva essere affidato ad uno dei genitori abbiamo evitato di esasperare la disputa tra gli ex coniugi, perché in Europa e in Italia è più comune che i genitori trovino un accordo per il bene del figlio.
E’ fondamentale che il passato autentico dei personaggi non venga sconfessato nel presente: in 17 anni di fiction il passato dei personaggi resta come gesto, azione, parola nelle storie presenti. In alcuni casi c’è bisogno anche di ritrovare materialmente alcune scene di vecchie puntate che fungono da ricordi, e anche di questo mi occupo io.  

Porta la sua esperienza di vita nelle storie?

Ognuno porta il suo vissuto che poi si condivide e dal confronto di idee si individua il tema. In effetti di tempo per “vivere” ne resta poco, considerando che al soggetto lavorano 5 autori e più altri che fanno la correzione degli episodi precedenti. Io vivo un po’ in “reclusione” poiché devo essere molto flessibile e sempre presente per rispondere alle domande di tutti gli sceneggiatori sui vari argomenti trattati. Molte ricerche le realizzo in rete, ma talvolta mi capita di incontrare realtà sociali ed esperti personalmente per approfondire i temi trattati. Su alcuni temi più controversi tutti gli sceneggiatori si consultano: questo ad esempio è avvenuto sui cantanti neomelodici ed abbiamo scelto un taglio ironico.

Quali sono i criteri per andare incontro ai gusti degli spettatori?

Noi scriviamo perché il prodotto sia gradito al pubblico, ma non per accontentarlo necessariamente. Di base cerchiamo di scegliere temi che siano attuali, ma di ampio respiro poiché non andiamo in diretta: scriviamo storie che andranno in onda 3 mesi dopo per assicurare la messa in onda continua. Solo con sensibilità ed esperienza le notizie si possono allineare con gli interessi dello spettatore.
Le notizie di attualità vanno riattualizzate, ad esempio quando abbiamo trattato il tema dei rifiuti non abbiamo mostrato le barricate o i cumuli di immondizia per strada perché avremmo raccontato qualcosa superato da tempo, ma abbiamo trattato lo smaltimento dei rifiuti tossici, oppure abbiamo mostrato come il condominio Palladini si organizza per fare la differenziata. 
Per quanto riguarda il ritmo della storia è meglio che nella trama ci sia un inciampo, perché crea suspense. Di volta in volta non sappiamo il singolo attore o la storia che impatto avrà sul pubblico: lo scopriremo solo con la messa in onda, ma dopo 17 anni di lavoro sappiamo fin dove correre rischio. Sono piccole scommesse che si giocano con pubblico, mai azzardi.

Ci sono storie nate grazie al contatto con le realtà sociali del territorio?

Il rapporto è biunivoco: a volte partiamo dalla storia del personaggio e poi scopriamo e approfondiamo certe realtà sociali come è accaduto con Nunzio e le case famiglia; per quanto riguarda la storia di Filippo e del rene donato dal cugino Tommaso abbiamo pensato che dopo il trapianto Filippo dovesse prendersi una sorta di rivincita con la vita e facendo una ricerca abbiamo scoperto che esiste un’associazione che sostiene i trapiantati che vogliono partecipare alla maratona di New York e la abbiamo inserita nella storia.
In alcuni casi contattiamo le realtà sociali particolarmente interessanti e attive perché ne veniamo a conoscenza grazie al passa parola, come sta avvenendo con le puntate in onda in questi giorni in cui si racconta del progetto “Nati per leggere”.  E questo accadrà in futuro per un altro interessante progetto che abbiamo contattato: “l’associazione Piano Terra” che aiuta le madri che non possono permettersi di comprare il latte in polvere per i bambini.
in ogni caso gli argomenti sociali vanno confrontati con la Rai e le citazioni delle diverse realtà sociali vanno autorizzati dal Segretariato Sociale della Rai. Di questo si occupa Federica Castaldi.

Come si sceglie il linguaggio?

