La possibilità di una scuola salutare

Il punto di vista del Mammut

mammut 1Dopo 10 anni di ricerca sul campo il Centro Ricerche Mammut presenta un Rapporto sullo stato di salute della scuola a NapoliAd uscirne non è un quadro incoraggiante. E sabato 17 dicembre il rapporto sarà presentato nell'ambito di Tavola Rotonda sulla "salute" della scuola napoletana (vedi a fine articolo dettagli dell'evento). Ne parliamo con Giovanni Zoppoli, fondatore del Mammut.

La scuola napoletana non sembra essere in buona salute. A dirlo sono i dati sulla frequenza scolastica che vedono Napoli con il 35% (e fino al 45% negli istituti tecnici) di studenti che non riesce ad arrivare al diploma della scuola media superiore ( fonte Censis 2012) all’ultimo posto in Campania per il tasso di abbandono. Oppure quelli sui Neet, (giovani tra i 15 e i 24 che non studiano e non lavorano) al 35,4% (fonte Istat 2012), collocando la Campania al penultimo posto in Italia per il record negativo rispetto a questa categoria (ultima la Sicilia con il 37,7%).  Ma ciò che resta spesso invisibile e che invece rappresenta l'aspetto fondamentale è la Qualità (o mancata qualità) della Scuola e il modo in cui essa incide sul benessere e la crescita dei bambini.

Nel rapporto si parla di una scuola in cui si insegna come cento anni fa, in cui si formano ancora classi speciali e che sembra non considerare tutte le applicazioni della pedagogia a scuola da Montessori in poi. E' una questione napoletana o italiana?  

Sia la "Buona scuola", sia le circolari, che le raccomandazioni dei Governi degli ultimi 10 anni vanno nella direzione della pedagogia attiva. Ma restano solo teorie. Basti pensare anche ai principi dell'Europa e del Ministero dell'Istruzione rispetto all'integrazione dei bimbi rom che non vengono applicati tranne che in rari casi.
Di sicuro la situazione campana è svantaggiata a cominciare dalla possibilità di scelta: mentre in altre grandi città, come Milano e Roma, al genitore che non si accontenta si presentano possibilità di iscrivere il proprio figlio a scuole alternative come quelle montessoriane e steineriane ( anche pubbliche), a Napoli di scelta c’è n’è davvero poca. Inoltre nelle altre città benché fredde si va fuori, si utilizzano i cortili, si hanno più strumenti a disposizione per mettere in gioco la fisicità e la creatività. In Europa in genere c'è un modo di fare scuola più libero e aperto anche se ci sono casi anche peggiori come quello della Germania dove le classi speciali sono prescritte nel modello educativo.

Come mai le prescrizioni educative vanno nel senso della pedagogia attiva, ma non sono applicate dagli insegnanti?  

Ci sono maestri che lavorano bene in questo senso, ma sono casi isolati. Molto dipende dalla motivazione degli insegnanti, tanti non hanno la vocazione e hanno fatto questo lavoro per ripiego. D'altra parte la scuola è trattata male, basta confrontare lo stipendio e le garanzie della maestra con quelle di un professore universitario: c'è un gap incredibile. Il ruolo del maestro è degradato.  Poi ci sono le classi troppo numerose di 22-24  bambini e una maestra mentre agli insegnanti dovrebbero essere affiancate figure stabili specializzate in psicologia e pedagogia. Un po’ dipende dalla competizione tra gli istituti e dalla corsa ai finanziamenti. Spesso si è più preoccupati di raccontare una scuola che funziona che farla davvero. Oggi i valori socialmente riconosciuti sono quelli all'apparire, del risultato immediato piuttosto che della responsabilità a lungo termine. Il metodo di studio è finalizzato al risultato. Spesso sento dire "così si abituano a vivere", appunto i bambini vengono addestrati a vivere un una società dello spettacolo, con poca capacità critica e di tirare fuori le emozioni, sono istruiti per diventare omologati piuttosto che a mostrare la loro parte autentica. Una società di robot.

addirittura nel rapporto si parla di "classi speciali" benché per legge siano proibite.

Non sono chiamate così ma di fatto esistono. Anche se le classi sono miste i bambini più difficili o con qualche problematica specifica dopo qualche ora di lezione insieme agli altri bambini vengono spostati su altri progetti.  Ad esempio: nel caso dell’handicap strumenti e approcci propri della psicologia cognitivo-comportamentista hanno prevalso nella maggior parte dei casi per l’immediatezza di risposta, mentre riguardo al bullismo ha spesso prevalso un approccio sociologico improntato sul rafforzare gli stereotipi piuttosto che destrutturarli. Il ritorno a forme di rinforzo premiali arcaiche per l’intera classe (se fai il bravo ti metto una stellina) sembra in realtà la più forte conseguenza del suggerimento proveniente dall’approccio cognitivo comportamentista di cui sopra. Purtroppo gli alunni con esigenze di apprendimento “speciali” non sempre ricevono le dovute cure, anche a causa delle deficienze del sistema sanitario. La possibilità di ricorre a un percorso di logopedia di qualità e in tempi utili rimane appannaggio delle classi più abbienti. Basti pensare alla segnalazione arrivata dal genitore di un bambino che frequentava il Mammut, che all’età di 3 anni aveva avuto la prescrizione per una percorso di logopedia, finendo però in una lista di attesa lunga oltre 2 anni.

