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venerdì 19 Aprile 2024




Tutti uguali, tutti diversi

La storia di una mamma che ha scelto di essere felice. Contro l’appiattimento della normalità e il rischio di emarginazione

lettera Silvia MarottaQualche giorno fa la sua mamma ha scritto una lettera aperta sul Corriere del Mezzogiorno che ha commosso la città. Replicava alle signore della Napoli bene che hanno sottratto i figli dal mescolamento scolastico con disabili e migranti, nell’istituto Tito Livio.

A loro Silvia Marotta ha scritto, a proposito del figlio adottivo Jean Carlos: «Non pretende le scarpe firmate, perché non ne conosce il valore (che noi adulti gli diamo), le vuole comode, magari senza lacci. Per Natale non chiede la Playstation ma di festeggiare tutti insieme e dei regali a sorpresa. Voi direte e allora qual è il problema? Il problema sono quei genitori che privano i loro figli di una così grande ricchezza. Le differenze arricchiscono non sottraggono». In genere c’è un filo conduttore che accomuna le storie di diversità, ed è il disagio. A prescindere che si tratti di disabilità, di sofferenza psichica, di nazionalità straniera: è la stessa collocazione “altra” rispetto alla fascia di una normalità comunemente sottintesa, che le rende uguali e le annulla, annullando le persone, le vite coinvolte, e la ricchezza delle esperienze individuali. Marotta nel raccontare la storia del suo Jean Carlos ha fatto un’eccezione a questa regola dell’appiattimento nell’emarginazione: nella sua lettera, come poche, pochissime volte accade, emerge la gioia che può nascondere l’essere diversi.

Perciò abbiamo voluto incontrarla e conoscere, attraverso di lei, questo ragazzino così straordinario.

Silvia perché ha scritto quella lettera?

L’ho scritta per dire alle altre mamme: soffermatevi un attimo, così magari non le dite certe cose. Io mi sento distante da queste persone e faccio un lavoro non indifferente sul concetto del “siamo tutti uguali”, sull’amore che è uguale tra uomo e uomo come tra uomo e donna e sul fatto che chi ha più bisogno deve essere aiutato. Mi posso mai trovare in una classe che pensa l’opposto? Io mio figlio in classi così non ce lo mando. Non può vivere quotidianamente a contatto con questo modo di essere, gli annullerebbe l’autostima, su cui stiamo lavorando.

Ce l’ha con le mamme snob?

Non condivido il loro modo di pensare ma capisco anche una mamma che vuole che il figlio diventi il migliore, magari un astronauta. Però non sempre il fare qualcosa di grande coincide con l’essere una persona migliore. Spesso si pensa che se ti impegni l’indomani diventi il primo ministro. C’è anche chi non potrà diventare il presidente del Consiglio ma può donare qualcosa a qualcuno e si sente pure appagato. Per cui guardo con sincero distacco alle mamme che tolgono i figli dalle scuole con i ragazzi diversi: ognuno sceglie la vita che vuole fare.

Dalle foto Jean Carlos è un ragazzino quattordicenne con i capelli a spazzola, gli occhi buoni e la stazza da piccolo orso che cresce. Chi è suo figlio?

È un ragazzino peruviano con un deficit cognitivo che lo rende un po’ più lento nell’apprendimento rispetto ai suoi coetanei. Quando l’abbiamo adottato aveva quattro anni e mezzo e ci colpì che soffriva di frustrazioni, aveva bisogno di una famiglia che lo accogliesse. Siamo andati lì che già ci conosceva, diceva “mami, papi”.

Come avete affrontato la sua diversità?

Abbiamo deciso di dire la verità. Deve saperla, gli abbiamo spiegato che ora sta con noi ma è stato  partorito da una donna che non poteva prendersi cura di lui, anche se mi chiede a volte perché non è uscito dalla mia pancia. E poi abbiamo impedito alle nonne di dire cose non vere, di costruire ricordi comuni che non ci sono, risalenti a un’infanzia che non abbiamo condiviso. Jean Carlos è seguito da un logopedista e da uno psicologo: era un bambino iperattivo e aveva bisogno d’aiuto per affrontare la condizione di abbandono.

Che cosa fa di diverso rispetto agli altri ragazzi della sua età?

Provoca sempre, vuole vedere qual è il limite. A differenza di altri bambini che hanno vissuto in famiglia con fratelli e cugini e quindi hanno avuto dei parametri di riferimento anche dai coetanei, per lui sapere cosa si fa e cosa non si fa non è immediato. Ad esempio se per la strada incontra una ragazza bella e inizia a fissarla, per lui è normale: la guarda perché è bella. Non pensa che così la può mettere in imbarazzo. Jean Carlos ha più difficoltà degli altri a spiegarsi delle cose.

L’ha aiutata qualcuno - la scuola, le istituzioni?

Jean Carlos è entrato sempre in contesti che includevano. Le elementari le ha fatte alla scuola "Dalla parte dei bambini", le medie alla Ugo Foscolo e ora frequenta l’istituto professionale, gli piace la fotografia. Ha sempre avuto classi eterogenee e non ci sono stati mai episodi di bullismo né di razzismo. Devo dire grazie alle insegnanti di sostegno e ai professori, perché l’inclusione si fa anche attraverso di loro. Tuttavia se posso permettermi lo psicologo, il logopedista bene, sennò è difficile fare rete, comporterebbe un potersi fermare e confrontarsi, magari con altri genitori che vivono esperienze come la mia. Ma è difficile poterlo fare.

Lei come mamma come fa a gestire una situazione obiettivamente più difficile delle altre?

Lavoro su me stessa per cercare di stare calma quando sto per perdere la pazienza. E poi mi ricordo il posto dove l’ho trovato e penso: qualsiasi sforzo è giusto. Quando ti mettono in mano una fotografia sai che stai dando una chance a un bambino che senza di te resterebbe in un orfanotrofio. E poi Jean Carlos è un ragazzo molto affettuoso e molto empatico. Ha un’umanità che mi fa dimenticare tutti i sacrifici che faccio per lui. Basta mezz’ora con lui, ti dà tanto. Negli anni anche per formazione culturale ogni volta che mio figlio si è trovato a fare cose non consone gli ho sempre detto: è colpa tua. Nel tempo ho modificato questo atteggiamento, perché credo che abbia il diritto di fare quello che fanno gli altri. Non ho quasi mai preso le difese di mio figlio però è giunto il momento di difenderlo, come fanno tutte le mamme. Non esistono persone di serie A e di serie B: le fai diventare tu. Jean Carlos ha gli stessi identici diritti di essere felice degli altri e non è detto che non possa esserlo perché è disabile intellettivo.

Che cosa spera per Jean Carlos?

Voglio che lui riesca a essere felice con gli altri e che sia apprezzato per quello che è, che qualcuno gli riconosca i tempi di cui ha bisogno.

(Ida Palisi)

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