Anche qui c’è la ricerca di un punto di equilibrio. Il ricco imprenditore ha un linguaggio curato e la dottoressa Bruni parlando con il collega userà qualche termine tecnico. Il nostro “cattivo” non sarà mai volgare. Nei quartieri malfamati si dirà qualche parola in napoletano, ma non tante da non essere compresi dal pubblico tv che è di tutta Italia. Nonostante ci rimproverano che quando parliamo di camorra manchiamo di realismo non possiamo dimenticare che andiamo in onda in prima serata: va bene una parolaccia, ma non due.
Ci sono poi dei termini banditi, come “bancomat”: perché non c’è l’autorizzazione essendo un marchio registrato.
C’è massimo rispetto nel non usare termini che possano essere offensivi per qualche soggetto in particolare. D’altra parte le storie vengono lette da tanti prima di andare in onda e questo consente di non fare scivoloni.
Per quanto riguarda il linguaggio non verbale evitiamo scene di violenza sui minori: ad esempio se Renato Poggi vuole dare uno scapaccione a Niko si usa la scorciatoia del braccio che si alza e si taglia la scena.

Quali sono le reazioni degli spettatori quando si trattano temi particolarmente delicati?

Talvolta il compito che ci viene attribuito va oltre le nostre intenzioni. Quando abbiamo trattato temi legati alla salute spesso i telespettatori ci hanno contattato. Ad esempio è accaduto nel caso di Sandro che è nato con un deficit uditivo: in tanti ci hanno chiesto dei riferimenti del dottore e del reparto specialistico. Noi facemmo presente che il caso era autentico e che ci eravamo documentati chiamando i reparti di pediatria specializzati.
Anche nel caso della malattia di Arianna, un argomento molto più serio e delicato, per quanto fossimo consapevoli dell’alta incidenza del cancro ci siamo resi conto che tantissime persone anche vicino a noi ne sono colpite. Anche gli spettatori ci hanno portato le loro storie e si sono affezionati ancora di più al personaggio di Arianna durante la sua malattia chiedendoci esplicitamente: “Non fatela morire”. Di fatto anche le storie più drammatiche hanno una durata limitata: nella serie un processo dura poche settimane, una malattia fa il suo decorso in un paio di mesi. E nella maggioranza dei casi le storie si concludono con il lieto fine, quasi un obbligo contrattuale, mentre nella vita purtroppo non è sempre così.

La “bella” vita di palazzo Palladini non stride con la crisi che stiamo vivendo?

L’idea di Un posto al sole è quella di trasmettere speranza: tutti sognano che il brutto anatroccolo si possa trasformare in cigno. Esemplare è la storia di Marina Giordano che grazie alle sue capacità ha visto la sua vita migliorare. Ci rendiamo conto che il mondo è “brutto e cattivo”, ma lo possiamo raccontare fino ad un certo punto. Proprio per questo il pubblico vuole anche svagarsi, rilassarsi.
D’altra parte non vogliamo trasmettere un’idea edulcorata della realtà: Guido vince la lotteria ma dopo una serie di azioni sbagliate perde tutto e finisce alla mensa dei poveri. Non si tratta di una baggianata, molti vincitori delle lotterie vanno dallo psichiatra o perdono tutto perché non reggono la nuova vita.
Anche di Napoli mettiamo in scena dalla camorra a alle bellezze della città, è un metodo per sottolineare che Napoli è una faccia e il suo rovescio.
Il nostro compito è tirare la coperta di Linus per trovare un punto di equilibrio. Noi facciamo Un posto al sole, se lo facciamo bene è già tanto.

Quali sono temi sociali che pensate di trattare prossimamente?

Credo che abbiamo trattato un po’ tutti i temi sociali, alcuni sono stati approfonditi, altri sfiorati, tanti li tratteremo di nuovo. Ad esempio l’omosessualità che pure ha determinato molte polemiche di sicuro la tratteremo ancora.
Anche il tema delle dipendenze lo abbiamo trattato più volte e ora lo stiamo riproponendo con l’alcolismo di Silvia. Porteremo avanti le nuove storie che si sono aperte recentemente: mettendo ancora più in evidenza le difficoltà che può avere una ragazza a fianco ad un magistrato, trovando una soluzione alla vicenda Michele-Silvia.
Un tema che abbiamo più volte pensato di affrontare ma non l’abbiamo mai fatto è quello della morte dolce, forse prossimamente ci riusciremo, chiaramente cercando una chiave molto delicata.

Alessandra del Giudice

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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