A Napoli c'è qualche esempio di scuola illuminata? 

Un’impostazione pedagogica davvero alternativa è quella, privata, del “Lo Cunto dei li cunti” o “Dalla parte dei bambini” di stampo freinetiano. Rispetto alla scuola pubblica esemplare è il l'MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) che è stato ed è uno delle principali organizzazioni interne alla scuola, portatore di metodologie e valori della pedagogia attiva.

Scuole pubbliche come il 73^ circolo, plesso Madonna Assunta di Bagnoli e la Flavio Gioia di Montesanto, hanno in qualche modo seguito le sorti dell'MCE e del più generale movimento politico di cui era espressione. Per il resto, l'anelito di liberazione dell’individuo e delle classi oppresse che spesso sembra essersi esaurito in una desolante bolla estetica, ad uso e consumo della borghesia radical. Esperienze per lo più d’elite, dove manca tanto un reale lavoro in profondità con il bambino (ad esempio con l’uso delle mani e dei materiali in un’ottica di libera sperimentazione come ci hanno insegnato, oltre allo stesso Freire, maestri contemporanei come Tonucci e Papetti), quanto l’intento di avvicinare la parte marginale della città con quella più facoltosa. Oppure in tecnicismi molto curati dal punto di vista burocratico e spettacolare, ma senza radici nell’esperienza o nell’affettività.

Cosa fa la città per i bambini?

È la stessa città a risultare inadeguata rispetto ai bambini. A partire dalla componente adulta (genitori, Stato, welfare) che sembra delegare alla scuola molti dei suoi compiti essenziali.
Fattori come la carenza di parchi giochi e aree verdi, la pericolosità delle strade (in cattivo stato di manutenzione e dense di rischi soprattutto per la quantità e l’indisciplina di automobili e motocicli), la deficienza di servizi specifici per l’infanzia, sembrano aggravare a Napoli una situazione già difficile anche nelle regioni del nord Italia. A farne le spese soprattutto la possibilità di crescita autonoma dei bambini, quella basata su rapporto tra pari e casualità. La specificità è che nella “città del vicolo” quasi del tutto sembra essere sparita la possibilità della strada come luogo di crescita e incontro spontaneo. I nostri bambini insomma come sorvegliati speciali, sempre più impossibilitati ad avere spazi di sperimentazione autonoma, al di fuori di un adulto che li sorvegli e sempre più condizionati dalle politiche di mercato.

Che ruolo hanno i genitori e che tempo dedicano ai figli?

Ci hanno colpito le dichiarazioni di una percentuale non insignificante dei bambini intervistati sul modo di trascorrere il proprio tempo, in centro come in periferia, che a domanda hanno risposto di avere “un solo pomeriggio libero” a settimana. Sì, proprio “pomeriggio libero”, come fossero già dei lavoratori a tempo pieno. Il resto delle giornate sono preventivamente riempite dai genitori (o da chi ne fa le veci) con attività quali sport, danza, arte; in genere di qualità migliore per chi può permetterselo, peggiore per chi no. I linguaggi e strategie di mercato hanno preso ad occupare e condizionare fortemente questa sfera della vita sociale.
La preoccupazione principale di genitori ed insegnanti è che il bambino si faccia male negandogli la possibilità di vivere in un modo più vicino al loro sentire. Sicuramente i genitori tendono ad assottigliare la qualità del tempo passato con i bambini, riempiono il vuoto affettivo con la PlayStation e loro stessi vagano in un altrove telematico. La sensazione di sentirsi inadeguati e la paura dell'esterno vengono "risolte" con un rapporto simbiotico e di iper controllo, come hanno abbondantemente scritto sociologi come Bauman e Augè. I genitori delegano alla scuola il ruolo educativo, ma come i propri figli imparino non sembra essere più una loro priorità, essendosi canalizzate le critiche di quelli meno accondiscendenti su questioni di certo importanti, come la qualità del cibo in mensa, ma non riguardanti direttamente il metodo di insegnamento.
L'unica soluzione è avere un tempo felice con i propri bambini, riscoprire la bellezza e la semplicità del tempo trascorso con loro. Smetterla di considerare gli esseri umani come macchine produttive senza sentimenti.

