Mediare nei conflitti per essere felici

coverRuggiero (AIMS): “Favorire la cultura dei legami oltre l’illusione dell’iperconnettività”

In che modo possiamo contribuire a coltivare relazioni felici e prevenire la violenza? La risposta è la mediazione, una mediazione “sistemica”, ovvero capace di essere applicata in ogni ambito della nostra vita e della comunità, dalla famiglia alla scuola, passando per le istituzioni. Lo pensano i promotori del 12° Congresso nazionale dell’Associazione Internazionale Mediatori Sistemici (AIMS), in programma alla Stazione Marittima di Napoli venerdì 15 e sabato 16 novembre 2019 (il portale Napoli Città Solidale è mediapartner dell’iniziativa). Ne parliamo con il presidente, lo psicoterapeuta Giuseppe Ruggiero, fautore di un nuovo “umanesimo” in un momento storico che segna la crisi profonda del concetto stesso di umanità.

Come possiamo contribuire a costruire dialoghi creativi tra persone, generazioni, culture, per fondare il “nuovo umanesimo” di cui si parla nel vostro manifesto?

La questione è culturale, come suggerisce la radice della parola “cultura”, nel senso di coltivare un terreno, creare dei percorsi adatti a costruire buone relazioni: la cultura non è solo conoscenza, ma anche dialogo e valorizzazione delle differenze. Il primo luogo sociale in cui si costruisce questo è la scuola, inteso come lo snodo in cui si incrociano più persone e agenzie educative, la famiglia, il territorio, la comunità. Parallelamente bisogna puntare su una cultura dei legami autentici in una società dove siamo sempre più iperconnessi e si vive nell’illusione che quelle siano le vere relazioni. Al contrario, i legami hanno bisogno di tempo, sostanza, quella che manca nella nostra società “liquida”. Soprattutto i legami familiari vivono oggi, sempre di più, momenti critici, ad esempio con la separazione o il divorzio. 

In che modo si può favorire la trasformazione dei legami familiari nei passaggi più critici di una separazione o di un divorzio, per prevenire la degenerazione del conflitto?

Partiamo da un presupposto: i conflitti esistono e sono inevitabili nella nostra vita. Ma bisogna saperli mediare. Lo strumento della mediazione – che noi intendiamo come “sistemica”, cioè capace di effetti in tutti gli ambiti, pubblici e privati, in cui ci siano conflitti – diventa dunque indispensabile. Chiaramente quello più conosciuto e utilizzato è lo strumento della mediazione familiare, con cui si va ad intervenire, attraverso una volontà precisa e condivisa di entrambi i coniugi che si stanno separando soprattutto sul sostegno alla genitorialità, in un momento delicato del ciclo della coppia e della famiglia. Questo principalmente nell’interesse dei figli. 

Perché è così importante che la richiesta di mediazione sia di entrambi i coniugi e non venga imposta dall’esterno?

La mediazione familiare, così come la intendiamo noi, richiede la presenza di entrambi i coniugi/genitori, oltre che la loro volontà espressa di fare un percorso condiviso per superare divergenze, di diversa natura, che ne impediscono il dialogo. Da non confondere con altri strumenti legali o giudiziari, che possono entrare in gioco per imposizione del tribunale. Qui non c’è un magistrato a cui rendicontare, si tratta di aiutare i genitori, che hanno scelto di mettersi in gioco senza obblighi di legge ma spontaneamente, a comunicare per il bene dei loro figli. 

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L’altro aspetto della mediazione riguarda la capacità di evitare che il conflitto degeneri in violenza vera e propria. In che senso?

Oggi assistiamo a un’escalation di violenza: nella coppia, nella famiglia, nella società, sui social, nelle strade, negli stadi, in ogni sfera. Quello che si può fare, stante che il conflitto fa parte della nostra vita da sempre, è fare in modo che non degeneri in violenza, lavorando sul piano culturale. Il caso più frequente, in ambito familiare, è quello della donna che decide di separarsi scatenando la reazione violenta del compagno: certo, non possiamo intervenire nei casi di violenza agita – per quello c’è la messa in sicurezza, ci sono i centri antiviolenza e altri luoghi deputati – ma possiamo promuovere la prevenzione della violenza, possibilmente, come avviene ormai sempre più spesso, coinvolgendo anche l’uomo, a sua volta fragile se ha dovuto affermare se stesso in modo violento. La cultura della mediazione è proprio il contrario del conflitto che degenera in violenza. 

Come si diventa mediatore?

Per diventare mediatore bisogna seguire un percorso formativo biennale, dopo avere conseguito una laurea, psicologica, umanistica o giuridica. Le associazioni  devono essere riconosciute dal Ministero dello Sviluppo Economico. La nostra associazione è tra quelle accreditate e formiamo esperti mediatori, in grado, grazie all’acquisizione di una serie di competenze - di psicologia, comunicazione, diritto di famiglia – di rispondere alle varie esigenze di regolazione e mediazione dei conflitti. Al momento la mediazione è molto diffusa nel privato, ci auguriamo che si possa sviluppare sempre di più anche in ambito pubblico. Un punto a nostro favore lo abbiamo segnato qualche anno fa, con la nascita della Federazione italiana delle associazioni di mediazione familiare, che riunisce le tre principali sigle al livello nazionale (con l’AIMS, ci sono anche il SIMeF e l’AIMeF), un organismo capace in qualche modo di interagire con le istituzioni e la politica.Maria Nocerino