Storie dei Vicoli di Napoli – Patrizio a Santa Maria Apparente

storie 8Mancano cinque minuti alle quattro: giusto il tempo per una sigaretta. Patrizio aspira lentamente poi espira, perdendosi nei pensieri mentre osserva le volute disegnate dalle spire di fumo nell’aria. Si ripara dalla pioggia sotto il grande arco che delinea l’ingresso imponente del palazzo settecentesco su Vico Santa Maria Apparente che ospita il Polo Territoriale per le famiglie.

Al Polo ci va chi ha deciso che tutto ciò che si rompe può in qualche modo essere riparato. Se i pezzi sono troppo piccoli sarà più difficile e il risultato finale non sarà mai lo stesso. Patrizio è lì per ricucire il rapporto con suo figlio: è al sesto incontro ma la stretta allo stomaco che sente quando si avvicina il martedì, il giorno in cui dalle quattro alle sei vede Matteo, è quella del primo giorno. “Credo che continuerà a stare sempre lì, all’imbocco dello stomaco. In genere il martedì non pranzo nemmeno per la paura di perdere l’autobus e di fare tardi. Sarà così fino a quando non avremo una nostra quotidianità fuori da questo Centro”. Un passato di dipendenze, fra  alcool  e droghe, che ha distrutto la sua dignità di essere umano e la sua vita famigliare, e una ex moglie che ha portato il figlio lontano. Prima di un mese e mezzo fa non lo vedeva da tre anni. “Gli anni in cui mi bucavo sono stati come anni di prigione. Ho perso non solo la mia vita, ma soprattutto la vita che avrei potuto condurre con mio figlio. Pezzi preziosi: il primo giorno di scuola, quando ha imparato ad andare in bicicletta, l’apertura dei regali il giorno di Natale quando è stato abbastanza grande per capire. Dai tre ai sei anni: ho perso metà della vita di mio figlio per starmene buttato in una topaia con una siringa infilata nel braccio”. Tutto questo adesso gli sembra assurdo: lo ricorda come un brutto film, come un’esperienza non appartenuta davvero a lui. Patrizio è entrato volontariamente in un centro di disintossicazione fuori città. Due anni di quello che lui stesso definisce “il purgatorio”. Adesso è pulito, lo dice con orgoglio, ma la vergogna per quel passato è ancora tutta lì, nel tremore della voce. “Ad un certo punto è scattato qualcosa. Mi ero appena iniettato una dose con la donna che frequentavo allora. Lei era lì sul letto, fra le lenzuola sporche, il braccio bene in vista, su cui si vedeva il segno dell’iniezione appena fatta. Sul polso notai un piccolo tatuaggio che non avevo mai notato prima: era l’iniziale di un nome: una M puntata. Mi sono ricordato che anche io avevo una M importante nella mia vita e che meritava un padre che, anche senza un tatuaggio, si ricordasse di lui”.

Matteo ora ha otto anni. Quando si vedono nella sala gioco del centro fanno tante cose: giocano con le costruzione, leggono un libro, a volte Patrizio lo aiuta a fare i compiti. La matematica è il suo forte e adesso gli sta dando una mano con le proporzioni.

“Sto mettendo insieme i pezzi di un rapporto, come dice la mia psicologa. Non sarà mai come sarebbe potuto essere se la mia vita fosse stata diversa, diciamo più regolare. Sarà un rapporto che funzionerà in maniera diversa, ma sarà sicuramente un rapporto. Scusami adesso devo andare. Matteo ha già aspettato troppo”.

Chiara Reale