Nel rapporto si parla anche delle realtà "occupate" della città. E' qui che si sta sperimentando un modo più autentico di crescere?

Pochissimi i gruppi del privato sociale ancora riescono a trovare le forze per portare avanti progetti di qualità (come “Il punto Luce” alla Sanità o il Centroinsieme a Scampia), di più invece le realtà di militanti e attivisti politici (quelli dell’ex-OPG, dello Scugnizzo Liberato, dell’Associazione Davide Bifolco a Rione Traiano, del gruppo Zero81 ai Banchi Nuovi, del Giardino Liberato di Materdei), che non percepiscono alcuno stipendio, né dal pubblico né dal privato sembrano ancora in grado di ricollegarsi a una tradizione libertaria dell’educazione. Realtà che se hanno riportato nuova linfa e vitalità a questo ambito, devono fare i conti con la stabilità della presenza e con la qualità dell’intervento.

Il Mammut, una delle poche eccellenze della pedagogia attiva a Napoli, non viene sostenuto…

La scelta è che i fondi vengano dati a cose eclatanti o per emergenze conclamate, non per alzare la qualità del metodo quotidiano. Per noi l'unica soluzione è stata ricorrere alle fondazioni private o al contributo comunale saltuario. Ecco che abbiamo dovuto ridurre l'intervento nelle scuole e abbiamo creato il Mammut bus che può arrivare ovunque e funziona a chiamata. Certo è diverso fare un intervento spot rispetto a cambiare la metodologia d'insegnamento, cosa che siamo riusciti a fare in alcuni casi insieme ad alcuni bravi insegnanti.

Nella ricerca si sottolinea che il problema principale della "cattiva" scuola è la frammentarietà e la discontinuità degli interventi. Come evitarla?

Il cambiamento deve partire da dentro. Da ciascun insegnante. Non bisogna delegare la risoluzione dei problemi emergenziali all'operatore di turno o prendersela con il dirigente scolastico, ma impegnarsi per cambiare la scuola dall'interno, per fortuna l'insegnante ha ancora grande libertà di insegnamento. Bisogna lasciare che la responsabilità/possibilità dell’attivazione (nel processo di apprendimento come in quello di guarigione), parta dall’unica persona capace di ottenere risultati positivi in tal senso: dall’alunno o dal malato stesso. Il principio di responsabilità. Che ci sembra oggi vacillare seriamente, tanto nella formazione con gli insegnanti quanto nel fare scuola con gli alunni. Uno dei principali ostacoli all’affermarsi di una pedagogia attiva sembra essere proprio l’atteggiamento di attesa messianica, aspettare che arrivi qualcuno dall’esterno ad insegnare o a risolvere una situazione. Qualcuno che, ovviamente, non arriverà mai.

AdG

Il programma della giornata 17 dicembre 2016, Museo Archeologico di Napoli Piazza Museo, 19 Tavola rotonda attorno alla possibilità di una scuola salutare. Sabato 17 dicembre 2016, Museo Archeologico di Napoli Piazza Museo, 19 ore 10,00 - 10,45/13,30.

ore 10,00

Presentazione della pubblicazione “Piccolo rapporto sulla stato di salute della scuola

a Napoli”, a cura del centro ricerche Mammut.

Proiezione di “Diario di viaggio tra quartieri in movimento”, di Sergio Panariello,

riprese di Guido Cormino.

Inaugurazione della mostra “A scuola col bestiario”, con i disegni degli allievi delle scuole elementari, di quelli della scuola del fumetto di Comix e dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (corso di illustrazione) e dell’architetto e designer Riccardo Dalisi che hanno partecipato ai percorsi del Mammut.

Presentazione del secondo numero de “il Barrito dei Piccoli”, primo giornale con

i bambini della città.

ore 10,45/13,30

TAVOLA ROTONDA SULLA POSSIBILITÀ DI UNA PEDAGOGIA ATTIVA A NAPOLI

partecipano

il Direttore del MANN Dott. Paolo Giulierin

Marco Pollano, Maestro elementare e MCE (Perugia)

Luigi Monti, Direttore rivista Asini (Modena)

assieme ai molti educatori e insegnanti che hanno contribuito alla ricerca del Mammut, tra cui le Maestre Rossana Sanges (Maestra V Circolo Didattico “E. Montale” di Scampia), Carmela De Lucia (Maestra ICS 58^ circolo di Monterosa), Elvira Quagliarella (Maestra ICS Virgilio 4 di Scampia), Cristina Verde (Maestra ICS Giovanni XXIII di Chiaiano), Olga Mautone (ICS 73^ circolo plesso Madonna Assunta di Bagnoli), Gabriella Giardina (Dirigente scolastica ICS Cimarosa di Posillipo), Ciro Minichini (Ricercatore Indire), Mario Punzo (Direttore Scuola italiana di Comix).