“La psicosi ha cambiato in meglio la mia vita”

Davide: dalla competizione alla cooperazione passando per la salute mentale 

Che folliaDavide vive al massimo: la laurea in Giurisprudenza con indirizzo economico alla Luiss, un master in gestione delle risorse umane e la creazione di una società di servizi che collabora con la prestigiosa Università. Ma a 30 anni due episodi psicotici gli rivelano che è il momento di fermarsi e riscrivere la sua vita. Il giovane che oggi lavora per la cooperativa Era del Gruppo di Imprese Sociali Gesco racconta: “Sono passato da connettore di tante relazioni superficiali a valorizzare e implementare poche relazioni profonde e forti”.

Dopo la laurea a Roma, il Master in gestione di risorse umane alla Time Vision di Castellammare, diverse esperienze formative nell’ambito delle start up, crea non ancora trentenne una società di servizi per le imprese che gestisce l’incubatore di impresa studentesco della Luiss. Il napoletano Davide sembra essere uno dei rari giovani “arrivati”.  “Sembra” perché le convezioni e le aspettative della società spesso non collimano con i bisogni più profondi dell’essere umano. Il segno che qualcosa non va nella sua vita arriva a Davide con un primo e poi un secondo episodio di psicosi. 

L’esordio della psicosi. “Quattro anni fa, ho avuto due esordi psicotici. All’epoca ero a Roma e con la società che avevo costituito lavoravo in modo iperattivo: ero l’ “animatore delle feste” sempre al centro dell’attenzione, a parlare con tutti e ad intessere relazioni sociali. Poi un giorno ho iniziato a sentire delle voci, a pensare che le persone mi leggessero nella mente, credevo ogni giorno di dover morire, che gli altri mi volessero avvelenare così non mangiavo più, non bevevo più. Non riuscendo a stare da solo a Roma sono tornato a Napoli dai miei genitori. E’ stato difficile farmi accettare che avessi un problema e farmi aiutare. Sono andato da un primo psichiatra privato che mi ha prescritto l’aldol con il quale ho trovato un equilibrio”, - racconta il giovane che generosamente ci ha raccontato la sua bella storia perché possa essere di aiuto al prossimo. 

Lo stigma sociale. “Poiché con il medicinale mi sentivo meglio sono tornato a Roma - continua Davide - e ho cercato di ritessere le relazioni lavorative. Sono stato onesto e ho fatto presente il motivo per cui mi ero allontanato, ma i miei clienti sapendo dell’esordio psicotico non se la sono sentiti di darmi fiducia. E’ così che ho capito sulla mia pelle cosa significa essere stigmatizzato: chi viene a conoscenza della tua fragilità invece di tenderti la mano si allontana. Oltre a non avere più clienti il medicinale che usavo provocava sul mio organismo vari effetti collaterali che mi impedivano di essere produttivo come prima. Ecco che dopo un po’, autonomamente, ho interrotto la cura e ho trovato lavoro a Milano, ma a distanza di 6 mesi dal primo episodio ho avuto un secondo episodio psicotico. Così scaduto il contratto sono tornato a Napoli”. 

La cura: dal privato al pubblico. “A Napoli lo psichiatra privato a cui mi ero rivolto inizialmente ha deciso di non curarmi più perché ha ritenuto che io e i miei familiari non ci eravamo realmente affidati a lui così superando le reticenze i miei genitori si sono rivolti all’Uosm di competenza territoriale e hanno chiesto un supporto; mi hanno subito fissato un appuntamento con la psichiatra di riferimento. Da qui ho iniziato un percorso con la Asl: la psichiatra  ha trovato la cura più adatta alle mie esigenze proponendomi un nuovo farmaco sperimentale, l’Invega, che sul mio organismo non provoca effetti collaterali. Inoltre ho iniziato una terapia con lo psicologo della Asl: la psicoterapia è stato uno spazio fondamentale per gettare le basi della mia identità e per il mio percorso di crescita. Contemporaneamente alla psicoterapia e alla cura farmacologica partecipavo ai gruppi multifamiliari di incontro tra familiari e pazienti dove si scambiano esperienze e conoscenze così da supportarsi a vicenda, ad esempio un ragazzo che è in fase più evoluta del processo di cura può, raccontando la sua esperienza, dare speranza e fiducia a chi è all’inizio. E’ stato molto importante frequentare il centro diurno e non stare in casa, una zona di confort, che ti rende pigro e non ti sprona ad un processo di autonomia”. 

