Sentenza 11504, cosa cambia nel diritto di famiglia?

Valentina de Giovanni, presidente regionale dell’AMI, ci spiega come interpretare il provvedimento “rivoluzionario”

convegno adozioni de giovanniLa sentenza del Tribunale di Cassazione 11504, del 10 maggio 2017, relativa al divorzio tra un ex ministro e un'imprenditrice ha stabilito che l’assegno di mantenimento dovuto al coniuge più debole non debba essere rapportato a conservare il tenore di vita matrimoniale. Vediamo cosa cambia nel diritto di famiglia alla luce di questo provvedimento insieme all’avvocato Valentina de Giovanni, presidente regionale dell’AMI, Associazione Matrimonialisti Italiani. 

La Sentenza recita: "Il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale". Cosa cambia concretamente per le donne con questa sentenza? 

Questa sentenza arriva dopo un percorso della giurisprudenza. Negli ultimi anni da parte dei tribunali c’è stato un atteggiamento sempre più restrittivo nel concedere l’assegno di mantenimento al coniuge più debole economicamente che in Italia è spesso la moglie, ma in alcuni casi può essere anche il marito. Questa sentenza considera il parametro della spettanza, ovvero il fatto che il rapporto matrimoniale si estingue non solo dal punto di vista sentimentale e affettivo, ma anche dal punto di vista economico. L’assegno di mantenimento non è eliminato: sono sempre validi gli altri parametri quali la mancanza di reddito o la durata del matrimonio, ma non bisogna più assicurare al coniuge il tenore di vita del matrimonio. Mentre prima gli avvocati si accanivano a dimostrare quanti viaggi o gioielli erano stati donati al coniuge durante il matrimonio per ottenere un assegno più alto, oggi l’assegno avrà una natura assistenziale: serve a sostenere il coniuge in difficoltà finché non si renderà autonomo.

Per una donna rendersi autonoma al Sud non è facile. Come verrà calata la norma nei casi concreti?

Questa sentenza ha fatto scalpore, ma bisogna considerare che è stata stabilita a Milano, in un contesto facoltoso, non è un caso che Berlusconi si stia già attivando per richiedere la restituzione degli assegni di mantenimento a più zeri. Situazioni di reddito medio-basso saranno colpite marginalmente dalla sentenza. Al sud dove le donne difficilmente lavorano questa sentenza avrà poco riscontro pratico perché si andrà a considerare l’effettiva possibilità di trovare un’occupazione in un contesto in cui c’è ancora una forte arretratezza e disparità di genere nell’accesso al mondo del lavoro, inoltre il lavoro che dovrà reperire la ex moglie dovrà essere adatto alle sue attitudini e al contesto sociale di riferimento e sappiamo quanto sia difficile oggi con la precarietà e in una fascia d’età più alta.

Questa sentenza ha scatenato una lotta delle donne contro le donne, una sorta di caccia alle streghe “approfittatrici”. Cosa ne pensa?

Le donne sono profondamente cambiate, non sono più quelle degli anni ’70 quando fu realizzata la legge che tutelava le donne che dopo aver speso la propria vita per la cura familiare e la realizzazione professionale del coniuge erano lasciate per una donna più giovane. Prima il 60% dei divorzi si concludeva con un assegno, oggi solo il 19%. Oggi se la donna vuole essere equiparata all’uomo non deve vedere nel matrimonio il punto di arrivo della propria realizzazione personale. Io come matrimonialista non amo le donne che chiedono l’assegno con finalità vendicativa o perché non hanno intenzione di lavorare, ma va sottolineato che queste sono pochissime. Oggi le donne lavorano e il senso di dignità e la voglia di rivendicare l’indipendenza da un uomo da cui hanno scelto di separarsi è grande. La maggior parte delle donne che chiedono il mantenimento sono quelle che hanno diritto ad essere tutelate perché altrimenti cadrebbero in miseria. Ogni storia è una storia a se e sono convinta che i giudici sapranno valutare le differenze tutelando le donne che vanno tutelate. Noi donne faremmo bene ad unirci, ad essere più solidali, perché ci troviamo in una società dove sono ancora frequentissimi i femminicidi e le discriminazioni e il progresso femminile è attuabile solo se c’è maggiore solidarietà tra le donne. In America sono le donne che rivendicano a viva voce l’abrogazione del diritto all’assegno di mantenimento perché sono molto più impegnate degli uomini. Dobbiamo tendere all’indipendenza delle donne e tutta la società deve essere attiva in questo senso. Ma non dobbiamo negare che la parità non è stata ancora raggiunta, dobbiamo arrivarci, perciò per ora vanno tutelate le situazioni di bisogno in cui il tenore di vita ha un peso irrilevante.

