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Giovedì 28 Marzo 2024




L’appello di Jonathan alla Regione: “Sfruttate l’offerta educativa delle nostre comunità”

20200428 104139Un deserto quello delle politiche sociali in Campania, destinato, nella fase post Coronaviurs, a diventare ancora più arido, se non cambierà qualcosa. Questo l’allarme lanciato dall’associazione Jonathan che gestisce, nel territorio della provincia di Napoli, due comunità alloggio per ragazzi provenienti dall’area penale, le strutture denominate “Jonathan” e “Oliver”.

“Oggi accogliamo in una delle strutture 3 persone, ma siamo stati costretti, a seguito di provvedimenti dovuti alla pandemia, a chiudere la nostra seconda comunità, i cui operatori sono ora in Cassa integrazione - spiega la responsabile Silvia Ricciardi – Eppure, noi lavoriamo in sicurezza, non ci siamo mai fermati e non ci fermeremo, il nostro compito è quello di accogliere ragazzi che hanno problematiche specifiche e, se è vero che questa situazione si protrarrà finché non ci sarà un vaccino, noi continueremo a fare, come sempre, il nostro lavoro”.

La comunità che ha accolto il capo della paranza dei bambini 

Ma che attività si possono mettere insieme con solo 3 ragazzi? Le comunità “Jonathan” e “Oliver” sono strutture dai grandi spazi, all’avanguardia, e con grosse potenzialità educative, hanno all’attivo un laboratorio di vela e uno di fotografia, buone prassi collaudate che aspettano solo di essere replicate. Hanno già sperimentato in passato, e con un certo successo, un modello finalizzato al reinserimento sociale e lavorativo di chi ha sbagliato nella vita ma a cui viene data una seconda chance (ci sono libri e documentari che raccontano queste storie). Parliamo di ragazzi, dai 13 ai 24 anni, con un passato macchiato da reati anche molto gravi, come spaccio, stupro, rapina, tentato omicidio o omicidio. Basti pensare che Jonathan ha accolto personaggi “di spicco” della camorra, alcuni morti ammazzati, come il giovanissimo Emanuele Sibillo, capo della paranza dei bambini.

Le quote imposte dalla Regione Campania

Il primo problema da risolvere è quello delle “quote” imposte dalla Regione Campania, una battaglia che l’associazione sta portando avanti da circa due anni. “Siamo di fronte a uno sbarramento - ricorda la Ricciardi - di norma, su 8 minori che potremmo accogliere, ci viene consentito di prenderne in carico solo 3 o 4, ovvero il 40%, la normativa deve cambiare altrimenti finirà, come già in parte sta succedendo, che ci saranno più comunità che persone da accogliere, ma soprattutto verrà meno la mission stessa del collocamento in comunità come misura attenuante al carcere, quindi, come opportunità formativa ed educativa per chi viene accolto”. Questo limite è in realtà il riflesso di un approccio ideologico che la onlus, impegnata dagli inizi degli anni ’90 nel recupero dei minori a rischio, non condivide: “Oggi si punta alla comunità mista dove convivono minori dell’area penale e minori dell’area amministrativa, ma noi abbiamo sperimentato che questo modello è fallimentare”. Per capirci: giovani camorristi dovrebbero, secondo questo modello, convivere con ragazzi magari di 13,14 anni che vengono da un contesto familiare complesso, certo a rischio devianza, ma che non hanno commesso reati.

Risposte educative diverse

Cosa hanno in comune gli uni con gli altri e soprattutto come si può dare una risposta educativa e formativa omogenea per “target” così diversi? “Quello che sulla carta e nei libri di psicologia sociale sembra perfetto in nome dell’integrazione e contro la cultura del ghetto – sottolinea la referente di Jonathan – diventa completamente privo di senso nella realtà”. Per non parlare del diverso trattamento, nella pratica, delle due tipologie di persone: i ragazzi collocati in comunità come alternativa al carcere, non possono avere il cellulare, non hanno accesso ai social né contatti con l’esterno; gli altri, in genere, sempre molto più giovani, possono andare a scuola, avere il cellulare, portare un amico in comunità. Due vite, esigenze e stili di vita completamente diversi, che non potranno mai incrociarsi. “Non ci può essere uno scambio tra questi due universi, se non in negativo, nel senso di apprendere modelli sbagliati – dichiara la Ricciardi - Noi crediamo che sia necessario dare risposte diverse, per questo, per scelta abbiamo deciso di accogliere solo i minori dell’area penale negli ultimi anni”.

Quali scenari dopo l’emergenza?

Sta di fatto che ora è tutto fermo e non è detto che lo stato delle cose migliori dopo la pandemia. “La situazione ci preoccupa a prescindere dall’emergenza Covid-19 – spiega Silvia Ricciardi – noi restiamo aperti ma temiamo per il futuro delle nostre comunità, se continua il trend di preferire al collocamento in comunità la permanenza a casa con gli arresti domiciliari dei giovani che hanno commesso reato e che qui, da noi, potrebbero avere delle possibilità di esprimersi e imparare qualcosa”. D’altro canto, è altrettanto urgente mettere mano alla normativa per evitare le quote: “Non si può lavorare con un numero così esiguo di ospiti. Tre ragazzi insieme non possono neanche fare una partita a bigliardino, è assurdo - conclude la Ricciardi – Chiediamo alla Regione Campania di non lasciarci indietro e di considerare le grandi potenzialità che abbiamo per la formazione e l’inserimento sociale di questi ragazzi, a partire dai nostri progetti di vela e fotografia”. Intanto, a Jonathan si continua a lavorare e, appena sarà possibile, e il mare lo permetterà, si inaugurerà la stagione andando in barca a vela.

Maria Nocerino

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