Sono le otto del mattino e Pitù è già a metà della sua giornata di lavoro. Terminate le consegne agli ultimi esercenti di via Serra inizierà quelle nelle abitazioni private. Il carrellino che si porta dietro, traboccante di frutta e verdura, muta colore in base alla stagione: l’arancio e i colori di terra dell’inverno virano lentamente nei rossi, gialli e verdi vividi dell’estate, creando nature morte pret-a-porter a beneficio degli occhi di tutti.
A Napoli da circa dieci anni e in Italia da qualche anno in più, resta avvolto nel mistero come sia arrivato dall’India nel Bel Paese. Risponde vagamente alle domande che sovente gli fanno cambiando versione ogni volta: è stato uno zio a chiamarlo per lavorare nella piccola fabbrica di calzature della provincia che poi ha fallito, costringendolo a ripiegare sul lavoro di facchino, oppure ha passato la frontiera nascosto in un container, o ancora ha seguito una fidanzata pazzamente innamorata di lui che, dopo averlo conosciuto a Bombay in occasione di un viaggio di piacere, non ha più voluto lasciarlo. I suoi occhi indagano il volto dell’interlocutore e, dopo una breve pausa, inizia a rispondere alle domande con la sua voce cantilenante inventando i dettagli e gli aneddoti secondo l’estro del momento. Solo Mumbai, che lui continua a chiamare Bombay, resta sempre la stessa: calda, affollata, odorosa di spezie e sudore, perennemente ammantata di una sottile polvere dorata. “Napoli è quasi uguale” afferma sorridendo, certo che sia questa la conclusione che tutti vogliono sentire quando racconta una delle sue storie. È da quando risiede a Napoli che lavora come fattorino da Salvatore, fruttivendolo storico di via Egiziaca. Lo accompagna al mercato a comperare frutta e verdura, carica il furgoncino bianco e scarica la merce in magazzino, dopodiché inizia il lavoro porta a porta. Le sue braccia nervose sono sempre in movimento, alzando e spostando diversi chili di merce come se fosse nulla. Da un paio d’anni ha scoperto il piacere della lettura: quelle che inizialmente gli sembravano “tracce lasciate dalle zampe di una gallina su un foglio di carta” adesso sono parole con un proprio significato, esprimono concetti, aprono porte su nuovi mondi. Con le trame dei romanzi che legge, fra l’altro, oggi arricchisce la sua storia personale. “Ho iniziato a leggere per imparare l’italiano. Prima capivo solo alcune parole, adesso va meglio” racconta durante la pausa pranzo, un panino in una mano e una versione per ragazzi di Moby Dyck nell’altra. “Alcune clienti mi regalano i libri quando gli porto la frutta e la verdura. Come questo: non avevo mai sentito parlare di Melville, ma credo che leggerò altri libri scritti da lui”. Ha iniziato con i gialli, ma non riusciva a godersi la lettura perché era troppo curioso e saltava direttamente all’ultimo capitolo per scoprire chi era l’assassino. Poi ha scoperto i classici ed è stato in quel momento che ha capito cosa voglia dire vivere più vite in una. “Quando ho letto Robin Hood ero un bandito nella foresta, poi ho letto Il Libro della Giungla e sono stato un bambino che parlava con gli animali.” Mi spiega Pitù timidamente. Perché in fondo un po’ si vergogna di questa “eccentricità”, di questa “fissa per i libri” che non può condividere con gli amici. “Signò, ‘o sapite ca Pitù mo’ o fann prufessore?” lo deride in modo benevolo il sua datore di lavoro. Gli chiedo se condivide questa passione con qualcuno. “Ho prestato una volta un libro “di paura” a mio fratello, ma non l’ha finito perché diceva per era noioso e che non capiva niente. Però suo figlio che è nato in Italia e va a scuola legge tantissimo. A volte ci scambiamo i libri. Quando parliamo dei personaggi sembra che parliamo di persone che conosciamo davvero. È divertente”.
Fra i pochi lettori che sfidano le catastrofiche statistiche, che vedono gli italiani ai fanalini di coda nella classifica dei fruitori di prodotti letterari in Europa, si crea uno strano sodalizio, come può accadere in una setta incompresa e perseguitata. Gli dico che Moby Dyck è uno dei miei romanzi preferiti e gli consiglio di leggere Verne. Viaggio al Centro della Terra. Perché perdere l’occasione di raccontare, a chi gli chiede come sia arrivato, di aver attraversato le profondità terrestri?
Chiara Reale