Questo provvedimento incide sui figli?

La questione riguarda solo il coniuge, non i bambini. Il coniuge con reddito più alto dovrà garantire un assegno di mantenimento più alto ai figli. La norma di riferimento dice che i genitori devono contribuire al mantenimento in proporzione alle loro entrate e il genitore convivente con i figli dovrà gestire l’importo dell’assegno per mantenerli al meglio.

Sempre più spesso uomini divorziati sono costretti ad andare alla mensa della Caritas a causa di assegni troppo esosi, ma intanto non hanno gli stessi diritti delle madri a vedere i figli.

I padri che fanno ricorso alla Caritas, non sono certo quelli che si avvantaggeranno economicamente da questo nuovo indirizzo. Piuttosto andrebbe fatto un discorso sull’equiparazione dei diritti nei confronti dei figli. La giurisprudenza non ha recepito il cambiamento della società e tende a incastrare la donna nel ruolo di madre senza considerare abbastanza il ruolo del padre. La donna lavora e rivendica maggiori spazi di libertà. Questo cambiamento non è stato compreso fino in fondo dagli uomini perciò ci sono tante violenze, tanti disastri famigliari. D’altra parte anche il padre è cambiato, è spesso capace e desideroso di occuparsi dei bambini e la donna deve imparare a coinvolgere di più il coniuge, a dare spazio al suo ruolo genitoriale. In caso di divorzio, è giusto che i genitori partecipino al 50% al tempo dei figli, soprattutto quando entrambi sono impegnati lavorativamente e i padri richiedono questo spazio. Contendersi i figli per fini vendicativi fa il loro male. Gli avvocati dovrebbero essere sempre più avvocati dei figli, prima che dei genitori, perché il bene dei genitori passa attraverso il bene dei figli.

L’Italia a che punto è rispetto all’affidamento condiviso?

Da molti punti di vista l’ordinamento italiano è indietro rispetto a quello europeo. Se l’affidamento alternato non è ben visto da alcuni giudici e psicoterapeuti perché sostengono che i bambini abbiano bisogno di un punto di riferimento fisso, c’è la necessità sempre più sentita di affidare la casa familiare ai figli con l’alternanza dei genitori. Una norma del 2006 stabilisce la preferibilità dell’affidamento condiviso, ma nella maggior parte dei casi resta inattuata. Di fatto si tende ancora ad individuare un genitore prevalente che resta nella casa familiare e nella maggior parte dei casi è la madre. Ci sono state sentenze innovative dei tribunali di Brindisi e Salerno, che si stanno orientando ad un affidamento paritetico, ma si tratta di provvedimenti che presentano delle lacune tecniche. Quello della parità è un percorso culturale ancora lungo. Le donne dovrebbero accettare che il padre resti il padre del figlio pur non essendo più il coniuge e considerare l’amore dei figli prima di quello per la propria privacy o per un vantaggio economico. Dall’altro lato c’è la difficoltà economica concreta di famiglie non benestanti o mono reddito di mantenere un’abitazione in più per i figli. Perciò l’affido condiviso viene realizzato solo quando le coppie hanno un grado di civiltà e sensibilità elevato. Si tratta di una rivoluzione culturale che si richiede ai padri e alle madri, che purtroppo ho visto realizzare molto poco.

Che ruolo hanno gli avvocati nell’assicurare la parità dei genitori?

Dal momento che la giurisprudenza è sempre più orientata a delegare agli avvocati il delicato compito della negoziazione assistita, se gli avvocati avessero un alto livello di formazione e sensibilità in questo senso, nella pratica si potrebbe realizzare più spesso un diritto di famiglia volto a garantire la parità dei genitori e il benessere dei figli. Intanto l’Ami ha indetto una commissione di studio sull’affidamento condiviso. 

Alessandra del Giudice