Maria ha tre figlie

Maria ha quattro figlieNapoli è fatta di grandi piazze e palazzi monumentali, ma anche di vicoli bui e stretti, di case di una sola stanza su cui non batte mai il sole.

In una di queste vive Maria. Ventisette anni e tre figlie, di cui la maggiore, Linetta, ha compiuto a gennaio 11 anni. Quando nelle giornate di cielo azzurro siedono tutte sull'uscio della casa, fra i panni stesi, le biciclette e il passeggino della più piccola lasciato fuori perché “in casa se trase 'a robba amma ascì nuje” , sembrano quattro sorelle che attendono i genitori tornare da lavoro. Maria dimostra meno dell'età che ha: i capelli lunghi e lisci, le guance piene da adolescente non tradiscono una vita che già l'ha messa a dura prova. Il marito “morto acciso” come sussurrano le donne del vico, l'ha lasciata sola, la sua famiglia, tutta gente semplice ma per bene, che ha sempre lavorato onestamente per portare il pane a casa, non ha mai accettato che la figlia, l'unica femmina, abbia voluto imparentarsi con gente “malamente”. Ma il marito, pace all'anima sua, è sempre stato un pesce piccolo, uno di quelli sacrificabili. Nella giungla della criminalità organizzata, in cui ci sono animali da preda e re della foresta, non è raro che una lepre possa finire in bocca ad un leone.

Maria per tirare avanti fa le pulizie nelle case e  dalle suore del Corso. Tutto il vico le dà una mano. Quando le figlie escono da scuola e lei è ancora a lavoro, c'è sempre qualcuna delle altre donne dei bassi che le accoglie e mette loro il piatto a tavola. Sul corso si è creata una catena di solidarietà: c'è chi raccoglie vestiti usati ma in buono stato, chi una volta a settimana le fa la spesa. A Natale i regali sotto l'albero non mancano mai e a Pasqua le bambine hanno sempre l'uovo. Un welfare che mostra il grande cuore della Napoli autentica, quella che per dare non ha bisogno che venga chiesto, quella che sfugge dai giudizi sommari. Parlare con Maria non è facile: è molto timida e quando è nervosa soffre di una leggera balbuzie. Ma a volte la sera, quando il quartiere intorno tace i suoi racconti si intessono con quelli delle altre donne dei bassi accanto al suo. “Mi diceva che mi voleva bene, che per me sarebbe cambiato, che avrebbe cercato una “fatica 'o ver”. Non dovevo credergli ma era più facile farlo. Oggi alle mie figlie dico di non credere alle promesse degli uomini che dicono che cambiano. Perché poi non cambiano mai”. Nel vico la prendono un po' in giro perché, dicono, fa discorsi troppo seri per la sua giovane età: proprio per questo la chiamano “'A Vecchia”. Lei non si offende “Meglio essere vecchia che essere scema” risponde con un sorrisino beffardo. Ma a volte i pensieri di madre di famiglia sola che deve sbarcare il lunario cedono il posto alla ragazza giovane che sogna un bel vestito “di marca”, si informa sulle ultime mode in fatti di manicure e segue il gossip delle star televisive. Nei discorsi con le amiche del vico compaiono i personaggi delle soap-opera a buon mercato delle reti Mediaset: l'uscita del tronista con la corteggiatrice, il vestito bianco di Barbara D'Urso. È  in questi rari momenti che scompaiono le responsabilità, il dolore, il disincanto provati troppo presto. In momenti come questi Maria è semplicemente una ragazza di ventisette anni come ce ne sono tante, che studiano per costruirsi un futuro, che tornano a casa e trovano il piatto a tavola, la cui unica preoccupazione è cosa mettersi per uscire il sabato sera.

“Vabbuò ja, famm vedè cosa sta facendo a piccerella – dice ridestandosi da quel breve sogno di libertà. Il suo sguardo cambia. La vecchia non tarda mai a tornare – Domani l'aggia purtà a mettersi 'e lente e ancora nun saccio comm' aggia pavà”.