Lo sguardo europeo sui diritti dei rom napoletani

Intervista a Rosi Mangiacavallo, referente per l’Italia dell’ ERRC

DSCN4244Rosi Mangiacavallo dal 2011 è la referente per l’Italia dell’ERRC (European Roma Rights Centre). La ricercatrice è stata recentemente a Napoli per monitorare le condizioni abitative dei rom, soffermandosi sulla situazione del campo di Gianturco che a breve sarà sgomberato. Sentiamo il suo prezioso parere sulle condizioni di vita dei rom in Italia e a Napoli.

L’ERRC (European Roma Rights Centre) è un’organizzazione europea con sede a Budapest che dal 1996 si occupa della tutela dei diritti di rom, sinti e camminanti. In particolare è impegnata in: ricerca, advocacy e studio di casi pilota sul tema della discriminazione e del razzismo nei confronti dei rom. In ogni paese in cui opera l’ERRC c’è un responsabile, definito “country facilitator”, che riferisce le problematiche locali dei rom all’organizzazione che, sulla base di esse, decide le azioni da intraprendere.

errc

Quali sono le problematiche emergenti dei rom in Italia?

Il primo problema che monitoriamo è quello dell’inadeguatezza degli alloggi. Nel 2000 il report di ERRC definì l’Italia il “paese dei campi” per la peculiarità tutta italiana di alloggiare i rom nei campi, costringendoli ad una situazione mono etnica e segregante. Ancora oggi viene utilizzata questa definizione nei contesti di studio europei, infatti in nessun altro paese europeo, oltre l’Italia, esiste una soluzione abitativa destinata esclusivamente ai rom. Questa scelta è derivata dalla scelta politica di fine anni ’80 di considerare i rom nomadi e dunque alloggiarli “temporaneamente” nei campi. In realtà solo il 3% della popolazione rom è nomade, ma intanto in Italia i campi sono rimasti in piedi come soluzione stabile. Ultimamente ci stiamo occupando in Italia anche dei cosiddetti “crimini di odio”: è un fenomeno che stiamo cercando di monitorare e che a nostro avviso è molto diffuso. Nel 2012 è stata approvata la strategia italiana per l’inclusione di rom, sinti e camminanti che non è un documento perfetto, ma si può considerare un punto di partenza per la tutela dei diritti dei rom. Infatti è stata accolta favorevolmente dai rom e dalle associazioni che si occupano di loro. Tuttavia ad oggi resta una teoria inapplicata.

Può farci un quadro della situazione abitativa dei rom a Napoli?

A Napoli ci sono circa 3000 rom. La città non fa eccezione nel panorama italiano. C’è un solo campo regolare, quello di Secondigliano messo su dal Comune come soluzione temporanea e poi rimasto in piedi da quasi 20 anni e poi ci sono molti campi informali come quello di Cupa Perillo a Scampia e di Gianturco nell’area industriale via Brecce Sant’Erasmo o quelli più piccoli di Barra e Ponticelli. Infine c’è un’altra soluzione di alloggio autorizzata dal Comune nell’ex scuola Deledda a Soccavo. I campi sono luoghi che non dovrebbero esistere perché sono ghettizzanti, siano essi autorizzati o spontanei. Anzi il fatto che il campo di Secondigliano o la scuola Deledda siano soluzioni scelte appositamente dalle istituzioni, benché mono etniche e chiuse, è un’aggravante. Sicuramente anche i campi spontanei non dovrebbero esistere, perché le condizioni di vita dei rom non sono sostenibili ed interferiscono su molti aspetti, tra cui la scolarizzazione dei bambini, tuttavia spesso questi campi sorti in zone limitrofe e lontane dai centri abitati nascono come risposta agli sgomberi e alla mancanza di soluzioni alternative. Il problema è che i Comuni ricordano che esistono i rom solo quando decidono di sgomberarli, operano quindi in emergenza.

La situazione di Gianturco è attualmente emergenziale. Dove andranno i rom sgomberati?

I campi di Gianturco sorgono su una proprietà privata da cui i rom verranno sgomberati  l’11 aprile . Il problema è: perché le autorità si svegliano solo ora? Attualmente come unica soluzione abitativa il Comune offre un altro campo in via del Riposo per soli rom, un campo di nuovo segregante per sole 250 persone, quindi insufficiente ad alloggiare tutte le persone di Gianturco. Questo significa che le persone rimaste senza alloggio si sposteranno in un’altra parte della città creando nuovi campi informali. Il nuovo campo con container sorgerà nella stessa area in cui nel 2014 sorgeva un campo informale che fu preso a sassate e oggetto di raid da parte dei napoletani sulla base di una presunta accusa di molestia di un singolo rom. Cosa ancor più grave, i rom non furono protetti dalle forze dell’ordine. Ora il progetto è spostarli nello stesso posto in cui furono attaccati e non furono difesi dalle istituzioni.

In passato si è a lungo parlato di un finanziamento di 7 milioni per costruire un nuovo campo a Cupa Perillo, che fine hanno fatto quei fondi?

Dopo che il Comune di Napoli ci ha ripetuto che quei soldi potevano essere spesi solo per costruire un nuovo agglomerato mono etnico l’ERRC insieme ad una coalizione di organizzazioni quali Osservazione, Chi rom e chi no, Associazione 21 luglio si è rivolta alla Commissione Europea che ha ritenuto di bloccare il progetto. Ad oggi non sappiamo che fine hanno fatto quei fondi.

Cosa dovrebbero fare le istituzioni napoletane per i rom?

Se guardiamo ad una realtà come quella di Gianturco sicuramente le istituzioni sarebbero dovute intervenire prima incontrando le famiglie e valutando con loro le singole necessità. Ora evidentemente è tardi. Poiché ogni rom e ogni famiglia è un caso a se non esistono soluzioni univoche. Ad esempio ci sono famiglie che lavorano e potrebbero permettersi un affitto con canone calmierato, altre che avrebbero bisogno di un sostegno all’inserimento lavorativo. Sicuramente gli sgomberi non risolvono nulla e alimentano la diffidenza nei confronti delle istituzioni. I rom non scompaiono se li cacci, ma si spostano creando nuovi luoghi marginali dove si condannano i minori ad una vita uguale a quella dei loro genitori.

Spesso il pregiudizio nei confronti dei rom è legato alla convinzione che sfruttino i bambini per l’accattonaggio. Come si può combattere questa credenza?

Molto spesso i bambini sono portati con se perché non si sa a chi lasciarli e abbandonarli nel campo, che non è un luogo sicuro, li metterebbe in pericolo. Ovviamente là dove il minore viene sfruttato va applicata la legge apposita. Detto ciò chiedere l’elemosina da parte degli adulti non è un elemento culturale, ma una necessità legata alla povertà. Le generalizzazioni sono sempre sbagliate: ho conosciuto tante famiglie che lavorano e ci tengono che i figli vadano a scuola. Le istituzioni hanno una grande responsabilità: fino a che non ci si impegna per l’integrazione delle famiglie nei centri abitati ci andranno di mezzo anche coloro che vorrebbero fare una vita normale e i bambini.

AdG