“Ai giovani va insegnato l'autocontrollo, ma nessuno se ne prende la responsabilità”

Ce lo spiega lo scrittore Maurizio Braucci

maurizio braucciSulle droghe, si gioca a nasconder le responsabilità: lo fanno gli adulti, le istituzioni, i media, perfino la cultura, in una logica di autoassoluzione. Ai giovani, che fanno abuso di alcol e sostanze, andrebbe semplicemente insegnato il controllo, in una logica di riduzione del danno e del rischio. Invece, viviamo in una società ipocrita e moralista, che nega la realtà. Ce lo spiega Maurizio Braucci, scrittore e sceneggiatore napoletano, che non esclude la correlazione tra l’uso di droghe e il dilagare di violenza tra i giovanissimi.

I dati dimostrano che le dipendenze (non solo droghe, ma anche alcol e gioco) sono in aumento e sono sempre più a rischio i giovani. Ma se ne parla sempre meno, e perlopiù in relazione a fatti di cronaca. Secondo lei perché?

Perché si tende a scaricare le responsabilità, è scattata una logica auto-assolutoria per cui si evitano temi che potrebbero mettere in evidenza le carenze della politica e formare nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’incapacità di chi è al potere. C’è una scelta politica, conscia o inconscia, di non tirare in ballo le vere responsabilità. Allo stesso tempo, manca completamente una cultura della prevenzione e tutto viene affidato all’aspetto terapeutico e repressivo.

Giovani e droghe: c’è una incidenza dell’uso di sostanze (quelle che si stanno diffondendo recentemente) sul fenomeno criminale e sugli episodi di violenza che stanno coinvolgendo sempre più giovanissimi oggi a Napoli?

Sì, io credo che l’uso di sostanze e alcol sia una concausa di questi episodi di violenza a cui stiamo assistendo. Bisognerebbe capire quanti di questi atti siano consumati sotto effetto di stupefacenti, sta di fatto che la violenza è di per sé una spia di disagio e spiazzamento rispetto alla vita quotidiana. Queste forme auto-distruttive sono quasi sempre sintomatiche del vuoto e del disagio nello stare al mondo dei giovani, privi di riferimenti. Qui, c’è la carenza di politiche giovanili efficaci e anche la formazione di opinione pubblica attraverso radio e giornali è inadeguata. Di fatto, i media informano in maniera superficiale, inseguendo le agenzie, non facendo approfondimento, per cui tutti dicono alla fine la stessa cosa, senza andare oltre. Si ripete quella logica auto-assolutoria di cui parlavo prima: non solo la politica, ma anche i media e il mondo “adulto” tutto, nessuno si prende le proprie responsabilità fino in fondo. Un esempio su tutti: si sa che sono sempre più le agenzie di scommessa e i giovani disoccupati ci passano giornate intere. Ma cosa si fa per fermare questo dilagare ed evitare che si arrivi alla ludopatia? Nulla, né in termini di prevenzione né come regolamentazione da parte dello Stato. E stesso discorso si potrebbe fare per l’alcol e la cannabis, si fa finta di non vedere che sono le prime voci delle dipendenze.

Cosa dovrebbe fare la politica e quale, invece, è il ruolo della società civile e di chi fa cultura come lei?

Le istituzioni dovrebbero fare il loro dovere. Ma quando ci sono problemi come l’esplosione di violenza tra i giovani a cui stiamo assistendo in questo momento, non ci dovrebbe essere solo il Ministro dell’Interno a un summit, ma anche quelli alle Politiche sociali e all’Istruzione. Non possiamo pensare che ci sia solo un problema di sicurezza e ordine pubblico e far finta che questa situazione non sia anche la conseguenza di un welfare carente, la mancanza di politiche di sostegno alle famiglie più povere e di sviluppo delle periferie, per esempio. L’opinione pubblica: non c’è vera informazione, i giornali vanno a senso unico, non pongono delle questioni, riducono tutto alla repressione e si finisce per nascondere le responsabilità. Anche la cultura ci finisce dentro. L’arte, che è sempre servita a sollecitare delle riflessioni e ad avere spinte di emancipazione, oggi è schiava del mercato e gli operatori di cultura si dissociano da quella funzione educativa che gli è propria.  In questo modo, anche l’arte insegue le logiche mercantili di quello che si vende di più, e quello che si vende di più è quello che piace di più, e quello che piace di più è consolatorio. Chiaro che sul piano individuale alcuni operatori cercano di fare qualcosa di diverso ma sul piano generale, delle committenze, nella maggior parte dei casi, è lo standard che detta legge.

Spesso si parla di problemi ma non di soluzioni. Napoli ha dei servizi al passo con le maggiori città europee in materia di prevenzione e riduzione del danno soprattutto per i giovani e i nuovi consumi (alcuni esempi: l’Unità mobile di strada che va nei luoghi di divertimento dei giovani, Mamacoca), secondo lei quanto è importante che le persone conoscano queste realtà?

Sono progetti importanti ma residuali, abbiamo fatto dei passi avanti, ma non basta. Quello che c’è è importante e si deve soprattutto all’operato di dirigenti più avveduti o team esperti di lavoro che hanno fatto questo per anni sviluppando anche modelli innovativi; ma i servizi vanno potenziati e, se possibile, modificati sulla base dei nuovi consumi, che non sono più quelli di eroina, oggi si parla di droghe ricreative. Insomma, i servizi non sono sufficienti, così come si dovrebbe investire di più sulla prevenzione.

Quale è, secondo lei, l’approccio giusto da utilizzare con i giovani?

Ci si perde in moralismi e ipocrisie inutili, senza fare neppure il tentativo di spiegare ai ragazzi che il consumo di alcol e cannabis va regolato e che se si perde controllo si possono correre rischi seri. Si pensa solo a fare “terrorismo psicologico”, un po’ come avviene per il tabacco: si cerca di spaventare il fumatore con immagini choc senza però ottenere alcun risultato pratico. L’approccio dovrebbe essere quello di riduzione del danno e del rischio, esattamente il contrario di ciò che si tende a fare oggi, privilegiando un modello repressivo o securitario di intervento. In questo senso, le istituzioni non ci provano neppure a fare ciò che si potrebbe fare e in maniera anche molto semplice. Se non si fa abbastanza è anche per ragioni culturali, perché si parte da una visione del mondo che non è reale: tutti sanno che i giovani sono tentati dall’uso di sostanze, che tra i giovanissimi è una prassi diffusa l’abuso di alcol, ma nulla viene fatto per prevenire i rischi di eccessi nel consumo. Il risultato è che tanto i giovani bevono comunque e in maniera sregolata, finendo così magari in coma etilico, quando bastava dare loro informazioni elementari su come bere. Il comportamento degli adolescenti, insomma, è la proiezione di una cecità politica e culturale.

Maria Nocerino