Gli “angeli del sociale” e il reinserimento lavorativo. “Nel centro diurno Fiera dell’Est, a Soccavo, ho incontrato la mia “musa salvatrice”, l’operatrice Virginia Capuano. Per chi come me, a causa della malattia, viene da un periodo di totale isolamento e sfiducia, una delle cose fondamentali è la riabilitazione sociale perché ti permette la ri-acquisizione delle competenze sociali e relazionali che sono il volano per l’inclusione sociale. Virginia ha capito che nel mio caso non avevo bisogno tanto di uno dei laboratori artistici del centro, quanto di essere guidato nel contesto esterno. Da qui è nata l’idea di costituire l’associazione “Napoli in mente” di cui sono socio fondatore e tesoriere. L’associazione svolge attività ed organizza eventi finalizzati al superamento del disagio sociale, relazionale e mentale ad esempio di siamo occupati di assistenza leggera agli anziani e di formazione per persone con disabilità”.

Dalla competizione alla cooperazione. “Superata la fase psicotica i miei genitori mi hanno spronato all’indipendenza e a trovare un nuovo lavoro, anche se in realtà non ero pronto. Così sono andato a lavorare a Padova in un incubatore di impresa, ma il lavoro full time era molto stressante e competitivo, erano richiesti cambiamenti repentini di strategia senza una chiarezza di intenti. L’esperienza per me è stata fallimentare così quando hanno deciso di depotenziare l’attività sono tornato a Napoli. Qui la mia “musa” Virginia Capuano ha segnalato alla mia psichiatra l’opportunità delle borse di lavoro per pazienti della salute mentale. Vengo iscritto al bando e selezionato. Nel periodo di formazione nel centro Aquilone rientro nel sistema produttivo degli orari e dei ritmi del lavoro attraverso la creazione di oggetti, l’esperienza si rivela costruttiva nonostante non sia in linea con le mie competenze. Dopo la formazione, facendo presente le mie competenze da giugno 2016 ho iniziato a lavorare per la cooperativa Era, affiancando la responsabile della progettazione, e per il negozio Che Follia dove mi occupo dell’attività amministrativa e di rendicontazione del venduto con i fornitori, oltre che della gestione quotidiana del punto vendita. La borsa lavoro ha contribuito nel farmi riacquistare la fiducia nelle mie capacità e nelle mie idee e ad implementare le competenze relazionali che mi permetteranno di affrontare nuovamente esperienze lavorative in un contesto non protetto. In futuro mi piacerebbe occuparmi nuovamente di start up, ma questa volta in ambito sociale”.

Come la psicosi ha cambiato la vita di Davide. “La malattia ha cambiato in meglio la mia vita. E’ stata decisiva perché mi ha costretto a fermarmi e a ragionare sul mio stile di vita che non era sostenibile nel lungo periodo. Ha dato voce ai miei bisogni primari e mi ha spinto a capire ciò che volevo diventare. Ho compiuto un percorso di maturità che ha portato all’evoluzione del mio essere. Sono così passato dall’essere connettore di tante relazioni superficiali a chi valorizza e implementa poche relazioni profonde e forti. Da animatore delle feste oggi parlo solo quando ho da dire qualcosa di importante, nel momento giusto e in questo modo mi sento più considerato di prima. Dalla competizione e dall’iperattivismo dell’impresa sono approdato alla cooperazione sociale. Ho cambiato paradigma e oggi faccio le cose nel rispetto dei miei tempi e delle persone. E’ una missione lavorare nel sociale: così come per me è stato fondamentale incontrare persone che mi hanno dato una mano nel momento di difficoltà, anche io voglio contribuire alla crescita e al superamento delle condizioni di fragilità delle persone”. 

Alessandra del Giudice